LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4676/2020 proposto da:
E.B., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIA ALPAGOTTI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di VERONA – SEZIONE DI VICENZA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 3212/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/07/2019 R.G.N. 3496/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.
RILEVATO
Che:
1. con sentenza 30 luglio 2019, la Corte d’appello di Venezia rigettava il gravame di E.B., cittadino della Guinea Bissau, avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;
2. essa negava, come già il Tribunale, la credibilità del richiedente, che aveva riferito di aver abbandonato nel 2009 il proprio Paese di origine per timore delle reazioni dei familiari di una ragazza quattordicenne che aveva messo incinta, fuggendo in Senegal, ivi rimanendo due anni, passando poi in Libia per arrivare, dopo tre anni di permanenza, in Italia;
3. la Corte veneziana riteneva non credibili, siccome scarsamente verosimili, contraddittorie e intrinsecamente illogiche, le dichiarazioni dello straniero, così escludendo, in assenza dei requisiti rispettivi, la riconoscibilità dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria, neppure egli correndo il pericolo di esposizione a grave danno per violenza indiscriminata generalizzata a causa di un conflitto armato, non sussistente in Guinea Bissau, sulla base delle fonti ufficiali consultate, pur se interessata da tensioni politiche, fragilità del sistema giudiziario, inadeguatezza della condizione penitenziaria, in una con violazione di diritti umani, abusi dell’autorità pubblica e criminalità diffusa;
4. infine, essa negava che il richiedente versasse in condizione di vulnerabilità, non potendo essere valorizzate le condizioni di instabilità politica del Paese ed essendo insuperabile la valutazione di non credibilità;
5. con atto notificato il 30 gennaio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente assunto la mera reiterazione delle ragioni di opposizione davanti al Tribunale, omettendone la specifica confutazione dei passaggi argomentativi dell’ordinanza impugnata, così ritenendo l’appello “manifestamente infondato, perché privo di specificità” (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. la Corte d’appello non ha ritenuto, né dichiarato inammissibile l’appello del richiedente per difetto di specificità dei motivi, ma ha argomentato anche dai passaggi denunciati (di riproduzione pedissequa delle ragioni dell’opposizione, in assenza di censura dell’ordinanza: al p.to 9 di pg. 6 della sentenza; in via conclusiva, al p.to 13 di pg. 11 della sentenza) una decisione del gravame nel merito, dopo avere esaminato ogni allegazione in ordine alle misure di protezione richieste;
4. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per il mancato rispetto del paradigma procedimentale di valutazione della propria credibilità, non potendosi la Corte territoriale limitare al rilievo del difetto di allegazione di elementi da cui presumere, ai fini della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a, b), il concreto rischio di sottoposizione a tortura o trattamenti inumani o degradanti da parte delle autorità e di assenza di prova di essere ricercato dalla polizia (secondo motivo);
5. esso è inammissibile;
6. la censura è generica, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860; Cass. 9 ottobre 2019, n. 25354; Cass. 18 novembre 2020, n. 26726), per omessa confutazione delle ragioni di negazione della credibilità (ai p.ti 8 e 10 di pgg. 5, 6 della sentenza);
7. il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento alla propria documentata integrazione socio-lavorativa, ai fine della concessione della protezione umanitaria, da valutare secondo il regime anteriore al D.L. n. 113 del 2018, conv. in L. 132/2018, applicabile ratione temporis (terzo motivo);
8. esso è infondato;
9. premessa la non corretta affermazione, in punto di diritto, della Corte territoriale di insuperabile preclusione della valutazione di non credibilità della narrazione al riconoscimento della protezione umanitaria (al primo capoverso, ultima parte, pg. 11 della sentenza), posto che il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno di una domanda di protezione internazionale, non preclude al giudice di valutare altre circostanze che integrino una situazione di “vulnerabilità” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, poiché la statuizione su questa domanda è frutto di una valutazione autonoma (Cass. 21 aprile 2020, n. 8020; Cass. 2 novembre 2020, n. 24186), la censura è inidonea, nel profilo denunciato come non considerato, non avendo confutato l’esclusione, da parte della Corte territoriale, della condizione di vulnerabilità del richiedente (al primo capoverso di pg. 11 della sentenza), alla luce dei presupposti di concessione della misura secondo l’indirizzo di legittimità;
9.1. infatti, ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la valutazione comparativa tra l’integrazione raggiunta in Italia e la situazione soggettiva ed oggettiva nella quale il richiedente verrebbe a trovarsi nel paese di origine ove fosse rimpatriato, deve essere effettuata, con riferimento a quest’ultima, avuto riguardo al rischio di lesione dei diritti fondamentali, dovendo il giudice del merito specificare in concreto l’esistenza o l’inesistenza di un rischio siffatto, dando conto di quali siano i diritti esposti a pericolo per effetto del rimpatrio (Cass. 10 settembre 2020, n. 18805; Cass. 13 agosto 2020, n. 17118; Cass. 13 agosto 2020, n. 17118);
10. pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021