Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32372 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13921-2020 proposto da:

J.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONIO ANGELELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO MARIO PASQUALINO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 288/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE PARISE.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 288/2020 pubblicata il 20-2-20 la Corte D’Appello di Palermo ha respinto l’appello proposto da J.B., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della stessa domanda da parte della competente Commissione Territoriale. La Corte d’appello ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione, avuto riguardo alla situazione generale del Gambia, descritta con indicazione delle fonti di conoscenza, nonché condividendo il giudizio di non credibilità, espresso dal Tribunale, della vicenda personale narrata dal richiedente, il quale aveva riferito di essere fuggito dal suo Paese perché accusato ingiustamente di aver violentato una ragazza e perché temeva, pur non avendo ricevuto alcuna accusa da parte della Polizia, che, in caso di rimpatrio in Gambia, lo zio materno lo avrebbe denunciato alla Polizia.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3.Con il primo motivo il ricorrente deduce di aver diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 1 del 2007, art. 14, lett. c), a causa del conflitto armato in corso nel suo Paese e denuncia la violazione del dovere di cooperazione istruttoria per avere la Corte d’appello citato fonti di informazione non aggiornate al momento della decisione (COI 2017 e report di Amnesty Internationale del 18-2-2018).

4. Il motivo è inammissibile, atteso che il ricorrente si limita a richiamare la normativa di riferimento, rimarcando il ruolo attivo del giudice nell’istruzione della domanda, e neppure allega che la situazione del suo Paese sia peggiorata rispetto a quella descritta nelle fonti di conoscenza citate nella sentenza impugnata, né tantomeno indica in base a quali diverse o più aggiornate fonti di conoscenza ciò possa desumersi (cfr. Cass. n. 899/2021), essendo così la censura priva di specificità.

5. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria e deduce che la Corte di merito non ha tenuto conto della sua specifica vulnerabilità perché è partito dal suo Paese quando era minorenne e svolge in Italia attività di lavoro a tempo indeterminato, come da contratto e buste paga depositati in secondo grado, che indica con la specifica numerazione del fascicolo di secondo grado (cfr. pag.n. 7 e n. 8 ricorso).

6. Il motivo è fondato.

6.1. Occorre premettere, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, nella sentenza impugnata non v’e’ menzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il ricorrente denuncia il vizio della sentenza anche ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deduce che la Corte di merito non ha preso in considerazione, e dunque esaminato, la sua attuale situazione lavorativa in Italia, documentata anche in appello, richiamando gli allegati prodotti in appello (comunicazione UNILAV dell’8-3-2019 e busta paga), come da fascicolo di secondo grado depositato anche nel presente giudizio. I citati documenti sono indicati con sufficiente specificità nel ricorso (Cass. S.U. n. 34469/2019) e concernono un fatto storico (fattore dell’integrazione lavorativa del richiedente in Italia) astrattamente idoneo a configurarsi come decisivo (cfr. Cass. n. 16812/2018) nella valutazione del radicamento del ricorrente nel Paese di accoglienza e nella comparazione con la sua situazione nel Paese di origine (Cass. S.U. n. 29459/2019), sicché ricorre, nei limiti di cui si è appena detto, il vizio denunciato.

6. In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, con la cassazione della sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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