Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32387 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24207/2015 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO ANDREUCCI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 468/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/07/2015 R.G.N. 74/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 9.7.2015, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di C.C. volta alla corresponsione del TFR da parte del Fondo di tesoreria dell’INPS, a seguito della cessazione del suo rapporto di lavoro con Toscopan s.r.l..

La Corte, in particolare, ha ritenuto che l’accordo sindacale stipulato da Toscopan s.r.l. con le OO.SS. in data 5.10.2010, in virtù del quale, datosi atto della crisi in cui versava l’impresa, si era concordato che quest’ultima presentasse richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo e procedesse all’affitto e alla successiva cessione dell’azienda Toscana Pane s.r.l., anch’essa firmataria dell’accordo, che a sua volta avrebbe proceduto a riassumere in servizio solo una parte della manodopera precedente occupata dalla cedente, non fosse idoneo a derogare alla previsione dell’art. 2112 c.c., essendo intervenuto prima dell’apertura della procedura concorsuale, con la conseguenza che le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice all’impresa cedente in data 12.10.2010 e la successiva riassunzione ad opera della cessionaria in data 14.10.2010 non potevano configurare una “cessazione del rapporto” idonea a giustificare la corresponsione del TFR da parte dell’INPS.

Avverso tali statuizioni C.C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. L’INPS ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., L. n. 428 del 1990, art. 47 e L. Fall., artt. 105 e 182, per avere la Corte di merito ritenuto che, affinché l’accordo sindacale in esecuzione del quale ella si era dimessa da Toscopan s.r.l. per essere successivamente riassunta da Toscana Pane s.r.l. potesse derogare all’art. 2112 c.c., occorreva che la sua stipulazione fosse successiva all’apertura della procedura di concordato preventivo e che ad essa avesse provveduto specificamente il curatore: ad avviso di parte ricorrente, infatti, ciò che rileverebbe, ai fini della possibilità di deroga all’art. 2112 c.c., è la circostanza che l’accordo sia intervenuto nell’ambito di una “crisi aziendale” L. n. 675 del 1977, ex art. 2, comma 5, lett. c), restando irrilevante che esso abbia preceduto o seguito l’apertura della procedura concorsuale.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., in relazione all’art. 2112 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’impianto pubblicistico della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 755, con cui è stato istituito il Fondo di tesoreria presso l’INPS, non consentisse deroghe in virtù di accordi individuali intercorsi fra impresa e lavoratore: secondo la prospettazione del ricorso, infatti, dovrebbe ritenersi consentita la stipulazione di accordi sindacali di natura transattiva che rechino una deroga convenzionale alla continuità del rapporto di lavoro garantita dall’art. 2112 c.c., quando si tratti di tutelare l’interesse preminente della salvaguardia del posto di lavoro.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.

Va anzitutto rimarcato che la questione oggetto del presente giudizio concerne la possibilità che nell’ambito di un trasferimento d’azienda si stipulino accordi sindacali idonei a derogare al principio di cui all’art. 2112 c.c., comma 1, secondo il quale il trasferimento dell’azienda non produce alcuna soluzione di continuità nel rapporto di lavoro, che continua con il cessionario alle medesime condizioni per le quali era stato stipulato dal cedente: come già ricordato nello storico di lite, i giudici di merito hanno infatti accertato che l’azienda presso la quale presta servizio l’odierna ricorrente è stata oggetto di un contratto di affitto (e di successiva cessione) da Toscopan s.r.l. a Toscana Pane s.r.l..

Ciò posto, va ricordato che la L. n. 428 del 1990, art. 47, nella formulazione vigente al tempo dei fatti per cui è causa, prevedeva, al comma 4-bis, che “nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’art. 2112 c.c., trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende: a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi della L. 12 agosto 1977, n. 675, art. 2, comma 5, lett. c); b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività”, e disponeva, al successivo comma 5, che “qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’art. 2112 c.c., salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore”, aggiungendo infine che “il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante”.

Tanto premesso, deve ritenersi che la fattispecie che qui occupa, in cui pacificamente s’e’ avuta continuazione dell’attività aziendale, rientri nell’ambito della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4-bis: il successivo comma 5 disciplina infatti i casi in cui “la continuazione dell’attività (aziendale) non sia stata disposta o sia cessata” e, ciò nonostante, nell’ambito di una procedura concorsuale finalizzata alla liquidazione dell’azienda, si raggiunga un accordo con un’impresa acquirente che preveda “il mantenimento anche parziale dell’occupazione”, ossia l’assunzione di lavoratori già occupati dall’impresa cessata e in fase di liquidazione concorsuale.

Ora, sebbene la sentenza impugnata abbia negato all’accordo sindacale del 5.10.2010 la possibilità di derogare all’art. 2112 c.c., comma 1, per essere stato stipulato prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo, deve in modo più radicale escludersi che un accordo sindacale stipulato in concomitanza con un trasferimento d’azienda possa in alcun modo derogare al principio posto dalla norma ult. cit.: e ciò a prescindere dal fatto che l’azienda oggetto di trasferimento sia di proprietà di un’impresa che versi in situazione di “crisi aziendale” L. n. 675 del 1977, ex art. 2, comma 5, lett. c), oppure si trovi sottoposta ad “amministrazione straordinaria”, ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999.

Nell’interpretare il combinato disposto delle norme contenute nella L. n. 428 del 1990, art. 47, commi 4-bis e 5, questa Corte, con le sentenze nn. 10414 e 10415 del 2020, ha infatti chiarito che, in simmetria con le deroghe consentite rispettivamente dal paragrafo 2 e dal paragrafo 1 dell’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE, il comma 4-bis appare destinato alle procedure non finalizzate alla liquidazione dell’azienda, laddove il successivo comma 5 presuppone la cessazione dell’attività d’impresa o comunque la sua non continuazione; e proprio tale diversità di ipotesi non consente di attribuire all’inciso che pure è contenuto in entrambi i commi in successione (e relativo al caso in cui sia stato raggiunto “un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione”) il medesimo significato normativo: altrimenti non si registrerebbe alcuna differenza tra l’ipotesi prevista dal comma 4-bis e quella del comma 5, in contrasto con la ratio della Direttiva e soprattutto con la finalità per la quale è stato introdotto il comma 4-bis da parte del D.L. n. 135 del 2009, art. 19-quater (conv. con L. n. 166 del 2009), ossia di dare esecuzione alla sentenza di condanna emessa da CGUE, 11.6.2009 (C-561/07), che aveva reputato la sussistenza di un contrasto della precedente normativa nazionale con la Direttiva cit..

Nella sentenza ult. cit., infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiaramente distinto, agli effetti dell’interpretazione delle deroghe alle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della Direttiva, “la situazione dell’impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi”, il cui procedimento mira a favorire la prosecuzione dell’attività dell’impresa nella prospettiva di una futura ripresa, rispetto alla situazione di imprese nei cui confronti siano in atto procedure concorsuali liquidatorie, rispetto alle quali la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata. E ha chiarito che, per la prima categoria di imprese, il diritto dell’Unione autorizza bensì gli Stati membri a prevedere che possano essere modificate “le condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa”, ma senza tuttavia “privare i lavoratori dei diritti loro garantiti dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23”.

Proprio per ciò deve escludersi che l’inciso “anche parziale” contenuto nella L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4-bis, possa abilitare l’accordo sindacale ivi contemplato a disporre in senso limitativo del trasferimento dei lavoratori dell’impresa cedente a quella cessionaria: l’obbligo di interpretazione conforme rispetto al diritto dell’Unione induce piuttosto a ritenere che esso possa disporre solo modifiche (anche in peius) all’assetto economico-normativo in precedenza acquisito dai singoli lavoratori, ma non anche derogare al passaggio automatico dei lavoratori all’impresa cessionaria (così Cass. nn. 10414 e 10415 del 2020, cit., in motivazione).

E’ giusto il caso di soggiungere che le anzidette conclusioni, che escludono che il rapporto di lavoro dell’odierna ricorrente abbia patito soluzioni di continuità tali da determinare l’insorgere del diritto al TFR, non mutano per il fatto che all’accordo stipulato ai sensi della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4-bis, abbiano fatto seguito le dimissioni da Toscopan s.r.l. e la successiva riassunzione alle dipendenze di Toscana Pane s.r.l.: operando ex lege il trasferimento del rapporto di lavoro in presenza di trasferimento d’azienda, si tratta di negozi chiaramente nulli per difetto di causa; ed è appena il caso di soggiungere che contrari argomenti non possono desumersi da Cass. n. 12573 del 2006, che ha affermato che la L. n. 428 del 1990, art. 47, non precluderebbe la stipulazione di accordi sindacali di natura transattiva che rechino una deroga convenzionale alla continuità di lavoro, in funzione della preminenza dell’esigenza di salvaguardia del posto di lavoro sull’interesse alla continuità dei singoli rapporti di lavoro: trattasi infatti di principio di diritto che risulta affermato in riferimento al testo dell’art. 47 previgente alla modifica introdotta dal D.L. n. 135 del 2009 cit., art. 19-quater, per adeguare la normativa nazionale al diritto dell’Unione, e ormai certamente estraneo all’ipotesi, che qui occorre, del trasferimento d’azienda.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. La novità e complessità della vicenda suggeriscono la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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