LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4251-2015 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato STEFANO FIORE, rappresentato e difeso dall’avvocato FERNANDO SALVETTI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE e MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 675/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 27/11/2014 R.G.N. 417/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.
PREMESSO che M.M., già dipendente dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, agiva in giudizio, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero della Giustizia, esponendo che, a seguito della istituzione dell’Ente Tabacchi Italiani, avvenuta con D.Lgs. 9 luglio 1998, n. 283, era stato inserito, ai sensi dell’art. 4, comma 1 medesimo Decreto, nel ruolo provvisorio ad esaurimento del Ministero delle Finanze e distaccato temporaneamente presso il suddetto Ente; che in data 3 marzo 2003 era stato ricollocato presso la Corte di appello di Ancona, con inquadramento nell’area funzionale B, posizione economica B1, profilo professionale di Assistente; che, all’atto di tale ricollocazione, nel procedere al calcolo del trattamento accessorio annuo lordo, il Ministero delle Finanze non gli aveva peraltro corrisposto l’assegno ad personam previsto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 232, sul rilievo che le indennità percepite dal lavoratore nell’Amministrazione di provenienza risultavano minori di quelle spettanti nella nuova Amministrazione ma senza considerare il “compenso per la produttività collettiva” già in godimento all’atto del passaggio dall’una all’altra, in quanto erroneamente ritenuto non compreso nel trattamento accessorio complessivo; esponendo ancora che gli era stata illegittimamente preclusa la possibilità di partecipare alla “Procedura per lo sviluppo economico all’interno delle aree, riservata al personale dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze anche se in posizione di comando, distacco o di fuori ruolo presso altra pubblica amministrazione”, pubblicata con il bando n. 98334 del 2 dicembre 2010, sul rilievo che essa era da intendersi riservata ai soli dipendenti del Ministero;
– che il M., pertanto, chiedeva che venisse accertato e dichiarato il suo diritto alla rideterminazione dell’assegno personale L. 28 dicembre 1995, n. 549, ex art. 3, comma 232, nonché il suo diritto all’inquadramento, anche presso il Ministero della Giustizia, nella qualifica funzionale superiore (Area 2a, profilo professionale dell’Op. Giudiziario F2); in via subordinata, chiedeva il risarcimento dei danni per la perdita di chance e per il grave disagio psicologico subito;
– che l’adito Tribunale di Ancona respingeva tutte le domande proposte;
– che con sentenza n. 675/2014, pubblicata il 27 novembre 2014, la Corte di appello di Ancona confermava integralmente la decisione di primo grado;
– che la Corte riteneva legittima l’esclusione, dal computo dell’assegno L. n. 549 del 1995, ex art. 3, comma 232, del compenso per la produttività collettiva, dovendo al riguardo considerarsi il solo “trattamento accessorio” avente carattere fisso e continuativo, quale risultante dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, commi 57 e 58, e dalla norma di cui alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, la quale, nel definire la portata dell’art. 3 cit., del comma 57 aveva chiarito che “alla determinazione dell’assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile concorre il trattamento, fisso e continuativo, con esclusione della retribuzione di risultato e di altre voci retributive comunque collegate al raggiungimento di specifici risultati o obiettivi”: norma di interpretazione autentica che era da intendersi riferibile a qualsiasi ipotesi di determinazione di assegni personali a garanzia del principio del c.d. divieto di reformatio in pejus del trattamento retributivo nell’ambito dell’impiego pubblico e che escludeva dal computo dell’assegno tutti quegli emolumenti che, essendo connessi a situazioni congiunturali ed a fatti occasionali o all’avverarsi di condizioni o di eventualità imprevedibili e non del tutto indipendenti dalla casualità, come il raggiungimento di un determinato risultato, non possono essere considerati componenti della retribuzione definitivamente ed irreversibilmente acquisita, né comunque componenti fisse e invariabili di essa, così da non rientrare nel trattamento stipendiale complessivo stabilmente raggiunto dal dipendente e sul quale, in relazione a tale caratteristica, egli ha, pertanto, ragione di fare affidamento;
– che relativamente alla seconda domanda (illegittima esclusione dalla procedura) la Corte rilevava come l’inserimento del M. nel ruolo provvisorio ad esaurimento del M.E.F. non ne avesse comportato il passaggio alle dipendenze dello stesso Ministero, poiché era da ritenersi che l’Amministrazione “di appartenenza” fosse ancora quella dei Monopoli di Stato, a carico della quale rimaneva l’onere del trattamento economico complessivo del personale inserito nel ruolo, come doveva desumersi dal combinato disposto del D.Lgs. n. 283 del 1998, art. 4 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 12: con la conseguenza che il lavoratore, ancora alle dipendenze dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, non era legittimato a partecipare alla progressione in quanto riservata, in via esclusiva, al personale “dipendente” del Ministero, in tal senso essendo anche espressamente stabilito dai requisiti di ammissione alla procedura;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M., affidandosi a due motivi, assistiti da memoria, cui hanno resistito i Ministeri con controricorso;
– che l’istanza di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite è stata rigettata dal Primo Presidente con provvedimento del 25 marzo 2021.
RILEVATO
che con il primo motivo di impugnazione viene, in primo luogo, dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 12, per avere la sentenza di appello individuato nell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, anziché nel Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Amministrazione di appartenenza del ricorrente, il quale, a seguito dell’inserimento nel ruolo provvisorio ad esaurimento, doveva a tutti gli effetti considerarsi dipendente del Ministero stesso; la sentenza viene poi censurata, nella parte in cui ha ritenuto legittima l’esclusione del “compenso per la produttività collettiva” dal computo dell’assegno, per violazione e falsa applicazione di norme di legge (L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 232, L. n. 537 del 1993, e art. 3, comma 57) nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 60 c.c.n.l. 1998/2001 Comparto Aziende e Amministrazioni Autonome dello Stato: si deduce che erroneamente la disciplina della fattispecie concreta era stata ricondotta alla normativa sui passaggi di carriera, poiché il ricorrente aveva agito in giudizio per il riconoscimento dell’assegno personale previsto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 232, che trovava la sua causa nel mantenimento della retribuzione accessoria complessiva goduta prima del passaggio dall’una all’altra Amministrazione e si differenziava, pertanto, nettamente da quello avente la propria fonte regolatrice nella L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57; peraltro la computabilità del “compenso per la produttività collettiva”, ai fini della determinazione dell’assegno richiesto, era desumibile dalla stessa contrattazione collettiva di settore (artt. 60 e 65), che lo indicava chiaramente tra le voci fisse e continuative della retribuzione;
– che con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 283 del 1998, art. 4, comma 4, e del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 9, commi 25 e 26, convertito con modificazioni nella L. 30 luglio 2010, n. 122, nonché violazione e falsa applicazione del decreto n. 98334 in data 2/12/2010 (bando di concorso), in relazione alla ritenuta legittimità dell’esclusione del ricorrente dalla partecipazione alla procedura di progressione economica, non avendo la Corte di appello considerato che con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 283 del 1998, e nel quadro normativo che si era in seguito delineato, il M. era stato dapprima inserito nel ruoli dell’Amministrazione finanziaria, acquisendo di conseguenza lo status di dipendente della stessa, e successivamente era stato posto in comando presso il Ministero della Giustizia, venendo peraltro sempre retribuito (sia pure in modo errato) dalla suddetta Amministrazione; d’altra parte, l’interpretazione restrittiva adottata, e ritenuta legittima dalla Corte di appello di Ancona, comportava l’impossibilità, per i dipendenti del Ministero delle Finanze transitati ad altri ruoli, di ottenere promozioni tanto nel ruolo di provenienza quanto in quello di destinazione, come già osservato dalla Corte di cassazione in fattispecie sovrapponibili a quella dedotta in giudizio;
osservato:
che il primo motivo è infondato;
– che la L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3 dispone che l’assegno personale non pensionabile e non rivalutabile spettante ai dipendenti dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato trasferiti nei ruoli del Ministero delle Finanze sia “pari all’eventuale differenza tra il trattamento accessorio complessivo in godimento all’atto del passaggio ed il trattamento accessorio complessivo spettante nella nuova posizione” (comma 232); e che tale assegno “e’ conservato fino al riassorbimento a seguito di futuri aumenti delle predette quote di retribuzione accessoria” (comma 233);
– che la norma di cui al comma 232 cit. si limita a individuare i due trattamenti da porre a confronto (presso l’Amministrazione di provenienza e presso la nuova Amministrazione cui il lavoratore è destinato) senza che l’espressione “in godimento” possa comportare l’inclusione di ogni voce retributiva percepita al momento del passaggio, pur ascrivibile alla componente accessoria (e non fondamentale) del trattamento, e conseguentemente l’inclusione anche di emolumenti che abbiano carattere di precarietà e di accidentalità;
– che, d’altra parte, se la ragione ispiratrice della norma è quella di evitare diminuzioni del trattamento retributivo che penalizzino il dipendente pubblico nel transito dall’una all’altra Amministrazione, è consequenziale che tale garanzia non possa operare per voci che siano correlate a particolari condizioni, sul cui avverarsi vengano ad incidere anche fattori imprevedibili o casuali, traendo essa fondamento e giustificazione nella necessità che il dipendente trasferito possa fare affidamento su di un trattamento già stabilmente raggiunto;
– che, in una fattispecie analoga alla presente, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che “In caso di passaggio di un lavoratore dall’Ente Nazionale Tabacchi (già Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato) al Ministero delle finanze, la garanzia del mantenimento del trattamento economico in godimento presso l’ente di provenienza, riconosciuta dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 232, non opera rispetto a indennità ed emolumenti la cui corresponsione da parte del precedente datore di lavoro fosse eventuale, in quanto correlata al ricorrere di particolari condizioni e determinata in relazione a particolari parametri di computo. (Nella specie, la S.C. ha riconosciuto tale carattere di eventualità al ‘compenso per la produttività collettivà, emolumento che la contrattazione collettiva correlava al miglioramento dei servizi e alla verifica del raggiungimento degli obiettivi)”: Cass. n. 17686/2018; conforme Cass. n. 33146/2019; né risultano esposti, con il motivo ora in esame, argomenti che possano ragionevolmente condurre a una revisione di tale orientamento, cui, pertanto, deve essere data continuità;
– che il secondo motivo è parimenti infondato, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte;
– che, in particolare, si richiamano: Cass. n. 15819/2009, che ha esaminato il carattere provvisorio del ruolo ad esaurimento; Cass. n. 8536/2012, che ha chiarito come il D.Lgs. n. 283 del 1998, art. 4 si riferisca unicamente al personale “trasferito” all’Ente e alle società indicate, e non anche a quello inserito nel ruolo ad esaurimento e soltanto distaccato temporaneamente presso l’E.T.I. e le dette società, precisandosi in tale pronuncia che la norma stessa intende garantire una “riammissione” nella pubblica amministrazione, al personale in esubero (ormai alle dipendenze di un soggetto privato), il quale altrimenti sarebbe soggetto ad una procedura di licenziamento collettivo; Cass. n. 1386/2019, la quale ha precisato che l’inserimento del personale già appartenente all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato è avvenuta in un ruolo provvisorio ad esaurimento del M.E.F., cui non corrispondevano relativi posti in organico, circostanza questa autonoma rispetto alla corresponsione da parte del Ministero del trattamento economico, e che la sussistenza di posti in organico non può desumersi dalla possibilità di riammissione prevista dal D.Lgs. n. 283 del 1998, art. 4 dovendo essa risultare dalla specifica dotazione organica, come definita dagli atti di organizzazione dell’Ente;
ritenuto:
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021