LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26391/2015 proposto da:
A.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BOCCA di LEONE n. 78, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA MILITERNI, rappresentato e difeso dagli avvocati ETTORE FRANCESCO BELLO, e GIOVANNI MARCHESE;
– ricorrente –
contro
ASSESSORATO DELLE AUTONOMIE LOCALI E DELLA FUNZIONE PUBBLICA DELLA REGIONE SICILIANA, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia in ROMA VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente –
nonché
ASSESSORATO AGRICOLTURA E FORESTE DELLA REGIONE SICILIANA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1452/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 22/10/2014 R.G.N. 1512/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dell’8/07/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
Che:
1. la Corte d’Appello di Messina ha respinto l’appello di A.P. avverso la sentenza del Tribunale di Patti che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti dell’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica della Regione Siciliana, volto ad ottenere l’accertamento del diritto ad essere inquadrato nella categoria D4 con decorrenza dal 1 dicembre 2001 e la conseguente condanna dell’amministrazione convenuta a corrispondere le differenze retributive maturate sino al pensionamento avvenuto il 31 marzo 2002, ivi comprese quelle conseguenti al ricalcolo del trattamento di fine rapporto;
2. la Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità delle domande subordinate di risarcimento del danno e di attribuzione dell’assegno ad personam, formulate solo in grado di appello, e per il resto ha ritenuto infondato il gravame rilevando che l’art. 13 dell’accordo 28 febbraio 2001 per il rinnovo contrattuale dei dipendenti regionali con qualifica non dirigenziale, recepito con D.P. 22 giugno 2001, n. 10, aveva previsto, quale condizione per il superiore inquadramento, l’utile partecipazione ad un percorso di formazione e verifica che prevedeva l’affiancamento, secondo le modalità previste dall’accordo sindacale del 27 febbraio 2002, e solo in caso di legittimo impedimento la frequenza di un corso organizzato dal Dipartimento Regionale del Personale e dei Servizi Generali nonché, quale ulteriore alternativa, il superamento dell’esame colloquio condotto da apposita commissione;
3. l’ufficio legislativo aveva chiarito che i dipendenti collocati in quiescenza prima dell’ultimazione del percorso formativo non avrebbero potuto beneficiare della progressione, potendo solo conservare a titolo di assegno personale gli aumenti economici percepiti nelle more del perfezionamento della procedura;
4. l’ A., pertanto, non aveva titolo per ottenere l’inquadramento superiore in quanto non aveva effettuato il percorso di affiancamento, non in ragione di un legittimo impedimento, bensì perché alla data del 1 aprile 2002 era stato collocato in quiescenza;
5. il giudice d’appello ha precisato che le diverse possibilità di progressione erano state configurate in forma gradata l’una rispetto all’altra e presupponevano tutte la permanenza in servizio, ed ha aggiunto che, in ogni caso, non risultava da alcun atto di causa che l’ A. avesse sostenuto e superato il colloquio previsto quale residuale condizione equipollente al percorso formativo;
6. per la cassazione della sentenza A.P. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria, al quale ha opposto difese l’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica della Regione Siciliana, mentre è rimasto intimato l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana.
CONSIDERATO
Che:
1. il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P. 22 giugno 2001, n. 10, art. 13, nella parte in cui prevede che il personale appartenente alle categorie D1 e D2 con almeno dieci anni di effettivo servizio ed in possesso del diploma di secondo grado “viene collocato in categoria D4 con verifica delle attitudini tecnico professionali a seguito del corso di formazione”;
1.1. il ricorrente rileva di non avere potuto partecipare al corso di formazione, perché non organizzato dall’amministrazione, e di non avere effettuato l’affiancamento, previsto dall’accordo contrattuale dell’8 maggio 2003, in quanto nel frattempo collocato in quiescenza;
1.2. sostiene, però, di avere superato il colloquio finalizzato alla verifica delle competenze tecnico professionali e deduce che lo stesso doveva essere ritenuto titolo equipollente al corso di formazione, in ragione di quanto stabilito con l’accordo contrattuale sopra indicato che, appunto, aveva specificato le diverse modalità di accertamento dell’idoneità a ricoprire la posizione superiore;
2. in via preliminare deve essere dichiarata inammissibile l’impugnazione proposta nei confronti dell’Assessorato Agricoltura e Foreste;
premesso che nella Regione Sicilia l’attività amministrativa fa capo, con rilevanza esterna, ai singoli assessorati, sicché ciascuno di essi è legittimato a stare in giudizio per il ramo di attività amministrativa allo stesso riferibile (Cass. S.U. n. 16861/2011), va detto che la legittimazione a proporre impugnazione o a resistere alla stessa spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata (cfr. fra le tante Cass. n. 15356/2020; Cass. n. 13584/2017; Cass. n. 20789/2014), che nella specie è stata pronunciata nei soli confronti dell’Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica, che è quindi l’unico soggetto legittimato a partecipare al giudizio di cassazione;
3. è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente;
il Decreto Presidenziale n. 10 del 2001, del quale si denuncia la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, ha recepito l’accordo per il rinnovo contrattuale del personale regionale per il biennio 2000/2001, ai sensi della disciplina dettata dalla L.R. Sicilia 19 giugno 1991, n. 38, art. 11, secondo cui “Gli accordi stipulati a seguito di contrattazione regionale, sulla base di specifiche previsioni degli accordi nazionali per il personale degli enti locali e del Servizio sanitario nazionale, sono resi esecutivi mediante decreto del Presidente della Regione, previa Delib. della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore competente.”;
3.1. alla data di adozione del decreto, infatti, per effetto della previsione contenuta nella L.R. Sicilia 3 maggio 2001, n. 6, art. 57 (interpretato autenticamente dalla L.R. n. 20 del 2001, art. 6) non era stata avviata la diversa procedura di contrattazione, disciplinata della L.R. 15 maggio 2000, n. 10, artt. 24 e segg., in relazione alla quale la rappresentanza negoziale della Regione è affidata all’ARAN Sicilia, istituita ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 50, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 46;
3.2. al decreto, in quanto destinato unicamente a rendere esecutivo l’accordo di rinnovo, non può essere riconosciuta natura normativa, sicché non può essere denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle disposizioni contrattuali recepite, né la Corte di Cassazione può procedere alla loro diretta interpretazione, trattandosi di attività riservata al giudice di merito, che può essere censurata in sede di legittimità solo qualora l’esegesi sia stata condotta senza il necessario rispetto dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. c.c. (in tal senso già Cass. n. 85/2018);
4. quanto alla contrattazione collettiva deve essere richiamato l’orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, con la conseguenza che l’esegesi del contratto collettivo di ambito territoriale è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi della motivazione, nei limiti in cui questi rilevano secondo la normativa processuale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. 33399/2019, Cass. nn. 156 e 85 del 2018 che richiamano Cass. n. 17716/2016, Cass. 7671/2016, che ha escluso l’applicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e dell’art. 360 c.p.c., n. 3 al CCRL per il personale dirigenziale della Regione Sardegna, Cass. n. 24865/2005 che ha ritenuto inapplicabile la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, per i contratti nazionali ai contratti stipulati dalle province e dalle regioni a statuto speciale);
4.1. poiché, quindi, per i contratti regionali non opera l’assimilazione sul piano processuale alla norma di diritto, prevista dai richiamati D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli stessi vale il principio generale secondo cui l’accertamento della volontà delle parti trasfusa nel negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice del merito e pertanto in sede di legittimità il ricorrente per censurare validamente l’interpretazione delle disposizioni contrattuali è tenuto ad individuare le regole legali in tesi violate, mediante specifica indicazione delle norme e dei principi in esse contenuti, ed a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni di ermeneutica;
5. il ricorso, oltre a denunciare inammissibilmente ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 13 dell’accordo per il rinnovo contrattuale del personale regionale, è tutto incentrato sull’equipollenza fra il percorso di affiancamento ed il colloquio e non coglie pienamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale, oltre a ritenere che l’esame potesse essere sostenuto solo in caso di legittimo impedimento e presupponesse la permanenza in servizio, ha anche aggiunto: “appare evidente come l’appellante non potesse essere ammesso al percorso né risulta da alcun atto di causa che egli abbia mai sostenuto il colloquio previsto, in ultima battuta, quale strumento equipollente ai fini del percorso formativo” (pag. 6 della motivazione);
5.1. l’accertamento di fatto circa l’assenza di prova del superamento del colloquio è in sé sufficiente a sorreggere la pronuncia di rigetto ed il ricorrente, pur prospettando una diversa ricostruzione degli accadimenti ed insistendo sull’utile espletamento del colloquio, a suo dire provato dall’attestato del 5.2.2002, non individua né denuncia il vizio nel quale la Corte territoriale sarebbe incorsa, limitandosi a sollecitare, quanto a quest’aspetto, una revisione del giudizio di merito, non consentita al giudice di legittimità;
6. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;
7. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021