LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14569-2019 proposto da:
V.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELA TERESA AMATA;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio avverso l’ordinanza n. 27955/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 31/10/2018 R.G.N. 10624/14;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/07/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.
RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza n. 27955 del 31 ottobre 2018 la Corte di cassazione ha confermato la sentenza della Corte di appello di Messina che aveva respinto le domande proposte da V.S. dirette ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai due contratti a tempo determinato intercorsi con Poste Italiane s.p.a. dal 30 luglio al 30 settembre 1997, in relazione alla sostituzione di lavoratori assenti per ferie nel periodo giugno settembre, e dal 16 luglio al 30 settembre 2003 per la sostituzione di personale inquadrato nell’area operativa assente con diritto alla conservazione del posto.
2. Nel rigettare sia il ricorso principale del lavoratore che quello incidentale di Poste Italiane s.p.a. la Cassazione ha ritenuto che l’accertamento effettuato dalla Corte di merito fosse conforme ai principi dettati in tema di legittimità dell’apposizione del termine ai contratti conclusi per far fronte ad esigenze sostitutive nel regime del D.Lgs. n. 368 del 2001.
2.1. La sentenza della cassazione ha infatti accertato che la Corte di merito aveva applicato il criterio elastico di congruità del rapporto tra assenze del personale stabile e numero di contratti a termine stipulati nel periodo ed ha escluso che fosse necessaria una temporaneità dell’esigenze e tanto meno una sua straordinarietà o il superamento di un tasso fisiologico di assenteismo.
2.2. Inoltre ha ribadito che la scelta tra le varie risultanze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la decisione appartiene al giudice del merito che è tenuto solo ad indicare le ragioni del suo convincimento senza dover discutere ogni singolo elemento probatorio.
2.3. Quanto al riscontro di effettività dell’esigenze sostitutive, basato su un prospetto prodotto da Poste Italiane, la Corte ha ritenuto la decisione della Corte di merito coerente con la giurisprudenza della Cassazione sul punto, in quanto fondato su un raffronto tra lavoratori a tempo indeterminato sostituiti e numero di giornate lavorate da personale assunto a termine.
2.4. Ha ritenuto inammissibili le censure che attingendo ai dati di fatto si risolverebbero in un diverso apprezzamento di merito.
2.5. Ha rigettato infine il ricorso incidentale della società che investiva la statuizione con la quale era stata negata l’avvenuta risoluzione per mutuo consenso del rapporto.
3. V.S. propone ricorso per la revocazione della sentenza della Cassazione mentre Poste Italiane s.p.a. con il suo controricorso chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, in ogni caso, rigettato.
CONSIDERATO
CHE:
4. Con il ricorso V.S. deduce che la sentenza della Cassazione sarebbe incorsa in un errore revocatorio laddove ha ritenuto infondata la doglianza circa il riscontro di effettività delle esigenze sostitutive operato dalla Corte distrettuale sulla base del prospetto prodotto da Poste Italiane s.p.a. senza considerare che la conformità all’originale dei documenti, prodotti in fotocopia e predisposti dalla stessa società, era stata contestata alla prima udienza successiva alla produzione con la conseguenza che si trattava di documenti privi di valenza probatoria. Viceversa la sentenza di cui è chiesta la revocazione ha ritenuto tali documenti ritualmente acquisiti al giudizio sebbene tale circostanza fosse stata specificatamente denunciata nel secondo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte di merito che, sul punto, era rimasto, senza risposta. Ad avviso del ricorrente in revocazione in tal modo si sarebbe dato per accertato un fatto che invece era incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa non essendo mai stato depositato l’originale del prospetto la cui decisività è intrinseca al fatto che si di esso si è fondata la decisione.
5. Il ricorso è inammissibile.
5.1. Come è noto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 può essere chiesta la revocazione della sentenza della Cassazione che sia l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa. Si ha errore di fatto quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui esistenza è incontestabilmente esclusa ovvero quando è supposta l’inesistenza di un fatto che invece è positivamente stabilito e sempre che non si tratti di un fatto sul quale la sentenza ebbe a pronunciare. Non rientra nell’errore revocatorio quello di giudizio o di valutazione. L’error in iudicando prospettato nel presente giudizio è affidato all’omesso esame, peraltro non ravvisabile nella specie, della censura contenuta nel secondo motivo di ricorso ed avente ad oggetto la tempestiva contestazione della non conformità all’originale del prospetto riassuntivo della situazione delle assunzioni a tempo indeterminato e delle assunzioni a termine.
5.2. Va tuttavia rilevato che nella specie la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile la censura poiché ha accertato che essa investiva una valutazione di merito e che la Corte territoriale aveva valutato l’attendibilità e veridicità dei dati risultanti dagli elementi documentali prodotti in giudizio (cfr. la sentenza di cui è chiesta la revocazione a pag. 4 il penultimo paragrafo).
5.3. Ai fini dell’ammissibilità del motivo di revocazione, allora, poiché la sentenza della Cassazione ha accertato che la Corte di appello aveva condiviso la valutazione già effettuata dal giudice di primo grado e confermata dal giudice di appello ritenendo idonea la documentazione prodotta in giudizio dalla società, sarebbe stato necessario riprodurre la sentenza di primo grado che per prima ha accertato l’adempimento datoriale dell’onere della prova.
5.4. Sotto tale profilo ricostruttivo il ricorso si presenta gravemente generico e non consente alla Corte di verificare, come necessario sin dalla lettura degli atti, il contenuto della decisione avallata dal giudice di appello con ragionamento che ha indotto il Collegio di legittimità a ritenere precluso, perché investe una valutazione di merito, l’esame della censura mossa alla sentenza di appello.
6. L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa. E’ esperibile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma non sussiste il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo, seppur implicita, sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto. In tal caso infatti ciò che viene dedotto non è già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile) ma piuttosto un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, semmai, un errore di giudizio (cfr. in punto distinzione tra errore di fatto ed errore di giudizio Cass. sez. U. 27/11/2019 n. 31032).
6.1. Tanto premesso per consentire a questa Corte di apprezzare l’ammissibilità della censura formulata sarebbe stato necessario riprodurre nel ricorso per revocazione il contenuto della sentenza di primo grado cui il giudice di appello ha aderito nel ritenere adempiuto l’onere datoriale di allegazione e prova delle condizioni di stipula del contratto.
6.2. Va qui ribadito che ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento, da parte della Corte, di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (vedi Cass. 06/11/2019 n. 28507 ed ivi le richiamate Cass. 15/06/2017 n. 14937 e 03/04/2017n. 8615).
7. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021