LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25429-2015 proposto da:
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RIMINI 14, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA CARUSO, rappresentato e difeso dagli avvocati VALENTINA PRUDENTE, GAETANO SORBELLO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA POLICLINICO “G. MARTINO”, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ARTURO MERLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 441/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 20/04/2015 R.G.N. 319/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza in data 20 aprile 2015 n. 441, la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, accoglieva la domanda proposta da B.G., infermiere professionale, per la dichiarazione della illegittimità dei contratti a termine sottoscritti con la AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA POLICLINICO G. MARTINO (in prosieguo: la AZIENDA)- negli anni 2008 e 2009; condannava la AZIENDA al risarcimento del danno, in misura pari a quattro mensilità di retribuzione. Respingeva la domanda per i contratti a termine conclusi tra le parti negli anni 2006 e 2007.
2. La Corte territoriale osservava che i singoli contratti, come allegato dallo stesso lavoratore, erano stati stipulati con causale specifica- ovvero la “copertura di posti di sanitario specializzato addetto ai servizi socio assistenziali vacanti nella pianta organica della azienda”- e che la sussistenza in concreto di dette ragioni era stata egualmente confermata dal lavoratore.
3. Questi aveva dedotto che le mansioni svolte, conformi a quelle indicate nei contratti, erano volte a soddisfare bisogni permanenti e durevoli del datore di lavoro sicché doveva essere valutato questo profilo di illegittimità.
4. Il legislatore dall’anno 2004 fino a tutto l’anno 2007 aveva fatto divieto alle amministrazioni pubbliche – compresi gli enti del Servizio sanitario nazionale – di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. I contratti erano stati legittimamente conclusi nella vigenza del divieto di assunzioni, per garantire un servizio insuscettibile di interruzioni.
5. La proroga dei contratti stipulati a decorrere dal 12.10.2006 e reiterati sono al 31.12.2007 era conforme alla disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4.
6. Diversamente doveva dirsi per i contratti a termine stipulati negli anni 2008 e 2009; in questi anni, seppure nel limite di spesa indicato ex lege, l’AZIENDA avrebbe dovuto attivarsi – o comunque offrire la prova di essersi attivata – per procedere alle assunzioni a tempo indeterminato. Ciò induceva a ritenere illegittimi detti contratti.
7. Il danno derivante dalla reiterazione dei rapporti di lavoro a termine andava interpretato come danno comunitario, nel senso di sanzione ex lege a carico del datore di lavoro, da quantificare con i criteri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 (Cass. n. 27481/2014); nella specie esso doveva essere liquidato in quattro mensilità di retribuzione.
8. La Corte territoriale respingeva l’appello incidentale del lavoratore per l’accertamento al diritto alla stabilizzazione, ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 558.
9. Osservava che la stabilizzazione del personale precario costituiva una mera facoltà per l’amministrazione, che prioritariamente doveva stabilire, nell’ambito della programmazione triennale, l’opportunità di coprire i posti vacanti e, comunque, operare compatibilmente con le risorse finanziarie.
10. In ogni caso, non sussistevano in capo al B. le condizioni per la stabilizzazione, dettate dalla L. n. 296 del 2006 e dalla successiva Legge finanziaria per il 2008; quest’ultima aveva previsto quale requisito il possesso di almeno tre anni di lavoro a termine effettuati o da conseguire in virtù di contratti stipulati alla data del 28 settembre 2007 mentre il lavoratore aveva stipulato il contratto a termine utile alla maturazione del triennio in data successiva.
11. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza B.G., articolato in quattro motivi di censura ed illustrato con memoria, cui l’AZIENDA ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 95 e 98; del D.P.C.M. 15 febbraio 2006; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 4 nonché – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
2. Ha censurato la sentenza per avere ritenuto la legittimità del termine apposto ai contratti stipulati negli anni 2006 e 2007. Ha dedotto che il divieto di assunzioni a tempo indeterminato non si estendeva agli enti del Servizio Sanitario Nazionale, per i quali la Legge finanziaria del 2005 ed il D.P.C.M. 15 febbraio 2006 avevano individuato criteri e limiti per le assunzioni, che, in ogni caso, non si applicavano al personale infermieristico.
3. Ha altresì dedotto la erroneità della sentenza impugnata per avere affermato che nei primi due contratti era presente una causale specifica del termine, come dedotto dallo stesso lavoratore mentre egli non aveva mai dedotto di essere stato assunto come “sanitario specializzato addetto ai servizi socio assistenziali” (ma come infermiere professionale) ed i contratti stipulati non contenevano la causale della apposizione del termine.
4.Con il secondo mezzo si lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4 e 5 nonché degli artt. 1362 c.c. e ss. nonché – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 -omesso esame circa un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.
5. Si deduce che sin dal primo contratto la Azienda Ospedaliera non aveva indicato alcuna causale del termine. Si espone che né l’avviso pubblico di selezione per la assunzione a termine né il contratto del 12 ottobre 2006 né i successivi rinnovi indicavano alcuna esigenza transitoria ed eccezionale per la apposizione del termine.
6. Da ultimo si assume la violazione, in relazione al secondo contratto sottoscritto, del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5 quanto ai limiti della proroga ed allo spatium deliberandi per i rinnovi.
7. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
8. Il primo contratto di lavoro è stato stipulato in data 12.10.2006, in vigenza del testo del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 modificato dal D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, conv. con mod. dalla L. 9 marzo 2006, n. 80, art. 4; in particolare, l’art. 36, comma 1 bis introdotto dal citato D.L., ha limitato la facoltà della p.a. di avvalersi di forme flessibili di impiego alle ipotesi di ricorrenza di “esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento di procedure di assegnazione anche temporanea di personale nonché previa valutazione circa l’opportunità di attivazione di contratti di somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi”.
9. Le esigenze temporanee ed eccezionali richieste dal legislatore, a partire dall’anno 2006, per la stipula dei contratti a termine della pubblica amministrazione non possono essere ravvisate nel mero fatto della vigenza ex lege del divieto di assunzioni a tempo indeterminato.
10. La interpretazione accolta nella sentenza impugnata contrasta con il criterio letterale e con la ratio dell’intervento del legislatore che, da un canto, nel disporre il divieto di assunzioni a tempo indeterminato – con la L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 95 e 98 – non ha affatto liberalizzato nel triennio di vigenza del divieto il ricorso al lavoro a tempo determinato, dall’altro proprio nel corso del medesimo triennio ha avvertito l’esigenza di imporre alle pubbliche amministrazioni limiti più rigorosi per le assunzioni a termine rispetto a quelli previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 nel senso della eccezionalità delle esigenze da fronteggiare.
11. Questa Corte, con ordinanza del 21 aprile 2021 n. 10658, ha già affermato che identificare come ragione oggettiva della reiterazione del lavoro a termine il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato determinerebbe un contrasto del diritto interno con il diritto dell’Unione.
12. Come costantemente affermato dalla Corte di Giustizia (da ultimo Corte giustizia UE sez. II, 19/03/2020, in cause C-103/18 e C-429/18, punti 66 e 67, in tema di personale del servizio sanitario pubblico), la nozione di “ragioni obiettive” ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a dell’accordo quadro deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare in questo particolare contesto l’utilizzazione di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato; tali circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.
13. Per contro, una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale e astratto, attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi non sarebbe conforme ai predetti requisiti; infatti, una siffatta disposizione, di natura meramente formale, comporterebbe un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti.
14. Nella sentenza citata il giudice dell’Unione ha in particolare affermato che “non si può ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nel servizio sanitario che appartengano alla normale attività del servizio ospedaliero ordinario” (punto 75).
15. La sentenza impugnata non è conforme a tali principi, che vanno in questa sede ribaditi, avendo affermato che assolve al requisito di temporaneità ed eccezionalità dell’esigenza lavorativa la mera vigenza del divieto di assunzione a tempo indeterminato.
16. Restano assorbite le censure proposte sotto il profilo della inapplicabilità al servizio sanitario nazionale del diritto di assunzioni a tempo indeterminato, del vizio di interpretazione dei contratti, della illegittimità delle proroghe e dei rinnovi, del vizio di motivazione.
17. La terza censura è proposta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 6 e commi da 513 a 543 del protocollo di intesa dell’11 gennaio 2008 tra l’Assessorato regionale alla sanità e le organizzazioni sindacali, degli artt. 1362 c.c. e segg. e dei principi di ermeneutica contrattuale, del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 nonché – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – dell’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.
18. La censura coglie il rigetto della domanda di stabilizzazione.
19. Si assume che l’effetto dell’illegittimità del termine apposto ai contratti sottoscritti sarebbe costituito dalla stipula di un unico contratto a tempo determinato della durata di trentasei mesi.
20. Si critica il decisum evidenziando che con la domanda non si faceva valere un generico diritto alla stabilizzazione, in quanto la AZIENDA aveva indetto ed espletato la procedura di stabilizzazione sulla base della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 565 e del protocollo di intesa stipulato in sede regionale con le organizzazioni sindacali del comparto Sanità e del comparto Università, approvato con Delib. Giunta regionale 13 febbraio 2007, n. 45.
21. Il motivo è infondato, per la erroneità dell’assunto da cui muove.
22. Contrariamente a quanto deduce la parte ricorrente, l’effetto del ricorso ad una serie abusiva di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato non è la costituzione di un unico rapporto a termine decorrente dal primo contratto.
23. La apposizione del temine illegittimo nei contratti conclusi dalla pubblica amministrazione non determina alcuna trasformazione della natura del rapporto né modifica la data di decorrenza del contratto o la data della sua scadenza.
24. Appare, pertanto, corretta la statuizione della sentenza impugnata secondo cui il B. non aveva diritto alla stabilizzazione, in quanto il contratto utile alla maturazione del triennio era stato sottoscritto in data successiva al 28.9.2007. la L. n. 244 del 2007, art. 3, comma 90 ha, infatti, richiesto che i requisiti di anzianità di servizio per la stabilizzazione siano conseguiti in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 28 settembre 2007. Il ricorrente pretende di avvalersi della data del primo contratto sottoscritto, che non era utile alla maturazione della anzianità triennale.
25. Con il quarto motivo la sentenza è impugnata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. e degli artt. 1226 e 2697 c.c. in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001 nonché alla direttiva comunitaria 1999/70/CE nonché – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
26. La censura afferisce alla quantificazione del danno, assumendosene la inidoneità a rappresentare una sanzione effettiva e dissuasiva rispetto all’abuso del contratto a termine; si indica quale misura idonea il risarcimento del danno forfettizzato in misura di venti mensilità di retribuzione, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18.
27. Il motivo è fondato.
28. Le Sezioni Unite questa Corte (Cass. S.U. 15/03/2016 n. 5072) con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, hanno affermato che nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno; rilevato che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.
29. Il parametro assunto dalla Corte di merito per la liquidazione del danno presunto (L. n. 604 del 1996, art. 8) non è dunque corretto.
30. La sentenza impugnata deve essere conclusivamente cassata in accoglimento dei motivi primo, secondo e quarto del ricorso, respinto il terzo e la causa rinviata alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione affinché provveda ad una nuova verifica della legittimità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti negli anni 2006 e 2007 ed alla liquidazione globale del danno sulla base del parametro di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32.
31. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, sulle spese del presente grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso; rigetta il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia – anche per le spese – alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021