LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31645/2019 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avv.to MARCO MICHELE PICCIANI che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto n. 1977/2019 emesso dal TRIBUNALE DI CAMPOBASSO depositato in data 29/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2021 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO IN FATTO
Che:
S.M., cittadino del Bangladesh, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essersi allontanato dal proprio paese a seguito della perdita di tutti i propri beni a causa di un’alluvione, e in ragione delle condizioni di insicurezza e di inemendabile povertà del Bangladesh;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento S.M. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Campobasso, che ne ha disposto il rigetto con decreto del 29/8/2019;
a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’estraneità, delle ragioni indicate dal ricorrente a fondamento delle proprie domande, all’ambito dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione rivendicate; 2) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;
tale decreto è stato impugnato per cassazione da S.M. con ricorso fondato su due motivi;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con i due motivi d’impugnazione proposti, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il Tribunale di Campobasso erroneamente escluso il ricorso dei presupposti per il riconoscimento del diritto del ricorrente a un permesso di soggiorno per motivi umanitari, in considerazione della grave situazione sociale, politica ed economica del Bangladesh, e della gravissima situazione economica dell’istante, posto in condizione di non poter più provvedere alla propria sussistenza in vita;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati;
osserva al riguardo il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);
nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;
in particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;
in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio “personalizzato” mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla “biografia”) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona;
in tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica “vulnerabilità”) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (qualitativà) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);
proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;
nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;
ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver apoditticamente escluso che il ricorrente fosse affetto da “stati patologici di rilievo” o che lo stesso presentasse “specifici caratteri di vulnerabilità”, ha di seguito totalmente trascurato di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione in via ufficiosa delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a singoli fattori, volta a volta riconducibili a ragioni di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;
ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale”;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza delle censure esaminate, dev’essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato, con il conseguente rinvio al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021