LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10358-2015 proposto da:
Z.E., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO n. 26, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO STEFANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNA LOMBARDI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 381/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 15/10/2014 R.G.N. 373/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/04/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.
RILEVATO
che:
1. con ricorso al Tribunale di Genova Z.E., già dipendente dell’ANAS, ispettore di vigilanza, poi trasferito ex lege dal 1 ottobre 2012 presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, aveva agito nei confronti del Ministero chiedendo (tra l’altro) che quest’ultimo fosse condannato al pagamento di talune voci stipendiali accessorie;
il Tribunale aveva ritenuto non dovute le seguenti voci tra quelle rivendicate: l’assicurazione sulla vita, l’assicurazione civile, penale e amministrativa, la consulenza legale, i riposi compensativi, il trattamento di missione ed invece dovute: il premio di produzione, l’indennità di rischio e maneggio valori, l’indennità di zona e quella di funzione sul presupposto che il ricorrente ne avesse sempre fruito in misura fissa, salvi gli adeguamenti contrattuali;
aveva, pertanto, condannato il Ministero a ripristinare nei confronti del ricorrente l’assegno integrativo dello stipendio correlato alle suddette voci con decorrenza dal 1 ottobre 2012;
2. in particolare, il Tribunale aveva evidenziato che la norma fondamentale era rappresentata dal D.L. n. 98 del 2011, art. 36 convertito nella L. n. 111 del 2001 (Disposizioni in materia di riordino dell’ANAS S.p.A.) che, dopo aver previsto l’istituzione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali, e stabilito il trasferimento all’Agenzia del personale degli uffici ANAS soppressi con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in servizio alla data del 31 maggio 2012, aveva disposto che: “Il personale trasferito mantiene il trattamento economico fondamentale ed accessorio, limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento del trasferimento, nonché l’inquadramento previdenziale”;
aveva, quindi, riconosciuto la natura di emolumenti fissi e continuativi al premio di produzione, all’indennità di rischio e maneggio valori, all’indennità di zona e a quella di funzione della corresponsione degli stessi con cadenza periodica ed aveva pertanto ritenuto che i relativi importi andassero conservati;
in sostanza, il giudice di prime cure, considerato anche quanto disposto dal D.M. n. 341 del 2012, art. 4, comma 3, (che aveva sostanzialmente riprodotto il contenuto del sopra citato D.L. n. 98 del 2011, art. 36), aveva applicato un criterio ricognitivo della retribuzione e ritenuto che gli emolumenti sempre presenti nelle buste paga del dipendente, ossia corrisposti al lavoratore con medesima cadenza periodica regolare e senza interruzioni, fossero, per tale ragione, voci fisse e continuative di retribuzione;
2. con sentenza n. 381/2014, depositata il 15 ottobre 2014, la Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza di prime cure, rigettava l’originaria domanda dello Z.;
3. assumeva che occorresse considerare che il passaggio da un datore di lavoro ad altro comporta l’inserimento in una diversa realtà organizzativa e, dunque, la sottoposizione a nuove regole normative, anche di retribuzione e riteneva che, in ambito di rapporto di lavoro pubblico, vige il principio dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, anche accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto dell’amministrazione cessionaria (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 come modificato dalla L. n. 246 del 2005, art. 16, comma 1);
sosteneva, pertanto, che la mutata realtà organizzativa in cui lo Z. si era venuto a trovare, a seguito del trasferimento imposto, avesse determinato un cambiamento di prestazioni lavorative che, a parere della Corte territoriale, non giustificava la conservazione di alcune voci accessorie della retribuzione non più corrispondenti alla maggiore gravosità delle prestazioni rese o alla particolare posizione professionale ricoperta;
evidenziava che, nell’ambito di un rapporto di lavoro che prosegue, la stabilità di un trattamento economico accessorio presuppone la stabilità della posizione lavorativa cui quel trattamento è connesso;
precisava, inoltre, che il c.c.n.l. 2002-2005 dipendenti ANAS inseriva, all’art. 77, le indennità accessorie discusse nel caso de quo tra le voci di retribuzione accessoria variabile (evidenziando che solo per quanto riguardava l’assicurazione sulla vita era da escludere la qualificazione della stessa come voce retributiva);
rilevava che l’appellato nulla avesse dedotto circa il permanere nella sua nuova collocazione delle medesime condizioni che, presso il precedente datore di lavoro, avevano determinato il riconoscimento delle voci accessorie della retribuzione di che trattasi;
4. Z.E. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi, ai quali il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha opposto difese con tempestivo controricorso;
5. il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.L. n. 98 del 2001, art. 36, comma 5, del D.M. MIT n. 341 del 2012, art. 4, comma 3, dell’art. 77 c.c.n.l. dei dipendenti ANAS, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
lamenta la violazione delle norme richiamate in quanto nessuna distinzione tra le mansioni svolte nell’ente cedente con quelle espletate nell’ente cessionario si pone nel dettato normativo (il D.L. n. 98 del 2001, art. 36, comma 5, ed D.M. MIT n. 341 del 2012, art. 4, comma 3) ai fini retributivi;
censura la sentenza impugnata per non aver riconosciuto il mantenimento della retribuzione fondamentale ed accessoria, limitatamente alle voci fisse e continuative, deducendo che le indennità di cui si discute non sono voci variabili della retribuzione, ma fisse, e ritenendo che il mancato conferimento di tali indennità sia in contrasto col principio del divieto di “reformatio in peius”;
il ricorrente, inoltre, assume che nessuna violazione del principio di uguaglianza possa ravvisarsi con gli altri dipendenti del MIT in quanto l’assegno ad personam trova giustificazione laddove il trattamento economico precedentemente percepito sia più elevato rispetto a quello previsto dall’Amministrazione cessionaria;
si dilunga, poi, sulle singole voci rivendicate ed assume, sulla base delle previsioni del c.c.n.l. ANAS, che non si tratti di voci variabili, precarie o accidentali bensì di voci accessorie la cui misura economica è univoca e definitivamente stabilita, quindi predeterminata e svincolata da ogni altra circostanza ed erogata mensilmente e per lo stesso importo in busta paga;
2. il motivo è fondato nei termini di seguito illustrati;
2.1. le censure del ricorrente intercettano principalmente il decisum della Corte territoriale laddove quest’ultima ha ritenuto di affermare un principio diverso da quello posto da Tribunale a base della propria decisione valorizzando la circostanza dell’avvenuto inserimento dello Z. in una diversa realtà organizzativa;
2.2. sotto tale profilo le stesse sono condivisibili;
2.3. la Corte territoriale ha fondato la propria decisione (di riforma della sentenza di primo grado e di integrale rigetto della domanda) sulle seguenti considerazioni (v. sentenza impugnata, pag. 4, secondo e terzo capoverso): il Tribunale, per risolvere la controversia ha ritenuto di avvalersi di un criterio, mutuato dalla giurisprudenza in tema di trattamento di fine servizio, basato esclusivamente sulla ricognizione di quanto avvenuto nel passato del lavoratore senza considerare che, a differenza di quanto avviene con il tfs, il lavoro è proseguito (sia pure con un diverso datore di lavoro) e quindi senza chiedersi se anche nella mutata realtà organizzativa in cui i ricorrenti si erano venuti a trovare a seguito del trasferimento delle funzioni dall’ANAS al Ministero quelle voci retributive corrispondessero ad effettive situazioni di maggiore gravosità delle prestazioni da loro rese o alle funzioni professionali da loro ricoperte; – una corretta interpretazione della norma di riferimento avrebbe invece imposto una simile verifica dal momento che non sarebbe giustificata la conservazione di voci accessorie di retribuzione non più corrispondenti alla maggiore gravosità delle prestazioni rese o alla particolare posizione professionale ricoperta;
la ragione decisoria così adottata è stata, invero, fuorviata da una errata interpretazione di due pronunce di questa Corte (la n. 26557/2008 e la n. 19564/2006);
la prima delle indicate pronunce (che richiama quella precedente) statuisce espressamente: “a giurisprudenza della Corte (vedi le sentenze 11 aprile 2006, n. 8389, 13 settembre 2006, n. 19564) osserva che, in linea generale, il passaggio da uno ad altro datore di lavoro comporta sempre l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, ancorché sia conservata l’anzianità pregressa per la ragione che non si è presenza di una nuova assunzione. Ne discende che, salva l’esistenza di regole diverse, il trattamento economico e normativo applicabile e’, per principio generale, quello in atto presso il nuovo datore di lavoro, conformemente alla regola generale di cui all’art. 2112 c.c.. Per i dipendenti pubblici, del resto, la regola è confermata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, il quale, nel testo attuale (come modificato dalla L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 16, comma 1, con efficacia indubbiamente ricognitiva e chiarificatrice del testo precedente), riconduce il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse alla fattispecie della cessione del contratto (art. 1406 c.c.), così abbandonando definitivamente, per il lavoro pubblico contrattuale, la prospettiva del passaggio di carriera, ed enuncia esplicitamente il principio dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto dell’amministrazione cessionaria”;
la regola diversa richiamata nei precedenti citati è proprio quella dettata dal D.L. n. 98 del 2011, art. 36, comma 5, convertito nella L. n. 111 del 2001 il quale prevede che: “Il personale trasferito mantiene il trattamento economico fondamentale ed accessorio, limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento del trasferimento, nonché l’inquadramento previdenziale. Nel caso in cui il predetto trattamento economico risulti più elevato rispetto a quello previsto è attribuito per la differenza un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti”;
l’indicata norma, rispetto alla quale la decisione impugnata si pone in palese contrasto, richiama una distinzione tipica dell’impiego pubblico contrattualizzato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45) nel cui ambito il trattamento fondamentale è quello diretto a retribuire la prestazione “base” del dipendente, ossia la prestazione corrispondente all’orario ordinario di lavoro e alla professionalità media della qualifica rivestita, mentre quello accessorio si pone in nesso di corrispettività con la performance individuale, con quella organizzativa e con lo svolgimento di attività “particolarmente disagiate, ovvero pericolose o dannose per la salute” (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 3, nel testo applicabile ratione temporis);
la distinzione fra le componenti non riposa sui requisiti di fissità e continuità in quanto gli stessi, connaturati al trattamento fondamentale, possono ricorrere anche per quelle voci del trattamento accessorio che siano correlate, non al conseguimento di specifici obiettivi, bensì al profilo professionale o alle peculiarità dell’amministrazione di appartenenza;
ne discende che in tutte quelle fattispecie nelle quali venga in rilievo il principio della irriducibilità della retribuzione non è sufficiente per escludere l’operatività della garanzia che l’emolumento esuli dal trattamento fondamentale, essendo, invece, necessario accertare se la voce retributiva, per il dipendente che invochi il divieto di reformatio in peius, sia certa nell’an e nel quantum;
2.4. il trattamento economico acquisito dal lavoratore deve, dunque, essere determinato con il computo di tutti i compensi fissi e continuativi erogati al prestatore di lavoro, quale corrispettivo delle mansioni svolte ed attinenti, logicamente, alla professionalità tipica della qualifica rivestita;
2.5. non diversamente questa Corte ha affermato (cfr. ex multis Cass. 26 aprile 2018, n. 10145) con riguardo al passaggio diretto dal Ministero dell’Istruzione al Ministero degli Affari Esteri D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 30 ritenendo che lo stesso, riconducibile all’istituto civilistico della cessione del contratto, è caratterizzato dalla conservazione dell’anzianità e dal mantenimento del trattamento economico goduto presso l’amministrazione di provenienza con la conseguenza che, nella determinazione dell’assegno ad personam, dovuto al dipendente, va inclusa la retribuzione personale docente, in quanto compenso fisso e continuativo ai sensi dell’art. 7 del c.c.n.l. Comparto Scuola del 15 marzo 2001, senza che rilevi che tale compenso sia finalizzato alla valorizzazione professionale della funzione docente (non più svolta presso il Ministero di destinazione);
2.6. ai sensi del citato art. 36, comma 5, è devoluto ai giudici di merito il compito di individuare quali siano le “voci fisse e continuative” del trattamento accessorio già in godimento;
3. nel caso in esame la Corte territoriale non si è attenuta agli indicati principi;
4. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del principio di uguaglianza rispetto ai dipendenti del MIT;
assume che l’interpretazione della Corte territoriale è contraria ai principi espressi dalla giurisprudenza ed alla volontà del legislatore e non considera che, qualora le voci rivendicate non fossero riconosciute, si verrebbe a creare una ingiustificata quanto illegittima discriminazione, a scapito dei dipendenti del MIT, tra costoro e chi come il ricorrente è transitato presso ANAS;
5. il motivo è assorbito nell’accoglimento del primo motivo di ricorso;
6. con il terzo motivo il ricorrente che denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c.;
lamenta la violazione da parte della Corte territoriale della violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;
rileva che le ragioni ed i motivi richiamati dalla sentenza della Corte territoriale siano diversi da quelli argomentati nell’atto di gravame del Ministero, il quale, in particolare, nulla eccepiva sulle mansioni espletate dal ricorrente;
7. il motivo è inammissibile;
il ricorrente, in violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso, non ha trascritto l’atto di gravame del Ministero che solo avrebbe consentito di individuare il thema decidendi nel giudizio di secondo grado delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione è richiesta, ex art. 342 c.p.c., per la individuazione dell’oggetto della domanda di appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata;
peraltro, per quanto si evince dalla stessa sentenza qui impugnata e dalla riportata sintesi dei motivi di appello formulati dal Ministero (v. pag. 4) tutte le questioni esaminate dalla Corte territoriale (come evidenziate nello storico di lite) erano state devolute dall’impugnate e rispetto a tale individuazione del thema decidendum’ nulla ha specificamente opposto il ricorrente;
8. alla stregua di tali considerazioni, va accolto il primo motivo, assorbito il secondo e dichiarato inammissibile il terzo;
la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Genova che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra indicati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;
9. non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, all’adunanza Camerale, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021