LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1316-2020 proposto da:
D.P., R.M., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato SERGIO RUSSO;
– ricorrenti –
Contro
BRIREX SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE LIEGI 42, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIOVANNI ALOISIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CINZIA GENOVESI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2538/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.
RITENUTO
che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:
– L.M. citò in giudizio D.P. e R.M.T. denunciando lo sconfinamento dei proprietari del fondo limitrofo, chiedendo stabilirsi giudizialmente il confine e condannarsi i convenuti al rilascio, quest’ultimi eccepivano in riconvenzionale di aver usucapito l’area in contestazione; in corso di giudizio all’attore subentrò Brirex s.r.l., vantando titolo proprietario derivante da lodo arbitrale;
– il Tribunale, accolta la domanda principale e disattesa quella riconvenzionale, determinato il confine, ordinò ai convenuti di rilasciare la porzione di terreno illegittimamente occupata;
– la Corte d’appello di Firenze rigettò l’impugnazione avanzata dal D. e dalla R.;
– avverso la sentenza di secondo grado ricorrono gli insoddisfatti appellanti sulla base di due motivi, nel mentre la s.r.l. Brirex resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative; ritenuto che con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 183 c.p.c., commi 5 e 6, assumendo che la decisione aveva errato nel non rilevare l’illegittimo mutamento della domanda operato dalla controparte, in particolare, l’asserto della Corte locale, secondo il quale l’accertamento dello sconfinamento imponeva quello dell’accertamento del diritto di proprietà, risultava convincente relativamente alla domanda di accertamento, “ma non (convinceva) in ordine alla domanda di rilascio”.
CONSIDERATO
che la doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento, valendo quanto segue:
– senza che sia utile seguire il ragionamento della Corte locale, la quale reputa che “la domanda di accertamento della proprietà in capo a Brirex era già sostanzialmente contenuta nelle conclusioni “originarie” e non solo in quelle precisate all’udienja del 27 giugno 2011", risulta dirimente osservare che la decisione di primo grado, confermata in appello, non statuisce affatto sulla titolarità, ma, in relazione alla domanda, si limita ad accertare il confine, ordinando il rilascio della porzione illegittimamente occupata;
– questa Corte ha reiteratamente precisato che nell’azione di regolamento di confini, diversamente dall’azione di rivendicazione, non vi è controversia sui titoli di proprietà e la contestazione attiene all’estensione dei rispettivi fondi confinanti (conflitto tra fondi) a causa dell’incertezza della linea di confine tra l’uno e l’altro; né la proposizione da parte del convenuto della eccezione di usucapione vale a snaturare l’azione di regolamento di confini proposta dall’attore in quanto con detta eccezione si fa valere una situazione sopravvenuta, atta ad eliminare l’incertezza sul confine, senza mettere in discussione il titolo d’acquisto vantato “ex adverso”; né, infine, la natura dell’azione può mutare per il fatto che l’attore chieda il rilascio di una zona determinata del terreno asseritamente rientrante nel confine del proprio fondo, essendo il rilascio di tali porzioni conseguenza dell’istanza principale di esatta determinazione del confine (Sez. 2, n. 5899, 20/04/2001, Rv. 546137); ed ancora, mentre l’azione di rivendica presuppone un conflitto di titoli deteiminato dal convenuto, il quale oppone a suo favore un titolo – anche non negoziale – diverso da quello su cui l’attore fonda la sua istanza, nell’azione di regolamento di confini il conflitto è tra fondi, in quanto il convenuto deduce che, in forza del titolo dedotto dall’attore e del titolo di proprietà del fondo a lui appartenente, il confine è diverso, a nulla rilevando, in presenza di una incertezza del confine per avvenuta usurpazione di parte del terreno, l’effetto recuperatorio di detta domanda che consegua soltanto all’eliminazione del preesistente stato di incertezza sui confini (Sez. 6, n. 22095, 13/10/2020, Rv. 659399);
considerato che il secondo motivo, con il quale i ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione dell’art. 213 c.p.c., per non avere la Corte locale acquisito dall’Ufficio edilizia Privata del Comune di Livorno “la pratica di condono edilizio di T.G. e S.T.N.”, è manifestamente infondato, avendo questa Corte spiegato che l’esercizio del potere, previsto dall’art. 213 c.p.c., di richiedere d’ufficio alla P.A. le informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo, costituisce una facoltà rimessa alla discrezionalità del giudice, il mancato ricorso alla quale non è censurabile in sede di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 34158, 20/12/2019, Rv. 656335); e, nella specie, la Corte di Firenze, ha sul punto speso esaustiva, e peraltro, non contestata, motivazione;
considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;
considerato che la palese infondatezza non si risolve necessariamente nella colpa grave, che nel caso non appare sussistere, tenuto conto della non immediata percepibilità del discrimine giuridico nella materia oggetto del giudizio e che, pertanto, non merita di essere accolta la istanza di condanna per responsabilità aggravata avanzata dalla controricorrente (art. 385 c.p.c., u.c., applicabile “ratione temporis”);
considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore della controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;
che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021