Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32447 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20571-2015 proposto da:

D.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ORAZIO TOTARO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, 1978 elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 533/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 30/04/2015 R.G.N. 656/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/06/2021 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO CHE:

1. la Corte d’appello di l’Aquila, confermando la decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di D.A. di condanna, a carico del Fondo di garanzia, ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992, artt. 1 e 2, delle ultime tre mensilità di retribuzione maturate da novembre 2010 a gennaio 2011, quale dipendente della ***** S.p.A., dichiarata fallita dal Tribunale di Chieti con sentenza del 3.11.2011;

2. la Corte distrettuale ha ritenuto non dovute le retribuzioni richieste, non trattandosi delle ultime tre mensilità del rapporto di lavoro; quest’ultimo, infatti, dopo il fallimento, proseguiva, sia pure con sospensione della prestazione dell’attività lavorativa, per effetto del collocamento in CIG (recte: in cassa integrazione guadagni straordinaria: di seguito CIGS) della dipendente fino al 31.12.2012;

3. per la cassazione della sentenza, D.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;

4. la parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.

CONSIDERATO CHE:

5. con il primo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2; la decisione è censurata nella parte in cui ha identificato la data da cui partire per determinare a ritroso gli ultimi tre mesi indennizzabili con quella in cui ha avuto termine la cassa integrazione guadagni e non con la cessazione del rapporto di lavoro, i prima dell’inizio del periodo di CIGS;

6. il motivo è fondato;

7. la questione devoluta alla Corte concerne l’ambito di tutela apprestato dal D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2. In particolare, si chiede al Collegio di stabilire se nel perimetro di protezione della legge rientrano i crediti di lavoro, relativi agli ultimi tre mesi del rapporto rientranti nei dodici mesi “che precedono la data di inizio dell’esecuzione forzata” quando, successivamente al fallimento della società, il lavoratore benefici di un periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 3;

8. nella specie, come già riportato nello storico di lite, il datore di lavoro è fallito con sentenza del 3.11.2011 e i crediti richiesti all’Inps riguardano le mensilità comprese tra novembre 2010 e gennaio 2011. Tuttavia, per il periodo successivo al fallimento e fino al 31.12.2012, tutti i dipendenti sono stati posti in CIGS;

9. i giudici di merito hanno ritenuto che la copertura approntata dal Fondo di Garanzia gestito dell’INPS non coprisse le indicate retribuzioni, non trattandosi delle “ultime tre” mensilità prima della cessazione del rapporto; hanno cioè ancorato il dies a quo da cui partire per individuare a ritroso il periodo indennizzabile al momento di cessazione del trattamento di integrazione salariale, presupponendo quest’ultimo un rapporto (formalmente) in essere;

10. il ragionamento decisorio non è condiviso dal Collegio;

11. questa Corte con riferimento all’obbligo del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS, ai sensi del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, di pagare ai lavoratori la retribuzione delle ultime tre mensilità rientranti nei dodici mesi che precedono la data del provvedimento di apertura della procedura concorsuale a carico del datore di lavoro, sulla scorta della sentenza della Corte di giustizia del 15 maggio 2003, in causa C160/01, ha già ritenuto, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice della norma interna al diritto comunitario, che “gli ultimi tre mesi del rapporto, per rientrare nella garanzia approntata dalla direttiva, devono essere tali da dare diritto alla retribuzione e, ove tale diritto non sussista, i medesimi non possono esser presi in considerazione, mancando lo stesso presupposto a cui la disposizione comunitaria è preordinata” (v. Cass. n. 10531 del 2010; Cass. n. 17600 del 2005);

12. secondo gli indicati precedenti, i periodi non lavorati che non danno luogo a diritti salariali devono essere esclusi, ossia neutralizzati dalla nozione di ultimi tre mesi del rapporto, rientrando nella tutela della direttiva i tre mesi immediatamente precedenti nei quali, invece, “vi era diritto alla retribuzione, ma questa non fu pagata”;

13. in altri termini, gli ultimi tre mesi di rapporto, per rientrare nella garanzia approntata dalla direttiva, devono essere tali da dare diritto alla retribuzione, e ove tale diritto non sussista, i medesimi non possono essere presi in considerazione, mancando lo stesso presupposto a cui la disposizione comunitaria è preordinata; con la conseguenza che rientrano nella tutela della direttiva i tre mesi immediatamente precedenti in cui, invece, vi era diritto alla retribuzione, ma questa non fu pagata, purché rientranti nell’arco temporale indennizzabile. Resta, infatti, imprescindibile il rispetto del nesso temporale indicato dal legislatore in ragione di una presunzione ex lege, per cui le retribuzioni si considerano non pagate a causa dello stato di insolvenza, quando l’inadempimento si collochi temporalmente nei dodici mesi che precedono una delle date che la stessa disposizione considera espressione della esistenza e della irreversibilità di quello stato;

14. non varrebbe obiettare che nell’ipotesi in esame, diversamente che nei casi esaminati dalle pronunce citate (in cui venivano in rilievo permessi non retribuiti o sospensioni concordate del rapporto di lavoro) il lavoratore comunque beneficia di un trattamento previdenziale sostituivo della retribuzione;

15. diversa e’, infatti, la finalità delle tutele apprestate. Con l’azione verso il Fondo, è garantito, sia pure nei limiti del periodo indennizzabile, il diritto del lavoratore alla retribuzione non corrisposta in ragione dell’inadempimento datoriale, per effetto dello stato di insolvenza; con la CIGS, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 3 ratione temporis applicabile, il legislatore accorda un rimedio per le aziende sottoposte a procedure concorsuali, in una prospettiva di continuazione e ripresa dell’attività aziendale oltre che di salvaguardia dei livelli occupazionali;

15. e’, dunque, corretto affermare che, qualora gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro coincidano, in tutto o in parte, con un periodo di sospensione del rapporto durante il quale non è sorto alcun diritto retributivo, la garanzia apprestata dal Fondo è riferibile ai tre mesi immediatamente precedenti (id est: immediatamente precedenti la sospensione), purché rientranti nei dodici mesi la data della domanda diretta all’apertura della procedura concorsuale a carico del datore di lavoro;

16. il secondo motivo di ricorso, con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2938 c.c., ed il terzo motivo, con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – deduce la violazione del R.D.L. n. 276 del 1942, art. 94 in relazione agli artt. 1310,2943 e 2945 c.c., sono inammissibili in quanto relativi ad una questione (quella di prescrizione del credito azionato) non affrontata nella sentenza impugnata. Nel giudizio di legittimità, infatti, non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato, perché superate dalla decisione sulla questione assorbente (v. Cass., n. 23558 del 2014; Cass. n. 4804 del 2007) come si riscontra nel caso di specie. Ne consegue che la decisione sulla questione posta dalla ricorrente con le censure in oggetto – in conseguenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del primo motivo, come si dirà – sarà valutata dal Giudice di rinvio, se ritualmente introdotta nei giudizi di merito;

17. in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, che nel procedere a nuovo esame della fattispecie si atterrà ai principi qui indicati;

18. il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo e dichiara inammissibili gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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