Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32225 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22017-2015 proposto da:

P.V.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO PARATO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE MARCHE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 113/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 06/03/2015 R.G.N. 584/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2021 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza in data 6 marzo 2015 n. 113 la Corte d’Appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno, che aveva respinto la domanda proposta da P.V.M., dirigente medico della AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE MARCHE (in prosieguo: ASUR MARCHE), per l’integrale rimborso delle spese di assistenza legale sostenute nel procedimento penale che lo vedeva indagato per i reati di abuso di ufficio ed interruzione di pubblico servizio, definito con provvedimento di archiviazione.

2. La Corte territoriale premetteva che la fattispecie era disciplinata dall’art. 25 del CCNL 1998/2001 dell’Area della dirigenza medica e veterinaria del SSN. 3. Il pagamento delle spese era dovuto al dipendente nei limiti del massimale previsto dalle parti collettive, pari alla spesa che l’amministrazione sanitaria avrebbe assunto ove la difesa fosse stata affidata ad un proprio avvocato.

4. Era documentato il notevole risparmio delle spese di assistenza legale da parte della Azienda Sanitaria, in quanto gli avvocati utilizzati, inseriti in apposito elenco, si erano impegnati ad accettare i minimi tariffari; il fatto che la difesa fosse stata assunta da un difensore di fiducia del P., a seguito del conflitto di interessi esistente ex ante, non poteva costituire motivo di aggravio dell’indennizzo.

5. La liquidazione dei compensi professionali era avvenuta nell’anno 2013 e l’attività difensiva non si era svolta dopo il deposito del decreto di archiviazione; pertanto non era applicabile ratione temporis la disposizione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2, comma 2, nella parte in cui aveva reintrodotto in favore del difensore la liquidazione di una somma forfettaria (di regola pari al 15%) per il rimborso delle spese generali. Il D.M. n. 140 del 2012, nella cui vigenza era avvenuta la liquidazione, aveva determinato i compensi dell’avvocato in misura omnicomprensiva, che includeva anche le spese generali; per l’attività giudiziale penale veniva in rilievo, in particolare, il D.M. n. 140 del 2012, art. 14, comma 9, che chiariva che il compenso comprendeva ogni attività accessoria.

6. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza P.V.M., articolato in un unico motivo ed illustrato con memoria, cui ASUR MARCHE non ha opposto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con l’unico motivo la parte ricorrente ha denunciato:

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione degli artt. 132 e 112 c.p.c.;

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 4, conv. in L. 28 marzo 2012 n. 27, della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, commi 6 e 10, degli artt. 12 e seguenti e della tabella B del D.M. n. 140 del 2012, nonché della normativa speciale in materia di IVA e CPA; falsa ed erronea interpretazione dell’art. 25 CCNL Area dirigenza medica 1998/2001.

2. Sotto il primo profilo, si addebita al giudice dell’appello di avere esattamente riportato i motivi di gravame ma di avere omesso ogni pronuncia sulla questione relativa alla “abrogazione” e “superamento” dell’art. 25 CCNL Area dirigenza medica in conseguenza dello ius superveniens di cui al D.L. n. 1 del 2012 conv. in L. n. 27 del 2012.

3. Quanto alla violazione delle norme di diritto, il ricorrente ha dedotto che l’art. 9 del suddetto D.L. n. 1 del 2012, nel disporre la abrogazione delle tariffe professionali regolamentate nel sistema ordinistico, aveva altresì abrogato le disposizioni all’epoca vigenti che rinviavano per la determinazione del compenso del professionista alle predette tariffe (comma 4 del citato art. 9). Ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, si applicavano i parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF- ai sensi dell’art. 1, comma 3 della medesima legge- sia in caso di mancata determinazione del compenso in forma scritta sia nel caso, ricorrente nella fattispecie di causa, in cui la prestazione professionale fosse resa nell’interesse di terzi.

4. Così esposto il quadro normativo, si sostiene che dalla entrata in vigore della L. n. 247 del 2012 per la determinazione del rimborso delle spese legali in favore del dirigente medico, inizialmente in posizione di conflitto di interessi con l’AZIENDA e poi scagionato da ogni accusa, dovrebbe farsi esclusivo riferimento ai parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, posto che ogni diverso accordo tra l’AZIENDA ed il professionista avrebbe richiesto la forma scritta ad substantiam. Allo stesso modo, si sostiene essere privi di effetto gli atti di ASUR MARCHE che in epoca anteriore allo ius superveniens facevano riferimento alle tariffe forensi ai fini della determinazione dei compensi.

5. In sostanza, nell’assunto di parte ricorrente, la liquidazione dei compensi da parte di ASUR MARCHE sarebbe legittimamente avvenuta ai sensi del D.M. n. 140 del 2012; illegittimamente, tuttavia, la Azienda aveva liquidato il valore minimo del compenso laddove l’art. 14 dello stesso DM prevedeva che per la attività giudiziaria penale i parametri per la determinazione del compenso fossero “di regola” quelli di cui alla tabella B (per i procedimenti davanti al GIP, compenso pari al valore medio di liquidazione previsto per il tribunale monocratico aumentato del 20%). Il medesimo art. 14 attribuiva la prerogativa di aumentare o ridurre il compenso esclusivamente al giudice; nella specie la amministrazione aveva esercitato un potere di riduzione dei compensi che non le apparteneva e, comunque, non aveva tenuto in alcun conto i parametri fissati dal precedente art. 12 per il suo esercizio.

6. Con il motivo si censura altresì la statuizione di rigetto della domanda di rimborso delle spese generali, deducendo la mancata applicazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, comma 10, che aveva reintrodotto l’obbligo di pagamento delle spese generali (tacitamente eliminato dal D.M. n. 140 del 2012) sicché avrebbe dovuto essere accolta la richiesta del loro rimborso, nella misura del 12,5%.

7. Da ultimo si deduce il vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello proposto avverso la condanna al pagamento delle spese processuali resa dal Tribunale, in quanto maggiorata di IVA e CPA, accessori non dovuti perché ASUR MARCHE era stata difesa da un proprio dipendente; si imputa il medesimo errore anche al giudice dell’appello, nel liquidare le spese del grado.

8. Il ricorso è fondato nei limiti dell’impugnazione proposta avverso la statuizione che ha negato il rimborso delle spese generali del difensore. 9.La denuncia del vizio di omessa pronuncia sulla questione dello ius supervenies e dei suoi effetti sulla disciplina dell’art. 25 CCNL Area dirigenza medica e veterinaria del SSN 1998/2001, norma disciplinante il patrocinio legale, è infondata.

10.La questione era sottesa a tutti i motivi dell’appello del P.; il giudice del gravame ha ben compreso le ragioni di impugnazione, dandone conto nella motivazione della sentenza impugnata, come riconosce la stessa parte ricorrente e, rilevata la connessione tra i motivi di gravame, ha provveduto al loro esame congiunto ed al loro rigetto.

11. E’ invece inammissibile per difetto di specificità la denuncia di omessa pronuncia articolata in relazione ad un motivo di appello che sarebbe stato proposto avverso la liquidazione delle spese del primo grado di giudizio (in quanto comprensiva di IVA e CPA non dovuti).

12. Per costante orientamento di questa Corte anche in caso di denunzia del vizio di omessa pronuncia il potere di questa Corte di accesso diretto agli atti di causa ai fini della verifica del fatto processuale resta condizionato al previo assolvimento dell’onere della parte ricorrente di indicare in quali forme ed attraverso quali atti la domanda non esaminata sarebbe stata proposta. Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il requisito della specificità dei motivi d’impugnazione sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato (Cass. SU. 22/05/2012, n. 8077).

13. Nella fattispecie la parte ricorrente non ha né trascritto né localizzato il motivo di appello avverso la liquidazione delle spese giudiziali da parte del Tribunale; né lo stesso risulta dalla esposizione del fatto processuale svolta nella sentenza impugnata.

14. Le ragioni di censura relative alla pretesa violazione delle norme in materia di compensi professionali nonché dell’art. 25 CCNL Area dirigenza medica e veterinaria del SSN 1998/2001 sono infondate.

15. A tenore del predetto art. 25:

“1. L’azienda, nella tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile, contabile o penale nei confronti del dirigente per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio, assume a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interesse, ogni onere di difesa fin dall’apertura del procedimento e per tutti i gradi del giudizio, facendo assistere il dipendente da un legale, previa comunicazione all’interessato per il relativo assenso.

2. Qualora il dirigente intenda nominare un legale di sua fiducia in sostituzione di quello indicato dall’azienda o a supporto dello stesso, i relativi oneri saranno interamente a carico dell’interessato. Nel caso di conclusione favorevole del procedimento, l’azienda procede al rimborso delle spese legali nel limite massimo della tariffa a suo carico qualora avesse trovato applicazione il comma 1, che comunque, non potrà essere inferiore alla tariffa minima ordinistica. Tale ultima clausola si applica anche nei casi in cui al dirigente, prosciolto da ogni addebito, non sia stato possibile applicare inizialmente il comma 1 per presunto conflitto di interesse.

16. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. 30 novembre 2017 n. 28785; Cass. n. 16396/2017) ha già esaminato la disciplina del sopra trascritto l’art. 25, comma 2, evidenziando come con riferimento alle conseguenze del conflitto di interesse tra la Azienda ed il suo dirigente la stessa abbia carattere innovativo e di maggior favore per il dipendente rispetto alla disciplina del previgente D.P.R. n. 270 del 1987, art. 41. Ed invero, mentre il D.P.R. n. 270 del 1987 in caso di conflitto di interessi escludeva sempre e comunque il diritto del dipendente al rimborso delle spese legali-con valutazione ex ante ed a prescindere dagli esiti del giudizio- il CCNL ha attribuito rilevanza a detti esiti, riconoscendo il diritto del dirigente al rimborso in caso di esito favorevole del procedimento cui è sottoposto, benché inizialmente non fosse stata possibile la assunzione da parte dell’Azienda dell’onere della difesa diretta (prevista dal comma uno), per presunto conflitto di interessi.

17. Non si è mancato, tuttavia, di evidenziare che il dirigente può chiedere il rimborso delle spese legali sostenute- ai sensi del suddetto art. 25, comma 2 – entro il limite di quanto l’azienda avrebbe dovuto corrispondere ad un legale da essa stessa nominato (Cass. 27 settembre 2016 n. 18944 e Cass. n. 4978/2014, in fattispecie relativa alla ipotesi disciplinata nei medesimi termini dal suddetto comma due- in cui il dirigente rifiuti il professionista indicato dalla AZIENDA e ne nomini altro di sua fiducia).

18. Il ricorrente sostiene che tale disciplina sarebbe stata abrogata, nella parte in cui fa riferimento alla “tariffa ordinistica”, ai sensi del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, conv. in L. n. 27 del 2012, che al comma 4 ha sancito la abrogazione delle disposizioni che rinviavano alle tariffe ordinistiche per la determinazione del compenso del professionista.

19.Tale abrogazione non giova alla tesi di parte ricorrente.

20. La ratio dell’art. 25 CCNL in esame, come già evidenziato da questa Corte nei precedenti citati, è la realizzazione di un bilanciamento tra l’interesse della azienda al contenimento della spesa pubblica e l’interesse del dipendente a non sopportare il carico delle spese legali (Cass. n. 4978/2014). Più in generale si è chiarito che nel nostro ordinamento manca un principio che consenta di affermare l’esistenza di un generalizzato diritto al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente, indipendentemente dalla fonte normativa settoriale ed a prescindere dai limiti in cui il diritto viene da essa conformato (Cass. 13.3.2009 n. 6227).

21. Unica conseguenza della abrogazione del sistema della tariffe è la eliminazione nella norma contrattuale del limite minimo del rimborso (i minimi della tariffa ordinistica), che era legato al precedente sistema di inderogabilità dei minimi tariffari.

22. Resta, invece, fermo il limite massimo del rimborso a carico della amministrazione, pari al costo che la Azienda avrebbe sopportato in caso di nomina diretta del legale. Trattasi del punto di equilibrio voluto dalle parti collettive tra l’interesse privato del dipendente a restare indenne dagli oneri economici di difesa e l’interesse pubblico alla prevedibilità ed al contenimento della spesa, equilibrio indissolubilmente legato al riconoscimento stesso del diritto al rimborso.

23. Correttamente, pertanto, il giudice dell’appello ha ritenuto la sopravvivenza del limite massimo di spesa, riferendolo, invece che alle tariffe ordinistiche, ai compensi che l’azienda avrebbe corrisposto ai propri legali in base al nuovo sistema di determinazione dei compensi professionali, che ha sostituito le tariffe ordinistiche.

24. Quanto alla misura del compenso che la Azienda avrebbe corrisposto in caso di nomina diretta del legale, la sentenza ha accertato in fatto che i legali utilizzati da ASUR, iscritti in apposito elenco, si erano impegnati ad accettare i minimi tariffari.

25. La parte ricorrente deduce l’invalidità sopravvenuta di tali accordi, in quanto conclusi nella vigenza dell’abrogato sistema delle tariffe.

26. Il rilievo non è fondato. Manca una disposizione normativa che disponga la nullità sopravvenuta degli accordi conclusi nella vigenza del sistema delle tariffe ed, anzi, la normativa di cui al D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, ha rimesso al libero consenso delle parti la determinazione del compenso.

27. Il ragionamento presuntivo della Corte territoriale, secondo cui gli avvocati nominati dalla AZIENDA sarebbero stati liquidati applicando i valori minimi previsti dal D.M. n. 140 del 2012 è dunque immune da errori di diritto.

28. Il ricorso è invece fondato nella parte in cui lamenta la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 10.

29. Ai sensi di tale disposizione spetta al difensore il rimborso delle spese generali (“Oltre al compenso per la prestazione professionale all’avvocato è dovuta… una somma per il rimborso delle spese forfettarie”); la norma rinvia, infatti, ad un decreto ministeriale da emanare successivamente, già previsto dal precedente comma 6 (poi D.M. n. 55 del 2014, entrato in vigore successivamente ai fatti di causa) soltanto per la fissazione della misura massima del rimborso e non la per decorrenza del diritto al rimborso (in termini: Cassazione civile sez. lav., 13/08/2020, n. 17076).

30. Nel sistema delle tariffe il rimborso era determinato- dal D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 14, – nella misura del 12,5% degli onorari e dei diritti ripetibili dal soccombente, misura che deve essere applicata nella fattispecie di causa, non essendo stato pubblicato alla data di liquidazione del compenso (nell’anno 2013) il D.M. n. 55 del 2014.

31. Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza cassata nella sola parte in cui censura la mancata refusione al medico delle spese generali del difensore, nella misura del 12,5% del compenso posto in rimborso; va respinto nel resto.

32. Resta assorbita l’impugnazione proposta-(ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 ed in relazione alla violazione della normativa speciale in materia di IVA e CPA) – avverso la statuizione di liquidazione delle spese giudiziali del grado d’appello.

33. Non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con la condanna di ASUR MARCHE a corrispondere al ricorrente le spese forfettarie del legale nominato, nella misura del 12,5% dei compensi già rimborsati.

34. Le spese dell’intero processo si compensano tra le parti per la novità delle questioni trattate.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata nei limiti delle ragioni accolte e, decidendo nel merito, condanna la AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE MARCHE al pagamento delle spese forfettarie sui compensi già liquidati per la difesa legale, nella misura del 12,5%.

Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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