Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32177 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19095-2019 proposto da:

R.D., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELA GATTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3865/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/01/2019 R.G.N. 5362/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. Con sent. n. 5595/2016 la Corte di appello di Roma ha respinto il gravame incidentale proposto da R.D. nei confronti della sentenza del Tribunale della stessa sede, che, mentre aveva dichiarato illegittimo, con le pronunce conseguenti, il licenziamento intimato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, aveva rigettato, per difetto di prova, le ulteriori domande della ricorrente, dirette al risarcimento del danno morale e alla reputazione e al pagamento di differenze retributive.

2. Il successivo ricorso per revocazione avverso detta sentenza era respinto con la sent. n. 3865/2018, pubblicata il 2 gennaio 2019: la Corte di appello ha osservato, a sostegno della propria decisione, che il ricorso era stato presentato per ipotesi che non rientravano nell’ambito di applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, essendosi la ricorrente limitata ad affermare di avere dimostrato la fondatezza delle proprie ragioni, senza indicare in alcun modo quale errore di fatto, nel senso precisato dalla giurisprudenza di legittimità, sarebbe stato commesso nella pronuncia impugnata.

3. Avverso detta sentenza n. 3865/2018 ha proposto ricorso per cassazione la R., con due motivi, cui ha resistito il Ministero con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, nonché del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, e art. 6 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo in materia di giusto processo, la ricorrente censura la sentenza n. 3865/2018 della Corte di appello di Roma per avere erroneamente escluso la sussistenza di un errore revocatorio.

2. Con il secondo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, sotto diversi profili: per nullità degli atti processuali anteriori alla sentenza impugnata, in quanto redatti in formato cartaceo e non elettronico e privi di sottoscrizione con firma digitale; per non avere la Corte statuito su tutta la domanda, omettendo di pronunciarsi sui fatti oggetto del processo; per avere dichiarato irrituale la costituzione della parte convenuta; per mancanza di atti processuali firmati digitalmente e per avere la Corte fondato la propria decisione su prove reputate esistenti in violazione della normativa in materia di atti telematici; per difetto della concisa esposizione delle ragioni in fatto e in diritto della decisione e per motivazione apparente.

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Con riferimento al primo motivo, si osserva che la sentenza impugnata ha fatto esatta applicazione del principio, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per il quale “L’errore di fatto che legittima l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c. consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, e tale da aver indotto il giudice ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato in tali atti o documenti (sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta adeguata pronuncia). Detto errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con il (diverso) mezzo di impugnazione del ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5” (Cass. n. 3317/1998, fra le molte conformi).

5. Le censure proposte con il motivo in esame attengono, invece, proprio e unicamente ad una non corretta valutazione delle risultanze probatorie, non avendo la Corte di merito considerato, in violazione dell’art. 115 c.p.c., che gli assunti della ricorrente avevano trovato conferma nei documenti prodotti dallo stesso Ministero convenuto.

6. Il secondo motivo è palesemente inammissibile.

7. La ricorrente non indica, infatti, specificamente – nella inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – gli atti del processo che sarebbero affetti da nullità, né più in generale chiarisce i termini effettivi delle questioni di ordine processuale che vengono poste.

8. La sentenza impugnata si sottrae comunque ai rilievi fondati sull’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, poiché contiene una motivazione tutt’altro che apparente: è invero tale la motivazione che sebbene “graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture” (Cass. n. 13977/2019; Sez. U n. 22232/2016).

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la ricorrente è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 900,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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