Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32464 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14842-2018 proposto da:

MINISTERO DIFESA, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrenti –

contro

R.N., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA BAVA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 143/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, emessa il 29/01/2018 R.G.N. 1347/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 29.1.2018, la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il Ministero della Difesa a riconoscere a R.N. lo status di vittima del dovere D.Lgs. n. 66 del 2010, ex art. 1904, e a corrispondergli le consequenziali prestazioni assistenziali;

che avverso tale pronuncia il Ministero della Difesa e il Ministero dell’Interno hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;

che R.N. ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria, con cui ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 564 e del D.P.R. n. 243 del 2006, art. 6 per avere la Corte di merito ritenuto che il servizio prestato dall’odierno controricorrente quale militare di leva lo avesse esposto ai “maggiori rischi” di cui alla prima delle norme dianzi cit., senza procedere ad alcuna verifica della sussistenza in concreto di una relazione causale tra le sostanze cancerogene presenti nell’ambiente operativo ove aveva prestato servizio e la malattia successivamente denunciata;

che, al riguardo, va premesso che i giudici territoriali, nell’interpretare la nozione di soggetti esposti L. n. 266 del 2005, ex art. 1, comma 564, hanno richiamato la speciale disciplina contenuta nell’art. 1907 del Codice dell’ordinamento militare approvato con D.Lgs. n. 66 del 2010, il quale, nel rinviare al precedente art. 603 per l’individuazione dei termini e delle modalità per il riconoscimento della causa di servizio e per la corresponsione di adeguati indennizzi per il personale che a causa dell’esposizione a particolari fattori di rischio ha contratto infermità o patologie tumorali, renderebbe superfluo l’accertamento di un preciso nesso causale tra l’insorgenza della malattia tumorale e le concrete vicende belliche cui il richiedente è stato esposto, rilevando piuttosto le particolari condizioni ambientali e operative del servizio (come, nella specie, la frequentazione di scenari operativi bellici caratterizzati dalla presenza di sostanze nocive) che abbiano determinato l’esposizione ai maggiori rischi richiesti dalla norma ai fini del riconoscimento dello status e delle relative provvidenze;

che tale specifica argomentazione non è stata punto censurata nel motivo di ricorso per cassazione;

che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio di diritto secondo cui il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (cfr. Cass. nn. 16038 del 2013, 287 del 2016, 18557 e 30305 del 2019);

che a contrarie conclusioni non è dato pervenire nemmeno considerando che è altrettanto consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio di diritto secondo cui l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate non costituisce requisito autonomo ed imprescindibile del ricorso, essendo funzionale a chiarirne il contenuto e a identificare i limiti della censura formulata (così, tra le più recenti, Cass. nn. 25044 del 2013 e 21819 del 2017), dal momento che, nel caso di specie, lungi dal difettare la mera indicazione delle norme violate, manca nel ricorso una compiuta censura della ratio decidendi in virtù della quale i giudici territoriali hanno ritenuto che la normativa speciale di cui al Codice dell’ordinamento militare introducesse una deroga rispetto ai criteri generali di accertamento dello status di vittima del dovere di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 564; che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza e si distraggono in favore del difensore di parte controricorrente, dichiaratosi antistatario.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le parti ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, con distrazione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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