Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32446 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19484-2015 proposto da:

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO;

– ricorrente –

contro

R.T., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO GIAMPIETRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 08/05/2015 R.G.N. 79/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/06/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 26 del 2015, la Corte d’appello di Trento, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, a corrispondere all’attuale intimato il TFR maturato per il rapporto di lavoro alle dipendenze della s.r.l. *****;

2. la Corte territoriale ha ritenuto che per l’accesso al Fondo di garanzia il lavoratore non fosse onerato della preventiva proposizione dell’istanza di fallimento né della preventiva formazione di un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro e del previo esperimento di una qualche procedura esecutiva, quest’ultima da ritenere superflua in ragione della irreperibilità del legale rappresentante, presso la cui residenza la società aveva la sede, il che aveva reso già vana la notificazione del precetto e, stante l’impossibilità perfino di un utile compimento dell’atto prodromico all’esecuzione tanto rendeva inutilmente oneroso e privo di effetto pratico l’avvio di una procedura esecutiva individuale; inoltre, a fronte dei dati presuntivi forniti dal lavoratore, comprovanti la situazione di insufficienza delle garanzie patrimoniali della ex datrice di lavoro, incombeva all’Inps dare la prova positiva della sussistenza di beni del debitore utilmente aggredibili, prova che, pur avendo l’INPS lamentato la mancata produzione da parte del lavoratore di visure attestanti il possesso di beni immobili, in capo alla società, si è ben guardata dal fornire;

3. per la cassazione di tale sentenza ricorre l’INPS, con due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, R.T. ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

4 con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 2 e 5, L. Fall., art. 1, comma 2, art. 15, comma 4, e art. 22, e D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 1, anche in relazione all’art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che l’accertamento della non assoggettabilità a fallimento di un imprenditore commerciale potesse essere effettuato, ai fini dell’intervento del Fondo di garanzia, anche al di fuori della competente sede fallimentare;

5. con il secondo motivo, l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 1 e 5, anche in relazione all’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto possibile l’intervento del Fondo di garanzia anche in assenza di un titolo esecutivo e del previo esperimento di una qualche procedura esecutiva, considerati superflui in ragione della situazione di irreperibilità che aveva reso impossibile anche la notifica dell’atto di precetto, e per avere onerato l’INPS della prova positiva dell’esistenza di beni della società ***** utilmente aggredibili, onerando il lavoratore solo di prove presuntive, con inversione dell’onere probatorio, laddove il dato fattuale dell’irreperibilità del legale rappresentante non impediva al lavoratore di effettuare un pignoramento mobiliare presso la sede legale di Roma della società e, ove ritenuto eccessivamente oneroso per il lavoratore, effettuare un pignoramento mobiliare presso la sede della società ove aveva prestato servizio;

6. il primo motivo è infondato, in continuità con recenti arresti di questa Corte, a partire da Cass. n. 1887 del 2020 e numerose successive conformi;

7. benché questa Corte abbia recentemente affermato che la verifica da parte del tribunale fallimentare della non assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore, L.Fall., ex art. 15, u.c., costituisca un presupposto necessario, unitamente alla insufficienza delle garanzie patrimoniali a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata, per l’accesso alle prestazioni del Fondo per il pagamento del TFR e dei crediti di lavoro di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2 (v. Cass. nn. 21734 del 2018, cui ha dato continuità Cass. n. 3667 del 2019), reputa il Collegio che l’anzidetto orientamento non possa essere condiviso in ragione del principio generale desumibile dalla previsione di cui all’art. 34 c.p.c., secondo cui il giudice adito procede in via incidentale a tutti gli accertamenti preliminari rispetto alla risoluzione della controversia pendente innanzi a sé, salvo che, “per legge o per esplicita domanda di una delle parti”, sia necessario “decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene alla competenza per materia o per valore alla competenza di un giudice superiore”, nel qual caso “rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui”;

8. va premesso, al riguardo, che questa Corte ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui le prestazioni erogate dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS hanno natura previdenziale e non retributiva (così, tra le più recenti, Cass. n. 25016 del 2017 e numerose successive conformi): si tratta, infatti, di obbligazioni affatto autonome rispetto a quelle gravanti sul datore di lavoro e inserite nell’ambito di un rapporto assicurativo contributivo-previdenziale, ancorché nella loro misura coincidenti, per ciò che specialmente riguarda il TFR, con le obbligazioni di cui è debitore il datore di lavoro, di talché il loro sorgere è connesso ad un fatto costitutivo differente rispetto a quello che ne media la genesi nell’ambito del rapporto di lavoro;

9. più precisamente, per ciò che riguarda il pagamento del TFR (rectius: della prestazione previdenziale modulata sul TFR spettante al lavoratore assicurato), tale fatto costitutivo consiste non già nella cessazione del rapporto di lavoro, ma nel verificarsi dei presupposti previsti dalla L. n. 297 del 1982, art. 2 che sono rispettivamente, da un lato, la verifica del credito del lavoratore mediante l’insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro (art. 2, commi 2 ss.) e, dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il previo esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito, da cui risulti l’insufficienza, totale o parziale, delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro stesso (art. 2, comma 5);

10. con riguardo a tale ultima fattispecie, che è quella che rileva ai fini del presente giudizio, questa Corte ha precisato che l’espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267”, di cui all’art. 2, comma 5, cit., va interpretata nel senso che l’azione nei confronti del Fondo di garanzia deve trovare ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi perché appartenente ad una categoria di imprenditori non sottoponibili neanche in abstracto ad una procedura concorsuale, vuoi perché, in concreto, il fallimento non è o non è più esperibile per ragioni oggettive (cfr. fra le più recenti, Cass. n. 24767 del 2017), tra le quali rilevano adesso quelle di cui alla L.Fall., art. 1, comma 2, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 1, comma 1;

11. ciò premesso, è evidente che, rispetto alla domanda giudiziale concernente la prestazione previdenziale cui è tenuto il Fondo di garanzia, la verifica della non assoggettabilità del datore di lavoro alle procedure concorsuali costituisce una tipica questione pregiudiziale in senso logico, che nessuna norma di legge impone che debba essere definita con efficacia di giudicato; di più, è una questione che nessuna delle parti del processo potrebbe validamente chiedere che sia decisa con efficacia di giudicato, dal momento che, svolgendosi la controversia previdenziale tra il lavoratore assicurato e l’ente previdenziale chiamato al pagamento ed essendo il datore di lavoro terzo estraneo a tale vicenda, l’accertamento che in essa dovesse essere compiuto circa la sua non assoggettabilità a fallimento non potrebbe mai far stato nei suoi confronti, in considerazione dei limiti soggettivi del giudicato stesso;

12. non induce a diverse conclusioni l’argomentazione di Cass. n. 21734 del 2018, cit., che, al fine di affermare il necessario previo esame del giudice fallimentare, valorizza la circostanza che determinate situazioni che in concreto legittimerebbero l’esclusione della procedura concorsuale (quali, nel caso ivi deciso, “una soglia di rilevanza dell’insolvenza riferita all’indebitamento complessivo dell’impresa e non alla posizione del creditore istante per il fallimento”) possono essere accertate soltanto in sede fallimentare, cioè con il concorso degli altri creditori: questo è piuttosto un problema di prova, nel senso che, ad es., non si potrebbe ritenere provata la non assoggettabilità a fallimento di un imprenditore commerciale sulla base della mera allegazione, da parte del lavoratore assicurato che chieda l’intervento del Fondo, di un credito di importo inferiore alla soglia definita dalla L.Fall., art. 15, u.c.; in questo senso, anzi, va senz’altro rimarcato che il lavoratore assicurato, che adducendo una situazione di concreta non assoggettabilità al fallimento del proprio datore di lavoro chieda l’intervento del Fondo di garanzia, resta pur sempre onerato della prova delle circostanze costitutive del fatto che ha dato luogo al sorgere del rapporto previdenziale, tra le quali appunto la non assoggettabilità a fallimento del proprio datore di lavoro, sia essa predicabile in abstracto o in concreto, e il mancato o insufficiente assolvimento di tale onere non potrà che comportare il rigetto della domanda;

13. nel caso di specie, tuttavia, l’INPS non ha contestato la bontà dell’accertamento eseguito dal giudice di merito circa la non ricorrenza in concreto delle condizioni per l’assoggettabilità a fallimento della datrice di lavoro dell’odierna controricorrente, ma ha censurato che a tale accertamento avesse proceduto il giudice adito, piuttosto che il tribunale fallimentare: e in tali termini, come anzidetto, la censura è infondata e va senz’altro rigettata;

14. è fondato, viceversa, il secondo motivo;

15. come premesso in fatto, la Corte territoriale ha ritenuto sul punto l’inutilità del previo esperimento di una qualsiasi procedura esecutiva (e, prima ancora, ancorché implicitamente, l’inutilità che l’odierna controricorrente si munisse di un titolo esecutivo nei confronti della propria datrice di lavoro) sul presupposto della irreperibilità del datore di lavoro e del vano tentativo di notificare l’atto di precetto e di conseguenza ha condannato l’Istituto corrispondente prestazione previdenziale;

16. senonché, indipendentemente dalla questione, successiva, della necessità o meno dell’esperimento di una procedura esecutiva (circa la quale valga comunque qui richiamare il principio di diritto statuito da Cass. n. 17593 del 2016 e succ. conf.), va rimarcato che nel sistema delineato dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, il previo conseguimento di un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente costituisce un presupposto non solo letteralmente, ma anche logicamente necessario, giacché l’accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all’ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di rapporto di lavoro; proprio per ciò, nessun rilievo può avere in casi del genere un’eventuale irreperibilità del legale rappresentante né può essere onerato l’ente previdenziale della prova dell’insufficienza delle garanzie patrimoniali, trattandosi di requisito costitutivo della prestazione richiesta al Fondo di garanzia;

17. si aggiunga che contrari argomenti non possono trarsi da Cass. nn. 11379 del 2008, 9108 del 2007 (dovendo intendersi un refuso il rinvio a Cass. n. 9018 del 2007) che pure si menzionano nella sentenza impugnata a sostegno della tesi qui oggetto di censura: ciò che in quei casi è stato escluso, in dipendenza delle loro peculiarità, è la necessità del preventivo esperimento di un’azione esecutiva di volta in volta mobiliare o immobiliare, non anche la necessità che il lavoratore assicurato si munisca di un titolo esecutivo nei confronti del proprio datore di lavoro;

18. pertanto, non essendosi la Corte di merito uniformata al superiore principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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