LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22431-2015 proposto da:
M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 19, presso lo studio dell’avvocato OTTAVIO DE HIPPOLYTIS, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.I.U.R. MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA già M.P.I. MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1258/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 12/11/2014 R.G.N. 1611/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. TRICOMI IRENE.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Salerno, adita da M.T. nei confronti del MIUR, in riassunzione a seguito della sentenza di questa Corte n. 23644 del 2012, che cassava con rinvio la sentenza resa tra le parti dalla medesima Corte d’Appello, nel riformare la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, ha rigettato la domanda della lavoratrice perché inizialmente formulata senza nemmeno una specifica deduzione di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento e senza che comunque tale peggioramento apparisse apprezzabilmente dimostrato (onere ricadente sula parte attrice).
2. Premette la Corte d’Appello che la M. era dipendente di un ente locale, transitata a decorrere dal 1 gennaio 2000 nel personale ATA dell’Amministrazione scolastica e aveva chiesto il riconoscimento di tutta la pregressa anzianità di servizio, con conseguente pagamento di tutti i correlativi emolumenti, in ragione dei principi enunciati dalla CGUE.
Afferma, quindi, che con il ricorso introduttivo, né successivamente, la lavoratrice non aveva, indicato quale fosse la posizione retributiva anteriore al trasferimento, né aveva dedotto una qualsiasi entità della stessa globalmente inferiore a quella relativa al nuovo inquadramento, genericamente lamentando, oltre agli effetti del mancato riconoscimento della pregressa anzianità, la percezione dell’indennità integrativa speciale in misura inferiore.
Tale peggioramento non era evincibile dalla documentazione allegata dalla lavoratrice al ricorso, mancante sìn dall’origine, delle ultime buste paga ricevute dall’Amministrazione provinciale e delle prime buste paga ricevute dall’Amministrazione scolastica.
Dalla documentazione, anzi si rilevava che il trattamento economico in essere al 31 dicembre 1999 era stato non solo mantenuto, con l’attribuzione di un assegno ad personam, ma si era ben presto incrementato per effetto di aumenti stipendiali con decorrenza dal 1 luglio 2000, mandandosi al competente ufficio per la liquidazione dell’indennità integrativa speciale ex D.M. 5 aprile 2001.
3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando un motivo di ricorso illustrato con una pluralità di argomentazioni.
4. Resiste il MIUR con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il motivo di ricorso è dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, la violazione falsa applicazione della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, degli artt. 1,3,4,6,7 e 12, preleggi, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2 e 3, artt. 31 e 45, della direttiva CEE 77/187/CE, degli artt. 1362 e 2112 c.c.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 CCNL Scuola 26 maggio 1999, dell’art. 5 del CCNL 15 marzo 2001. Violazione e falsa applicazione del D.M. 23 luglio 1999, art. 3 e del D.M. 5 aprile 2001. Difetto di presupposti e di motivazione. Violazione del principio di gerarchia delle fonti. Violazione degli artt. 1,2,3,4,35,36 e 97 Cost.. Violazione del divieto di reformatio in peius del trattamento economico. Manifesta ingiustizia. Omesso contraddittorio ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia.
Violazione dei principi elaborati in materia dalla Corte di Giustizia e della Cassazione che rinviando la sentenza della Corte d’Appello l’ha invitata ad attenersi a quei principi.
Assume la ricorrente, che si verte in ipotesi di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. e che nella specie sono stati violati i principi enunciati dalla Corte di Giustizia nell’applicare la direttiva 77/187/CEE; espone la situazione giuridico economica specifica della lavoratrice, deducendo che la stessa va verificata alla luce dei principi enunciati dalla CGUE e della giurisprudenza di legittimità. Deduce che andava riconosciuta l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza, e che essa lavoratrice ha avuto un peggioramento retributivo in quanto era stata inquadrata in una fascia nettamente inferiore a quella cui aveva invece diritto ad essere inquadrata ossia nella fascia stipendiale superiore.
2. Il motivo non è fondato.
2.1. va premesso che in caso di ricorso proposto avverso la sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione la portata del decisum della pronuncia rescindente, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte (Cass. n. 3955/2018).
2.2. Nel caso di specie questa Corte, con la sentenza n. 23644/2012, non ha demandato al giudice del rinvio di verificare se l’inquadramento disposto dal MIUR in base all’accordo sindacale del 20 luglio 2000 fosse o meno conforme alla sopravvenuta L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, né ha affermato che, in caso di accertata reformatio in peius, doveva essere integralmente riconosciuta l’anzianità posseduta, perché ha chiesto solo al giudice del merito di verificare se “il lavoratore abbia subito un peggioramento retributivo”, ed i criteri fissati ai fini della comparazione sono solo quelli indicati al punto 13 della pronuncia, ove si precisa che il confronto deve essere globale, riferito al momento del passaggio, e che non rilevano eventuali disparità di trattamento con i dipendenti già in servizio presso il cessionario.
Un peggioramento “sostanziale”, impedito dalla tutela che la direttiva Eurounitaria riconosce ai lavoratori coinvolti nel trasferimento d’impresa, è ravvisabile solo qualora, all’esito della comparazione globale, emerga una diminuzione “certa” del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicché non possono essere apprezzati gli importi, che se pure occasionalmente versati prima del passaggio, non costituivano il “normale” corrispettivo della prestazione, perché, in quanto legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata.
Il principio di irriducibilità della retribuzione, come precisato da questa Corte (cfr. fra le tante Cass. n. 29247/2017; Cass. n. 4317/2012; Cass. n. 20310/2008), non si atteggia diversamente nei casi di modificazione soggettiva del rapporto perché, se la direttiva 77/187 “non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento di impresa” (punto 77 sentenza Scattolon), non possono essere opposti al cessionario limiti ulteriori rispetto a quelli che valevano, prima della cessione, per il datore di lavoro cedente.
D’altro canto non risponde neppure al vero che al personale ATA interessato dal trasferimento di attività sarebbe stato assicurato un trattamento deteriore rispetto a quello riconosciuto alla generalità dei dipendenti pubblici dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31 e dall’art. 2112 c.c., perché, al contrario, anche in relazione ad altri trasferimenti questa Corte ha affermato che le disposizioni normative e contrattuali finalizzate a garantire il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale parificazione del lavoratore trasferito ai dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione, in quanto la prosecuzione giuridica del rapporto se, da un lato, rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore.
Muovendo da detta premessa si è evidenziato che l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Cass. S.U. n. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007).
L’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass. S.U. n. 22800/2010 e Cass. n. 25021/2014), né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative (cfr. fra le più recenti Cass. n. 4389/2020 e quanto agli scatti di anzianità Cass. n. 32070/2019).
Corollario di detto principio è quello, egualmente consolidato da tempo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità il dipendente non può riporre affidamento, o perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione (cfr. fra le tante Cass. n. 31148/2018; Cass. n. 18196/2017; Cass. n. 3865/2012).
2.3. La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione di tali principi e con accertamento di merito non adeguatamente contestato ha affermato che dalla documentazione prodotta dalla ricorrente non era evincibile un peggioramento retributivo secondo i criteri indicati nella sentenza rescindente, ed anzi il trattamento economico in essere al 31 dicembre 1999 era stato non solo mantenuto, con l’attribuzione di un assegno ad personam, ma si era ben presto incrementato per effetto di aumenti stipendiali con decorrenza già dal 1 luglio 2000, mandandosi al competente ufficio per la liquidazione dell’indennità integrativa speciale ex D.M. 5 aprile 2001.
2.4. Il ricorso, in via conclusiva, deve essere rigettato ed alla soccombenza segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4.500,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021