LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16429-2015 proposto da:
G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. VALESIO n. 1, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO PACE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARMELA ROSARIA DI SALVO;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE IZZO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLA FRASCHINI, EMILIO LUIGI PREGNOLATO, ANTONELLO MANDARANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1151/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/01/2015 R.G.N. 398/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. La Corte d’ Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da G.S., agente di Polizia Municipale del COMUNE di MILANO, per il risarcimento del danno subito a seguito dell’infortunio del 25 maggio 2008.
2. La Corte territoriale non condivideva la valutazione del giudice del primo grado nel punto in cui aveva ritenuto che la domanda di risarcimento del danno fosse preclusa della mancata opposizione della lavoratrice al provvedimento dell’INAIL, che non aveva riconosciuto la natura di infortunio sul lavoro dell’evento; osservava che la mancata opposizione avrebbe potuto rilevare unicamente nella liquidazione del danno, essendo il datore di lavoro responsabile del solo danno differenziale.
3. Concordava, invece, con il primo giudice sul rilievo della mancanza di prova del nesso causale tra la prestazione lavorativa ed il danno.
4. Il teste M. aveva dichiarato che, per quanto riferito dalla stessa G., nessuno aveva assistito al fatto. La G. era uscita dalla palazzina degli uffici e si trovava in un’area destinata alla polizia locale; non era chiaro se si trattasse di una pausa di lavoro, circostanza che il COMUNE negava mentre la lavoratrice assumeva trattarsi di pausa per attività su videoterminale.
5. Anche a voler ritenere l’area esterna come pertinenziale agli uffici e la pausa in tale area legittima, mancava la prova del nesso di causa tra le condizioni generali dell’area ed il fatto.
6. L’allegazione della lavoratrice sul fatto che ella stesse procedendo sulla striscia di cemento utilizzata per il camminamento che dal cancello di ingresso portava alla palazzina degli uffici non aveva trovato riscontro probatorio diretto. A maggior ragione non era dimostrato che il camminamento non perfettamente livellato fosse stato causa dell’evento, non essendo noto dove la G. si trovasse al momento della caduta. Non era pertanto dimostrato che fosse causa della caduta un difetto di manutenzione o segnalazione del pericolo da parte del Comune: i testi avevano riferito che nella zona non si erano verificati in precedenza infortuni e che parte dell’area era destinata anche a parcheggio delle autovetture; il vialetto di cui alla fotografia n. 4 portava ad un ingresso carrabile e non a quello pedonale mentre quest’ultimo non presentava i difetti lamentati dalla lavoratrice.
7. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza G.S., articolato in quattro motivi di censura, cui ha resistito con controricorso il COMUNE DI MILANO, illustrato con memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa il fatto, decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, che ella poteva effettuare la pausa di lavoro nell’area esterna all’ufficio, fatto risultante dalle dichiarazioni del teste M. (trascritte in questa sede per stralcio) e dell’altro teste escusso.
2. Con il secondo mezzo si deduce- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – falsa applicazione degli artt. 2087 e 1218 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c..
3. La censura coglie la statuizione relativa al difetto di prova del nesso di causa tra le condizioni generali dell’area esterna ed il fatto.
4. La parte ricorrente ha evidenziato che, trattandosi di responsabilità contrattuale, il riparto degli oneri probatori è regolato dall’art. 1218 c.c., sicché è il debitore a dovere provare l’adempimento o l’impossibilità della prestazione per causa non imputabile.
5. Nella specie risultavano violate le disposizioni del D.P.R. n. 574 del 1955, art. 8 (Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi) e dell’allegato IV 1.4 D.Lgs. n. 81 del 2008: entrambi i testi avevano dichiarato che non vi erano cartelli o avvisi che segnalassero il pericolo (l’irregolarità del suolo o della pavimentazione). L’inosservanza di specifiche norme di prevenzione dimostrava la colpa del datore di lavoro (che neppure aveva depositato il documento di valutazione dei rischi).
6. Si assume, altresì, la erroneità della identificazione della “occasione di lavoro”, che ben può sussistere anche durante la pausa lavorativa, quando i comportamenti tenuti dal lavoratore non siano abnormi. Del pari si censura la identificazione del luogo di lavoro, evidenziando come, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 62, si intende per tale ogni pertinenza della azienda accessibile al lavoratore.
7. Con la terza critica – formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si torna a denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella circostanza che il camminamento sul quale ella era caduta era pericoloso.
8. Il ricorrente ha dedotto che il fatto risultava dalle dichiarazioni del teste M. e del teste C..
9. Il quarto motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, che nella zona dell’incidente non vi era alcun segnale di pericolo, fatto parimenti risultante dalle dichiarazioni del teste C. e del teste M..
1. Il ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione, è inammissibile.
2. La Corte territoriale ha fondato il rigetto della domanda risarcitoria sulla mancanza di prova delle circostanze nelle quali si era verificato l’infortunio e, dunque, dell’eventuale rapporto con una situazione di pericolo riguardante l’area pertinenziale agli uffici e non adeguatamente segnalata dal datore di lavoro.
3. Rispetto a tale ratio decidendi non sono pertinenti le censure svolte con il secondo motivo di ricorso, sotto il profilo della violazione delle regole di riparto dell’onere della prova dell’inadempimento e della colpa nelle obbligazioni contrattuali e di individuazione dell'”occasione di lavoro” e del “luogo di lavoro”. Trattasi, invero, di un accertamento di fatto relativo al rapporto di causalità tra l’inadempimento dedotto dal creditore ed il danno, per il quale l’onere della prova cade a carico del medesimo creditore.
4. Il fatto, accertato dal giudice dell’appello, che non vi fosse prova del luogo in cui la G. era caduta (pagina 7 della sentenza, ultimo capoverso, primo periodo) e, pertanto, del rapporto tra eventuali irregolarità dell’area (non segnalate) e la stessa caduta costituisce un tipico accertamento di merito.
5. Con il primo, il terzo ed il quarto motivo di impugnazione la parte ricorrente non ha allegato alcun fatto storico, di rilievo decisivo ed oggetto del contraddittorio, non esaminato dal giudice dell’appello nel compiere detta valutazione.
6. Il primo motivo riguarda, infatti, una mera premessa del ragionamento decisorio, priva di autonoma rilevanza; il terzo ed il quarto non si riferiscono ad un fatto storico ma al mancato esame di elementi istruttori, che, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
7.Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
8. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021