LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4787-20189 proposto da:
P.C., P.G.F., rappresentati e difesi dall’avvocato LORENZO GIULIANI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
M.R., M.G., B.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RENZI che unitamente all’avvocato FABRIZIO MARINELLI, li rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
nonché
I.N.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2200/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dai controricorrenti.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE M.S.R., quale unico erede di S.A., essendone figlio adottivo, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Teramo P.C. al fine di far dichiarare la nullità per falsità del testamento olografo del ***** con il quale il convenuto era stato designato erede universale da P.M., sorella di P.M., padre del convenuto, e moglie di S.A., padre dell’attore.
In subordine chiedeva accertare l’usucapione dei beni in favore di S.A., ed in via ancora più gradata ridursi il testamento per la lesione della quota di legittima del padre.
Si costituiva il convenuto opponendosi alla domanda, contestando la qualità dell’attore di figlio adottivo del marito della de cuius ed assumendo che la testatrice era persona diversa dalla moglie di S.A..
Intervenivano I.N. e P. a sostegno rispettivamente dell’attore e del convenuto.
Il Tribunale adito, con la sentenza n. 204/2013, dichiarava la nullità del testamento, in quanto la sottoscrizione non era riconducibile alla testatrice ed il testo non poteva essere riferito alla data ivi indicata.
Avverso tale sentenza ha proposto appello P.C., cui ha resistito M.S.R., deceduto nel corso del giudizio di appello, ed al quale sono subentrati gli eredi M.R., M.G. e B.A..
La Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 2200 del 27 novembre 2018, ha rigettato il gravame.
Disatteso il motivo di appello con il quale si reiterava la contestazione circa l’identità tra la persona deceduta e la moglie del padre adottivo dell’attore, emergendo dal materiale probatorio tale identità, rilevava altresì che non era stato documentato il passaggio in giudicato della sentenza con cui il Tribunale ecclesiastico di prima istanza aveva dichiarato la nullità del matrimonio tra la de cuius ed il padre adottivo dell’attore.
Passando agli altri motivi di appello che investivano l’accertamento della falsità della scheda, la Corte distrettuale, dopo aver condiviso la decisione del Tribunale di non disporre la rinnovazione della CTU, escludeva che fosse fondata la censura secondo cui il Tribunale si fosse limitato a recepire acriticamente le conclusioni dell’ausiliario d’ufficio. Infatti, la sentenza impugnata dopo avere ricordato che il Tribunale aveva rimarcato la correttezza del metodo di indagine seguito dall’ausiliario d’ufficio, aveva esaminato anche le osservazioni del consulente di parte appellante, disattendendole sul rilievo dell’assenza di carenze logico scientifiche nel ragionamento del perito d’ufficio.
Tale valutazione era, poi, autonomamente condivisa dalla Corte d’Appello, che evidenziava come l’indagine fosse avvenuta mettendo a confronto la firma apposta al testamento con ben 82 firme di comparazione, distribuite nell’arco di ben 19 anni, avendo adeguatamente sottolineato tutti gli elementi che permettevano di affermare la non autenticità della firma in contestazione.
Le critiche dell’appellante si fondavano sulla pretesa erroneità di affermazioni che però non erano riscontrabili nella relazione tecnica.
Inoltre, le conclusioni del CTU trovavano conforto anche nelle indagini chimiche svolte da uno specialista che avevano permesso di affermare che l’inchiostro usato per il testamento aveva una datazione reale (atteso il non completo essiccamento) che non era compatibile con la datazione apparente riportata sulla scheda.
Infine, in merito alla richiesta di rinnovazione della CTU e di dichiarazione di ricusazione dell’ausiliario, la Corte d’Appello evidenziava che le argomentazioni spese in ordine alla bontà del lavoro del perito d’ufficio imponevano di disattendere la richiesta di rinnovazione, mentre la ricusazione si palesava del tutto tardiva.
Per la cassazione di questa sentenza P.C. e P.G.F. hanno proposto ricorso sulla base di un motivo.
M.R., M.G. e B.A. resistono con controricorso.
I.N. non ha svolto difese in questa fase.
Con il motivo di gravame si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 196 e 115 c.p.c..
Si richiama il contenuto delle osservazioni tecniche del perito di parte e si rileva che le stesse sono rimaste senza risposta nella sentenza gravata, che in maniera del tutto generica non dà sufficientemente conto delle ragioni per le quali ha condiviso il giudizio del consulente d’ufficio.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una non ammessa sollecitazione alla Corte a pervenire ad un nuovo apprezzamento di merito delle risultanze fattuali, in contrasto con quello accurato ed argomentato, sia sul piano logico che scientifico, operato dal giudice di appello.
Questa Corte ha affermato che (cfr. Cass. n. 15666 del 2011), rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussiste la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione.
Nella fattispecie, si palesa con evidenza come la dedotta nullità della sentenza sia fatta scaturire dal presupposto, evidentemente implicante valutazioni di fatto, dell’erroneità delle conclusioni alle quali è pervenuto il consulente d’ufficio, partendo dall’opposto postulato della correttezza delle osservazioni del perito di parte.
La sentenza di appello, da pag. 8 a pag. 13, dopo aver richiamato la metodica di indagine del prof. Cristofanelli, consulente d’ufficio, ha riportato anche le argomentazioni per le quali le critiche mosse alla consulenza d’ufficio apparivano prive di fondamento.
Ne’ appare risolutivo il fatto che le osservazioni dell’altro perito di parte, Dott. Ma., non siano state espressamente richiamate in sentenza, atteso che le medesime, come si ricava dalla lettura del ricorso, oltre a risolversi nella individuazione di ragioni di incompatibilità dell’ausiliario di ufficio, non tempestivamente dedotte tramite il rimedio della ricusazione, lungi dall’introdurre elementi di carattere decisivo, involgono rivalutazioni di circostanze già esaminate dal perito d’ufficio ed interessate dalle osservazioni critiche degli altri periti di parte, alle quali la Corte d’Appello ha dato ampia risposta.
In tal senso va ricordato che le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresì sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”. Si manifesta in tal modo come il motivo di ricorso aneli surrettiziamente ad una rivalutazione di merito della vicenda, assumendosi come non appaganti le conclusioni del perito d’ufficio, aspirando quindi ad un risultato non consentito in sede di legittimità.
Poste tali premesse, si rileva che la denuncia di violazione di legge è solo apparente, essendo evidente, alla luce della formulazione dei motivi, che non si contesti la corretta ricognizione della portata applicativa delle disposizioni denunciate, quanto la correttezza delle ricostruzione dei fatti come operata dal giudice di appello, palesandosi in maniera evidente come le censure sollecitino un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie, in contrasto con quanto operato dal giudice di merito, nell’esercizio del potere al medesimo attribuito dal legislatore, aspirando ad un più appagante esito della vicenda, quasi a voler rimettere al giudice di legittimità il potere di valutazione delle risultanze istruttorie nel merito.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nulla a disporre per le spese quanto alla parte rimasta intimata.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021