Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.32202 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sezione –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 14881 del 2020 promosso da:

D.L.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato Carlo Ambrosini, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Montoro in Roma, via Ugo de Carolis, n. 101;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DEI CONTI, domiciliato presso l’Ufficio in Roma, via Baiamonti, n. 25;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI SESTO SAN GIOVANNI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giovanni Brambilla Frisoni, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Matteo Adduci, con studio in Roma, via Dardanelli, n. 23, int. 15;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, n. 348/2019, depositata in segreteria il 30 settembre 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 ottobre 2021 dal Consigliere Giusti Alberto;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Salzano Francesco, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 139/2015, pubblicata il 31 luglio 2015, la Sezione giurisdizionale per la Lombardia della Corte dei conti ha condannato il signor D.L.P. al pagamento, in favore del Comune di Sesto San Giovanni, della complessiva somma di Euro 326.800, oltre accessori, in relazione a diversi episodi di corruzione che lo avevano visto coinvolto nella sua qualità di assessore del medesimo ente locale.

La sentenza di primo grado ha determinato in Euro 70.000 il danno da disservizio – consistente nella spesa che il Comune aveva dovuto sostenere istituendo un organo straordinario (una commissione consiliare speciale) per far luce sulle conseguenze amministrative di fatti penalmente illeciti ed al fine di assumere i provvedimenti rimediali e ripristinatori del servizio reso dallo Sportello unico dell’edilizia e ha quantificato in Euro 256.800 il danno all’immagine.

2. – La Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 30 settembre 2019, ha accolto in parte l’appello del D.L., limitatamente alla rideterminazione della voce di danno da disservizio, e, per l’effetto, ha condannato il D.L. al pagamento, in favore del Comune, della minor somma di Euro 271.800, oltre accessori.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, il D.L. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 maggio 2020, sulla base di quattro motivi.

Ha resistito, con controricorso, il Procuratore generale presso la Corte dei conti, concludendo per il rigetto del ricorso in quanto inammissibile e infondato.

Anche il Comune di Sesto San Giovanni ha resistito con controricorso, rassegnando conclusioni nel senso della inammissibilità e, in via subordinata, del rigetto del ricorso.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Il Pubblico Ministero presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Il Comune di Sesto San Giovanni ha depositato una memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il D.L. denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, sul rilievo che la pretesa risarcitoria non sarebbe azionabile davanti alla Corte dei conti. Inoltre il giudice contabile si sarebbe avocato “valutazioni afferenti la competenza riservata ad altre Autorità giudiziarie, in primis il giudice civile, con ciò sindacando, conseguentemente, anche in ordine a profili di estraneità, quali senz’altro la quantificazione del danno patrimoniale e circa la sussistenza di ulteriori profili di danno”. Ad avviso del ricorrente, “la Corte dei conti avrebbe dovuto limitare l’oggetto della verifica alla legittimità o meno delle attività amministrative promosse dal D.L.”; invece, avrebbe “sindacato le scelte di merito e gestionali ritenendole pregiudizievoli sulla scorta delle mere deduzioni della Procura, così sostituendo al potere discrezionale degli organi dell’Ente comunale la valutazione ex post del giudice contabile”. Secondo il ricorrente, sarebbe emersa “la carenza assoluta del diritto risarcitorio attesa l’indeterminatezza – e senz’altro la mancanza di prova – dell’asserito danno da disservizio e all’immagine lamentato dal Comune”.

Con il secondo motivo (rubricato eccesso di potere per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativo agli esiti del procedimento penale a carico dell’allora Sindaco) si censura l’errore nella applicazione di disposizioni di legge e, financo, di interpretazione dei fatti, in ordine alla concreta vicenda che ha coinvolto il ricorrente”.

Con il terzo mezzo (“sull’eccezione di prescrizione erariale: erronea e/o contraddittoria valutazione dei fatti; illogicità; difetto di motivazione”) il ricorrente, dopo avere premesso che la Corte dei conti ha confermato il parziale rigetto dell’eccezione di prescrizione, “richiama tutto quanto dedotto ed eccepito nell’atto di appello e chiede che la sentenza impugnata venga riformata in punto di prescrizione, per le ragioni già ampiamente esposte e qui richiamate”.

Il quarto motivo è intitolato “erronea e/o contraddittoria valutazione dei fatti; illogicità; difetto di motivazione della sentenza in ordine alle contestazioni mosse dal ricorrente avverso il capo 3 della sentenza di primo grado”. Con esso il ricorrente deduce che la Corte “ha argomentato la propria decisione sul solco tracciato dalla sentenza di primo grado, in particolare ancorandosi – facendole proprie – alle argomentazioni svolte dal giudice penale che, come tali, vanno necessariamente contestualizzate al particolare e preciso ambito in cui sono state assunte e che non possono, anzi, non devono, essere traslate in contesti giudiziari che, per diversa materia di competenza, non possono conoscere”. Ad avviso del ricorrente, la Corte dei conti, in sede di appello, avrebbe omesso di motivare le ragioni per le quali la sentenza sul “caso Penati” non potesse incidere sulla ritenuta reità del D.L..

2. – I motivi, data la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente.

3. – E’ innanzitutto inammissibile la censura, veicolata con il primo motivo, con cui il ricorrente eccepisce il “difetto di potere giurisdizionale della Corte dei conti”, sul rilievo che non risulterebbe “azionabile avanti la Corte dei conti la pretesa risarcitoria invocata dal Comune”, in considerazione dell’estraneità della fattispecie all’attività di amministratore pubblico svolta dal D.L..

La ragione della inammissibilità della doglianza risiede nel fatto che sulla giurisdizione della Corte dei conti si è formato il giudicato interno, con conseguente preclusione della possibilità di eccepire, per la prima volta in sede di legittimità, il difetto di giurisdizione del giudice contabile.

Va qui richiamato il principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui, ove la decisione di condanna, resa in primo grado dalla Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, sia appellata senza la proposizione di uno specifico motivo di gravame attinente al difetto di giurisdizione della Corte dei conti in favore del giudice ordinario, deve ritenersi formato il giudicato implicito sul punto, con conseguente inammissibilità del ricorso alle Sezioni Unite per motivi di riparto di giurisdizione avverso la pronuncia emessa dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale di appello (Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2020, n. 23903).

Nella specie, con la sentenza di primo grado, la Sezione giurisdizionale ha condannato il convenuto, nella qualità di assessore al Comune di Sesto San Giovanni, a risarcire il danno da disservizio e il danno all’immagine patito dall’ente locale in relazione a fatti di corruzione.

Avverso tale sentenza il D.L. ha proposto appello, contestando l’erroneità, la contraddittorietà ed il difetto di motivazione in merito alla limitazione della prescrizione erariale, alla complessiva valutazione dei fatti, alle non considerate carenze istruttorie, all’attribuzione ed alla quantificazione del danno da disservizio, alla attribuzione ed alla stima del danno all’immagine, al mancato riconoscimento del carattere restitutorio della somma di Euro 100.000 versata all’atto del patteggiamento penale, alla statuizione sulle spese.

La decisione del merito della causa da parte della Sezione giurisdizionale per la Lombardia presuppone l’affermazione della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti. E poiché il D.L., con l’atto di appello, non ha dedotto specificamente il difetto di giurisdizione del giudice contabile, sulla giurisdizione della Corte dei conti si è formato il giudicato interno.

4. – Anche le altre doglianze articolate con il ricorso, rivolte a denunciare un eccesso di potere giurisdizionale da parte del giudice dell’appello erariale, sono inammissibili.

4.1. – Con riguardo alla censura relativa all’avvenuto sindacato, da parte della Corte dei conti, di scelte gestionali e di merito che sarebbero state ritenute pregiudizievoli sulla base di mere deduzioni della Procura, la doglianza non coglie nel segno.

Lo scrutinio dell’attività del convenuto nel giudizio di responsabilità per danno erariale non ha affatto comportato un improprio sindacato, da parte della Corte dei conti, su scelte discrezionali della P.A. o sul merito dell’attività svolta dall’assessore comunale.

Il giudice contabile, rimanendo nel perimetro delle proprie attribuzioni, ha riguardato le funzioni svolte dal D.L., rispetto alle quali sono state accertate plurime condotte corruttive, definite in sede penale con una sentenza di patteggiamento, e ha giudicato tale doloso contegno foriero di pubblico nocumento, sotto il duplice profilo della lesione dell’immagine dell’amministrazione comunale coinvolta e del disservizio alla stessa arrecato.

La sentenza della Corte dei conti ha preso le mosse dalla evidenziazione della partecipazione dolosa del D.L., attraverso un meccanismo corruttivo, nel compimento delle asseverate irregolarità amministrative ed urbanistiche nel Comune di Sesto San Giovanni; ha dato atto della alterazione del normale andamento dell’attività amministrativa nel settore urbanistico; ha individuato il disservizio concretamente dimostrato, ed originato dalla attività delittuosa compiuta dal D.L. nell’esercizio della funzione pubblica, nell’attivazione di una commissione speciale (e quindi nei costi sopportati per lo svolgimento dei lavori di detta commissione) volta a verificare le conseguenze dei comportamenti dei funzionari e degli amministratori infedeli; ha confermato la quantificazione del danno all’immagine, determinata dal primo giudice nel doppio delle dazioni promesse o ricevute.

4.2. – Il ricorso denuncia poi l’errore nella applicazione di disposizioni di legge e di interpretazione dei fatti in ordine alla concreta vicenda che ha coinvolto il D.L.; si duole del rigetto dell’eccezione di prescrizione e dell’accoglimento solo parziale dell’appello; censura l’omessa motivazione delle ragioni circa la mancata incidenza della sentenza Penati sulla ritenuta reità del D.L. e sulla esistenza stessa del danno all’immagine; prospetta la “carenza assoluta della sussistenza del diritto risarcitorio”, attesa l’indeterminatezza dell’asserito danno da disservizio e all’immagine lamentate dal Comune; denuncia, ancora, che la sentenza impugnata sia rimasta supinamente ancorata alle argomentazioni svolte dal giudice penale.

Si tratta di profili, talora sovrapponibili ai motivi fatti valere innanzi al giudice contabile di appello, che concretizzano doglianze dirette a far emergere vizi in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte dei conti nel concreto esercizio della sua funzione giurisdizionale, come tali non sottoponibili al controllo delle Sezioni Unite, che è limitato alla verifica del rispetto dei limiti esterni della giurisdizione erariale.

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare (Cass., Sez. Un., 13 maggio 2020, n. 8848; Cass., Sez. Un., 19 aprile 2021, n. 10245), l’eccesso di potere denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici); e poiché la nozione di eccesso di potere giurisdizionale non ammette letture estensive, neanche limitatamente ai casi di sentenze abnormi, anomale ovvero caratterizzate da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento, il relativo vizio non è configurabile in relazione a denunciate violazioni di legge sostanziale o processuale riguardanti il modo di esercizio della giurisdizione speciale (Cass., Sez. Un., 18 ottobre 2021, n. 28641).

Le doglianze articolate dal ricorrente, benché formalmente indirizzate a censurare un eccesso di potere giurisdizionale, in realtà si risolvono in una critica del merito della decisione adottata dalla Corte dei conti, e quindi finiscono per prospettare errores in iudicando.

Ma la Corte di cassazione non può estendere il suo sindacato su tali, ipotizzati, errori, perché – giova ribadirlo – il controllo delle Sezioni Unite ha ad oggetto esclusivamente la verifica dell’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione e non si estende ad asserite violazioni di legge sostanziale (o processuale) concernenti il modo di esercizio della giurisdizione speciale.

5. – Il ricorso è inammissibile.

6. – Le spese sostenute dal controricorrente Comune di Sesto San Giovanni seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, invece, nei confronti del Procuratore generale della Corte dei conti, stante la sua posizione di parte solo in senso formale. Il Procuratore generale, infatti, così come non può sostenere l’onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva della rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombente risulti il suo contraddittore.

7. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune di Sesto San Giovanni controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 5.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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