Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32231 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12829-2015 proposto da:

P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ZARA N. 13, presso lo studio dell’avvocato GIULIO GUARNACCI, rappresentato e difeso dagli avvocati SIMONA PRIOLO e GIOVANNI DELUCCA;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI RIMINI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO GIUFFRE’, rappresentata e difesa dall’avvocato BEATRICE BELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1610/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 19/11/2014 R.G.N. 933/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Rimini che aveva accolto il ricorso, ha respinto tutte le domande proposte da P.V., Segretario generale della Provincia di Rimini sino al 31 dicembre 2005, il quale aveva convenuto in giudizio l’ente territoriale chiedendo, per quel che ancora interessa in mesta sede, la condanna della Provincia a corrispondere anche per gli anni 2001, 2002 e 2003 la maggiorazione della retribuzione di posizione prevista dal combinato disposto dell’art. 41, comma 4, del CCNL 16 maggio 2001, 1 e 4 del CCDN sottoscritto il 23 dicembre 2003, maggiorazione che la Provincia aveva, invece, liquidato nella misura del 39% solo per gli anni 2004 e 2005;

2. la Corte territoriale ha rilevato che il c.c.n.l. aveva rinviato la disciplina di dettaglio della maggiorazione al contratto decentrato che, quindi, costituiva condizione di erogabilità dell’aumento;

3. ha aggiunto che le parti collettive avevano espressamente previsto, con l’art. 4, comma 1, del CCDN che gli effetti dell’accordo integrativo avrebbero avuto decorrenza dalla data di stipulazione dello stesso sicché la previsione, contenuta nel comma 2 della stessa clausola, della salvezza dei provvedimenti già adottati si riferiva agli atti che avevano riconosciuto la maggiorazione, a prescindere dall’intervento della fonte collettiva, e non a quelli che riguardavano esclusivamente i presupposti soggettivi richiesti dall’accordo decentrato;

4. ha precisato che a queste conclusioni conduceva il criterio interpretativo letterale del CCDN e del successivo accordo del 2005, criterio da ritenere prioritario lì dove il testo della disposizione non dia luogo ad incertezze;

5. per la cassazione della sentenza P.V. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese con tempestivo controricorso la Provincia di Rimini;

6. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 41, comma 4, del CCNL segretari comunali e provinciali del 16.5.2001, dell’art. 4 del CCDN del 22.12.2003, come interpretato dalle parti stipulanti il 12.7.2005, nonché degli artt. 1362 e seguenti c.c. e addebita, in sintesi, alla Corte territoriale di avere, con motivazione “scarna e sbrigativa” fatto ricorso al criterio letterale, ritenuto prioritario, sebbene la clausola di salvaguardia non avesse contenuto univoco e, pertanto, obbligava a ricercare la comune intenzione delle parti le quali, con il comportamento successivo, avevano manifestato la volontà di valorizzare ai fini della maggiorazione anche gli incarichi aggiuntivi attribuiti in data antecedente la sottoscrizione del contratto decentrato, purché successiva alla stipula di quello nazionale;

1.1. aggiunge il ricorrente che le clausole contrattuali devono essere interpretate le une per mezzo delle altre e devono tener conto della volontà dei contraenti che nella specie era all’evidenza volta ad attribuire un ulteriore compenso a quei segretari ai quali l’ente avesse attribuito, nel rispetto della L. n. 267 del 2000, art. 97, ulteriori funzioni;

2. il secondo motivo, ricondotto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta la violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c., degli artt. 3 e 36 Cost., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 perché il giudice d’appello non ha considerato la funzione della maggiorazione, che è quella di adeguare la retribuzione alla qualità e quantità dei servizi prestati, in armonia con un sistema che introduce livelli retributivi differenziati in funzione maggiori o minori responsabilità derivanti dalla tipologia dell’ente di assegnazione; 2.1. ribadisce il ricorrente che gli incarichi valorizzati dalla Provincia per giustificare la maggiorazione negli anni 2004 e 2005, pacificamente riconducibili alle condizioni soggettive ed oggettive richieste dalla tabella A allegata al CCDN 22.12.2003, erano già stati svolti in precedenza, sicché la Corte territoriale avrebbe dovuto condannare l’ente al pagamento della somma richiesta, il cui importo non era stato oggetto di specifica contestazione;

3. i motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati;

3.1. occorre innanzitutto evidenziare che l’interpretazione data dal giudice del merito alla “clausola di salvezza” contenuta nell’art. 4 del CCND sottoscritto il 22 dicembre 2013, come autenticamente interpretata dal successivo accordo del 2 maggio 2005, non contrasta in alcun modo con la disciplina dettata dal CCNL 16.4.2001 che, all’art. 41, dopo avere indicato nei commi da 1 a 3 l’ammontare della retribuzione di posizione spettante ai segretari comunali e provinciali, quantificandola con riferimento “alla rilevanza delle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilità in relazione alla tipologia dell’ente di cui il segretario è titolare” (comma 1), al comma 4 aggiunge che gli enti “nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto della capacità di spesa, possono corrispondere una maggiorazione dei compensi ” e rimette alla contrattazione decentrata integrativa nazionale la disciplina delle condizioni, dei criteri e dei parametri di riferimento per la definizione delle predette maggiorazioni;

3.2. il successivo comma 6, operando l’estensione anche ai segretari comunali e provinciali del principio di onnicomprensività che caratterizza il trattamento economico dirigenziale, aggiunge che “la retribuzione di posizione nel valore annuo definito ai sensi del precedente comma 3 assorbe ogni altra forma di compenso connessa alle prestazioni di lavoro, ivi compreso quello per lavoro straordinario”, con la sola eccezione dei diritti di segreteria previsti dall’art. 37, lett. d), dello stesso contratto;

3.3. l’art. 4 del CCNL, nell’indicare le materie di competenza della contrattazione decentrata, oltre a ribadire che fra le stesse rientra la disciplina delle maggiorazioni della retribuzione di posizione (lett. c), al comma 3 aggiunge che “il contratto decentrato integrativo non può essere in contrasto con i vincoli derivanti dal contratto collettivo nazionale o comportare oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale del bilancio dell’Agenzia nazionale e degli enti. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate”;

3.4. il contratto nazionale, che questa Corte può direttamente interpretare ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5 e dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, subordina la maggiorazione della retribuzione di posizione alla ricorrenza di specifiche condizioni ed in particolare richiede, oltre al previo intervento della contrattazione integrativa, una decisione in tal senso degli enti che “possono” deliberare l’aumento nei soli limiti “delle risorse disponibili e delle capacità di spesa”, vincoli, questi, il cui rispetto è imposto anche alla contrattazione integrativa, la quale non può comportare, a pena di nullità delle clausole difformi, “oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale del bilancio”;

3.5. il secondo motivo di ricorso, che invoca l’art. 36 Cost. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nel sostenere che le “attività aggiuntive” dovevano comunque essere retribuite per adeguare il corrispettivo alla qualità e quantità della prestazione resa, si pone, quindi, in contrasto con il chiaro tenore della contrattazione nazionale che, al contrario, stabilisce, come regola di carattere generale, il principio di onnicomprensività della retribuzione di posizione contrattuale, e consente la maggiorazione, non obbligatoria ma discrezionale, solo in presenza di specifiche condizioni che limitano la facoltà unilaterale del datore di lavoro pubblico di discostarsi dagli importi fissati, in via generale e onnicomprensiva, dalle parti collettive;

4. in questo contesto si è inserito il contratto decentrato, sulla cui interpretazione si controverte, che, dopo avere indicato i criteri, i parametri e le condizioni oggettive e soggettive per la maggiorazione, all’art. 4 ha precisato che “gli effetti del presente accordo integrativo decorrono dalla data di stipulazione dello stesso. Le amministrazioni danno esecuzione agli atti già assunti ed utilizzano anche le risorse eventualmente individuate. Sono fatti salvi i provvedimenti già adottati”, in relazione ai quali il successivo accordo del 2 maggio 2005 ha stabilito che “la clausola di salvaguardia è da intendersi limitata esclusivamente agli atti e ai provvedimenti successivi al 16 maggio 2001, data di sottoscrizione del vigente CCNL di categoria, e in conformità con quanto previsto dalla medesima contrattazione decentrata”;

4.1. la Corte territoriale, sia pure con motivazione sintetica, ha ritenuto che già il solo tenore letterale delle espressioni utilizzate (atti, provvedimenti) sia idoneo a circoscrivere l’ambito di efficacia della clausola di salvezza alle sole determinazioni assunte dalle amministrazioni interessate quanto alla maggiorazione della retribuzione di posizione, ossia a quegli atti che, anticipando la contrattazione integrativa non ancora intervenuta, ma, comunque, in assenza di contrasto con le previsioni della stessa, avevano già dato attuazione al comma 4 dell’art. 41 del CCNL, senza attendere la definizione dei criteri, delle condizioni e dei parametri rimessa alla sede decentrata;

4.2. così ragionando il giudice del merito non è incorso nella denunciata violazione dell’art. 1362 c.c. perché la norma citata, nel prescrivere all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, che resta prioritario per ricostruire l’effettiva volontà delle parti, e ” al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile” (Cass. n. 21576/2019 e con riferimento all’interpretazione dei contratti collettivi Cass. n. 26961/2019; Cass. n. 21888/2016; Cass. n. 19357/2013);

4.3. l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui l’interpretazione della volontà contrattuale si traduce in un’indagine di fatto riservata al giudice del merito (cfr. fra le più recenti Cass. n. 9461/2021 e la giurisprudenza ivi richiamata), è stato precisato evidenziando che costituisce questione di merito, rimessa al giudice competente, valutare il grado di chiarezza della clausola contrattuale, ai fini dell’impiego articolato dei vari criteri ermeneutici, compreso quello rappresentato dal comportamento complessivo delle parti (Cass. n. 8958/2021; Cass. n. 12360/2014), sicché il ricorrente per cassazione non si può limitare a denunciare l’erroneità di detto giudizio, sul rilievo che il dato letterale sarebbe privo della ritenuta chiarezza, né può solo contrapporre a quella della sentenza impugnata l’interpretazione disattesa dalla Corte territoriale (cfr. fra le tante Cass. n. 9461/2021; Cass. n. 995/2021; Cass. n. 27136/2017), perché la cognizione del giudice di legittimità resta limitata alla corretta applicazione delle regole che presiedono all’attività interpretativa e, pertanto, le censure non possono essere finalizzate a sollecitare, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una interpretazione diretta della clausola ad opera del giudice di legittimità;

4.4. il ricorrente, nell’addebitare alla Corte territoriale di avere errato nel ritenere chiaro il riferimento agli “atti e provvedimenti”, a suo dire non sufficiente a manifestare la volontà delle parti di fare salve le sole maggiorazioni già concesse nelle more fra la sottoscrizione del CCNL e la stipula dell’accordo decentrato, non indica alcun elemento interno al contratto o un indice esterno che sia idoneo a rivelare una diversa volontà delle parti collettive, ed inoltre, nel sostenere che la clausola di salvezza doveva ricomprendere anche i soli atti di attribuzione delle funzioni, a prescindere dall’espressa fissazione del compenso, svaluta del tutto, non solo il tenore letterale della clausola in contestazione (che va letta nel suo complesso e fa riferimento alla “esecuzione” degli atti già assunti nonché alle “risorse eventualmente individuate”), ma anche le previsioni della contrattazione nazionale, con la quale l’accordo decentrato deve necessariamente essere armonizzato;

4.5. si è già detto che il contratto nazionale, oltre ad escludere la doverosità della maggiorazione ed a consentirla nei limiti “delle risorse disponibili e nel rispetto della capacità di spesa”, sancisce la nullità delle clausole del contratto decentrato che contrastino con detti vincoli e che comportino oneri “non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale del bilancio dell’Agenzia nazionale e degli enti”, sicché, interpretata nei termini sollecitati dal ricorrente, la contrattazione decentrata non si sottrarrebbe alla sanzione della nullità, perché introdurrebbe, sia pure in via transitoria, un obbligo di retribuzione degli incarichi aggiuntivi ed una spesa non prevista, per gli anni di riferimento, nei bilanci degli enti interessati;

4.6. l’art. 1367 c.c. impone al giudice, nella scelta fra diverse opzioni esegetiche, di privilegiare l’interpretazione che garantisce la conservazione della clausola rispetto a quella che la renderebbe priva di effetti, sicché la sentenza impugnata che quest’ultima Interpretazione ha correttamente disatteso va confermata, con integrazione della motivazione ex art. 384 c.p.c., comma 4;

5. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

6. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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