Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32196 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13852-2020 proposto da:

P.R., rappresentato e difeso dall’avv. ALFREDO GAETANO in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G., P.E., P.A., P.S., P.V., elettivamente domiciliati in CROTONE, VIA TORINO, 119/B, presso lo studio dell’avvocato CATERINA BILOITI, che li rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 27/01/2020.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. TEDESCO GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, resa nella causa promossa da P.G. e P.V. nei confronti di P.R., riguardante la duplice successione dei comuni genitori, ha dapprima accertato, con sentenza non definitiva, che la compravendita della nuda proprietà di un immobile, intercorsa fra i genitori e il convenuto P.R., simulava una donazione; quindi, con sentenza definitiva, per quanto interessa in questa sede, essa ha ridotto la donazione in favore dei legittimari attori, dopo avere rilevato che, in assenza di beni relitti, il bene al quale rapportare la lesione era solo quello donato.

Per la cassazione della sentenza P.R. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi. Con il primo il ricorrente si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 perché la Corte d’appello ha omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione delle controparti sul capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di simulazione della compravendita. Si sostiene che la sussistenza dell’interesse verso un siffatto accertamento implicava che gli attori avessero proposto una rituale domanda di riduzione, il che non era avvenuto. Con il secondo motivo il ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte d’appello ha dichiarato l’inefficacia della vendita, oggetto della domanda degli attori, mentre costoro avevano invece chiesto che fosse dichiarata la nullità del negozio in dipendenza della supposta simulazione. La Corte d’appello era incorsa perciò nel vizio di omissione di pronuncia. Essa, inoltre, aveva omesso di pronunciare anche sulla domanda di risarcimento del danno proposta dagli attori e “sull’eccezione sollevata dall’odierno ricorrente (vedi comparsa conclusionale e memoria di replica)” (pag. 8 del ricorso).

Con il terzo motivo il ricorrente si duole perché la Corte distrettuale ha ammesso la prova per presunzioni della simulazione, senza preventivamente verificare se i legittimari, in relazione all’azione in concreto proposta, si trovassero nella posizione di terzi rispetto al de cuius.

G.G., P.E., P.A., P.S. (Quali Eredi Di P.G.), P.V. hanno resistito con controricorso.

La causa è stata fissata dinanzi alla Sesta sezione civile della Suprema Corte su conforme proposta del relatore di manifesta infondatezza del ricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono palesemente infondati.

Risulta incontroverso, sulla base della trascrizione delle domande attoree operata con il ricorso, che i legittimari attori chiesero l’accertamento della simulazione della compravendita in funzione strumentare rispetto alla richiesta di riduzione della liberalità dissimulata. Tale nesso strumentale, da un lato, giustificava l’interesse a fare accertare la simulazione, dall’altro, poneva i legittimari nella posizione di terzi rispetto all’atto simulato. Invero, la problematica cui si accenna nel terzo motivo, e cioè l’esigenza che sia verificata la reale natura della posizione fatta valere dal legittimario, riguarda la domanda di accertamento della simulazione assoluta, o di simulazione relativa di una donazione nulla, proposta dal legittimario chiamato alla successione per legge o per testamento. Ciò si spiega perché una tale azione è proponibile, in linea di principio, anche dall’erede: si pone quindi l’esigenza di verificare se il legittimario abbia agito in tale specifica qualità per rimediare a una lesione, intesa l’espressione in senso ampio, oppure nella veste di erede, per recuperare il bene all’asse ereditario (nel qual caso egli subisce le limitazioni probatorie imposte ai contraenti e agli eredi dei contraenti) (Cass. n. 16535/2020; n. 12317/2019). Ma è chiaro che una tale esigenza di preliminare verifica non ricorre quando la simulazione sia richiesta in funzione della riduzione della liberalità valida. L’azione di riduzione, infatti, compete al legittimario in quanto tale e non per la veste di erede di cui egli sia eventualmente investito. In questo caso il dubbio che l’azione possa essere stata proposta nella veste di erede non ha ragion d’essere (Cass. n. 17926/2020). E’ ovvio che l’azione di riduzione deve essere ammissibile. Si innesta qui la problematica degli oneri di deduzioni e di prova imposti al legittimario che agisce in riduzione sulla base dei principi di giurisprudenza richiamati nel terzo motivo di ricorso, che delineano tali oneri in termini assai stringenti (Cass. n. 9192/2017). Occorre tuttavia considerare che tali principi sono stati oggetto di significative precisazioni da parte della recente giurisprudenza della Corte (Cass. n. 18199/2020; n. 17926/2020). In ogni caso quegli stessi principi non erano applicabili in partenza nel caso in esame, caratterizzata dalla mancanza di beni relitti (secondo l’accertamento compiuto dalla Corte d’appello e non censurato in questa sede). E’ stato precisato che “il principio secondo cui il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, e in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva, non può essere applicato qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio con donazioni. In questo caso, infatti, il legittimario non ha altra via, per reintegrare la quota riservata, se non quella di agire in riduzione contro i donatari, essendo quindi la compiuta denuncia della lesione già implicita nella deduzione della manifesta insufficienza del relictum” (Cass. n. 16535/2020).

Si rileva ancora, in relazione a talune generiche obiezioni avanzate nel ricorso e riprese dal ricorrente con la memoria, che l’azione di riduzione si esaurisce nel rendere inefficace la disposizione lesiva e non deve necessariamente congiungersi con l’azione di restituzione o di divisione del bene oggetto della disposizione ridotto. La mancata proposizione di una domanda di divisione, congiunta con la domanda di riduzione, è circostanza del tutto irrilevante al fine di riconoscere o negare al legittimario la qualità di terzo ai fini della prova della simulazione di atti compiuti dal de cuius. A questi effetti è sufficiente la proposizione di una domanda con la quale si fa valere la qualità di legittimario in quanto tale, per una esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva (Cass. n. 12317/2019).

In quanto alla censura di cui al secondo motivo, la stessa allude a una irrilevante questione terminologica (inefficacia invece che nullità). Nel caso di specie non è minimamente in discussione che la liberalità dissimulata mascherasse una liberalità valida. La nullità del contratto simulato non importava, perciò, l’acquisizione del bene all’asse ereditario, ma la possibilità di aggredire l’atto traslativo con l’azione di riduzione, una volta accertata la reale natura dell’operazione.

Infine, in ordine alla omissione di pronuncia sulle ulteriori domanda dei legittimari, la censura è inammissibile per difetto di interesse. Il relativo vizio potrebbe essere fatto valere solo da coloro che avevano proposto la domanda in ipotesi trascurata dai giudici di merito.

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese. Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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