Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32385 del 08/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18375/2015 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TERENZIO 7, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SMERILLI, che lo rappresentato e difeso;

– ricorrente –

contro

C.N.P.A.D.C. – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo studio degli avvocati ANGELO PANDOLFO, SILVIA LUCANTONI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 689/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 24/07/2014 R.G.N. 353/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/06/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello Bologna, con sentenza n. 689 del 2014, ha dichiarato cessata la materia del contendere relativamente all’accertamento della legittimità dell’applicazione del contributo di solidarietà da parte della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti (d’ora in avanti CNPADC) alla pensione erogata al Dott. B.E. per il periodo 2004-2008 e, ritenuta la legittimità della imposizione del medesimo contributo per gli anni successivi, ha rigettato l’impugnazione proposta dal B. nei confronti di CNPADC avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda dello stesso avente ad oggetto l’accertamento della illegittimità del pagamento di Euro 16167,42 a titolo di contribuzione omessa, interessi e sanzioni, oltre che la declaratoria dell’illegittimità del contributo di solidarietà impostogli, con consequenziale richiesta di restituzione di Euro 5690,75 a tale scopo trattenute dalla Cassa;

tale sentenza è impugnata per cassazione dal Dottor B.E. sulla base di tre motivi;

resiste la Cassa con controricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che sostituendo il primo ed il secondo periodo della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, aveva facoltizzato gli enti previdenziali ad adottare i provvedimenti necessari ad assicurare l’equilibrio finanziario tenendo conto del principio del pro rata, inoltre, in relazione alla interpretazione datane dalla sentenza impugnata al fine di ritenere la legittimità del contributo di solidarietà applicato dalla Cassa per i periodi dal 2009 al 2013 e dal 2014 al 2018, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto (Cass. n. 53 del 2015), dal momento che la facoltà di adottare atti e delibere finalizzate ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine non si- poteva correlare alla misura del contributo di solidarietà per sua natura di carattere straordinario e limitato nel tempo;

con il secondo motivo, si deduce la omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia che si rinviene nella necessità di considerare il principio dell’affidamento;

con il terzo motivo, si denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, in relazione al punto della sentenza impugnata che aveva ritenuto legittima l’applicazione delle sanzioni, pari ad Euro 16.167,42, per il mancato assoggettamento a contribuzione dei redditi percepiti dall’attività della società B. e M. (composta non esclusivamente da commercialisti) nonostante la buona fede in cui versava in ordine all’effettiva esistenza dell’obbligo;

i primi due motivi, atteso che il secondo più che un autonomo vizio va inteso quale ulteriore illustrazione dell’errore di diritto enunciato nel primo, vanno trattati congiuntamente e sono fondati;

i motivi sono attinenti alla natura del contributo di solidarietà ed alla verifica della sua legittimità anche in relazione alla realizzazione di equilibri di bilancio;

per la illegittimità di tale contributo si è espresso un consolidato orientamento, anche confermato con le più recenti decisioni, assunto da questa Corte di legittimità (da ultimo Cass. n. 982/2019; n. 603/2019; n. 16814/2019; n. 28054/2020);

si è affermato che “In materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati (nella specie, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti) non possono adottare, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel “genus” delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore” (Cass. n. 31875/2018); Cassazione n. 603/2019 ha ulteriormente rilevato che “Appare utile, al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, richiamare, altresì, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 486, ha affermato che si è in presenza di un “prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)”;

sulla base delle considerazioni che precedono deve concludersi nel senso che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto, come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un “criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore”;

le argomentazioni svolte in seno al controricorso dalla Cassa, non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati in occasione delle svariate volte in cui questa Corte si è pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato ed i motivi devono, pertanto, essere accolti;

il terzo motivo va, invece, rigettato;

in sostanza, il ricorrente invoca l’esimente della buona fede al fine di escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. della L. n. 689 del 1981, per il positivo accertamento della responsabilità amministrativa ed a tal fine deduce di essersi trovato in uno stato di errore sulla liceità della condotta derivante dal fatto che alcuni soci non svolgevano attività di commercialista e che la Cassa non aveva fornito risposta ai chiarimenti richiesti;

l’assunto è infondato giacché anche di recente è stato ribadito da questa Corte che (cfr. Cass. n. 18469/2020; Cass. n. 20219/2018) l’esimente della buona fede, applicabile anche all’illecito amministrativo disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa (al pari di quanto avviene per quella penale in materia di contravvenzioni) solo quando sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso;

il dato oggettivo dell’omessa consapevole comunicazione del reddito tratto dalla attività professionale resa in forma societaria non diviene scusabile in forza dei dubbi sull’assoggettamento a contribuzione che il B. afferma di aver avuto, trattandosi di stato soggettivo assai distante da quello su cui si fonda la scriminante invocata ed impedisce quindi di poter invocare l’esimente ricollegata all’affidamento sui mancati rilievi da parte della Cassa, sicché va ribadito che (cfr. Cass. n. 9546/2018) il giudizio di colpevolezza è ricollegato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, essendo limitata l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante sicché, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (conf. Cass. S.U. n. 20930/2009), prova che deve escludersi sia stata fornita;

in definitiva, accolti i primi due motivi e rigettato il terzo, la sentenza va cassata quanto ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Bologna anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata quanto ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472