LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4697-2020 proposto da:
M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, IN SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO NASO, rappresentato e difeso dall’avvocato CRISTIANO DALLA TORRE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di GORIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 524/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 23/07/2019 R.G.N. 777/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.
RILEVATO
CHE:
1. con sentenza 23 luglio 2019, la Corte d’appello di Trieste, in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione (che, con ordinanza 18875/2018, aveva annullato la sentenza 20 luglio 2017 della stessa Corte territoriale, di inammissibilità per tardività dell’appello interposto con atto di citazione, anziché con ricorso, nel rispetto comunque dei termini di legge di notificazione), rigettava il gravame di M.F., cittadino *****, avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;
2. essa negava, come già il Tribunale, la credibilità del richiedente, che aveva riferito di aver lasciato il suo villaggio, nella regione di ***** (nel sud del *****), per dissidi con lo zio paterno, che maltrattava la famiglia e di avergli, per ripicca, fatto scappare il bestiame, suscitandone un’ira tale da volere uccidere il nipote, così decidendo di rifugiarsi da una zia materna a Timbuctu (nel nord del Paese), dove era sequestrato da un gruppo di ribelli (*****), da cui era poi riuscito a mettersi in salvo, imbarcandosi per la Libia e raggiungendo finalmente l’Italia;
3. la Corte ribadiva la scarsa credibilità del racconto del richiedente, per la sua inverosimiglianza, soprattutto sottolineandone la natura di vicenda familiare, neppure denunciata all’autorità, ma superata con il suo trasferimento nella zona a nord del Paese, pericolosa per gli attacchi di guerriglieri militanti, da cui troppo facilmente, secondo la Corte, raccontava di essere riuscito a scappare. Sicché, essa negava la ricorrenza dei requisiti di riconoscibilità dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, neppure egli correndo il pericolo di esposizione a grave danno per violenza indiscriminata generalizzata a causa di un conflitto armato, in riferimento all’ipotesi prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), in assenza di una tale condizione, sulla base delle fonti consultate;
4. infine, essa negava la protezione umanitaria, in assenza, in particolare, di una condizione di integrazione lavorativa né sociale in Italia, per la sola frequentazione di un corso di lingua italiana e due rapporti di lavoro a termine; nell’inesistenza di alcun pericolo personale, in caso di rimpatrio, nel *****, regione di sua provenienza abbandonata nel 2013, ricorrente invece nella regione a nord dove era fuggito dallo zio;
5. con atto notificato il 23 gennaio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
CHE:
1. il ricorrente deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e motivazione apparente, con conseguente nullità della sentenza nella parte di omessa motivazione su detto riconoscimento (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. premessa la ricorrenza del vizio di omessa pronuncia qualora sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e pertanto quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili (Cass. 18 febbraio 2005, n. 3388; Cass. 3 marzo 2020, n. 5730), nel caso di specie la Corte territoriale ha espressamente pronunciato sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato del richiedente, nel senso del suo rigetto in specifico riferimento al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8 (rubricato “Motivi di esecuzione”, definiti “al fine del riconoscimento dello status di rifugiato”), con motivazione adeguata (al p.to 9, in particolare ai primi cinque alinea di pg. 6 della sentenza) e pertanto non apparente (Cass. 6 giugno 2012, n. 9113; Cass. 7 aprile 2017, n. 9097; Cass. 15 novembre 2019, n. 29721);
4. il ricorrente deduce motivazione apparente e conseguente nullità della sentenza, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, in riferimento alla ritenuta credibilità della vicenda alla base dell’allontanamento del richiedente dal suo villaggio nel *****, tuttavia esclusa dal riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), in quanto qualificata “questione familiare” priva di alcuna misura di protezione, nonostante gli atti di persecuzione possano provenire anche da soggetti non statuali e purché lo Stato non possa o non voglia fornire tutela, sull’apodittica e contraddittoria affermazione, rispetto alla constatazione della debolezza in ***** delle istituzioni dello Stato di diritto (al decimo alinea di pg. 6 della sentenza), della risoluzione della maggioranza delle controversie nelle zone rurali dalle “autorità tradizionali”, secondo la risposta della Commissione Nazionale di asilo del 26 gennaio 2018 (all’undicesimo alinea di pg. 6 della sentenza); senza alcuna considerazione della situazione di pericolo, secondo le più accreditate fonti ufficiali, nel Nord del *****, dove il richiedente si era rifugiato presso la zia (secondo motivo);
5. esso è fondato;
6. occorre premettere che le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando né nelle forme dello status di rifugiato, (art. 2, lett. e), né nei casi di protezione sussidiaria (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui all’art. 5, lett. b) D.Lgs. cit. (Cass. 1 aprile 2019, n. 9043; Cass. 2 novembre 2020, n. 24214; Cass. 23 ottobre 2020, n. 23281);
6.1. tuttavia, in tema di protezione internazionale, gli atti di violenza domestica, intesi dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 quali limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali, possono integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante”, qualora risulti che le autorità statuali non contrastino tali condotte o non forniscano protezione contro di esse, essendo frutto di regole consuetudinarie locali (Cass. 21 ottobre 2020, n. 23017; Cass. 12 febbraio 2021, n. 3701);
6.2. la citata Convenzione realizza, infatti, tra gli altri, l’obiettivo di “predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime… di violenza domestica” (art. 1, comma 1, lett. c); che in essa ‘l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima” e che “per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b” (art. 3, comma 1, lett. b, e);
6.3. nel caso di specie, il richiedente ha riferito di aver lasciato il suo villaggio, nella regione di ***** (nel sud del *****), per dissidi con lo zio paterno, che maltrattava la famiglia e di averne ricevuto (per avergli, reagendo alle violenze compiute dal predetto, fatto scappare il bestiame, suscitandone un’ira incontenibile) minacce di morte, così decidendo di rifugiarsi da una zia materna a Timbuctu (nel nord del Paese): zona nella quale la stessa Corte territoriale ha dato atto di una condizione di pericolo personale, in caso di rimpatrio, al contrario che nella zona meridionale sua originaria, sulla base della risposta della Commissione Nazionale di Asilo consultata (così ai primi tre alinea di pg. 7 della sentenza), dalla quale peraltro il richiedente era appunto fuggito per mettersi in salvo dagli atti di violenza fisica dello zio (domestica): con evidente contraddittorietà di motivazione sul punto; la medesima Corte ha pure rilevato come la debolezza delle istituzioni dello Stato di diritto in ***** consenta che siano “le autorità tradizionali”a risolvere “la maggioranza delle controversie nelle zone rurali” (così all’ultimo capoverso del p.to 9, dal decimo al tredicesimo alinea di pg. 6 della sentenza);
7. il ricorrente deduce poi motivazione apparente e conseguente nullità della sentenza, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), per una non corretta valutazione della situazione di ulteriore aggravamento della sicurezza in *****, per la minaccia della presenza di gruppi terroristici, di criminalità diffusa e di scontri tra gruppi etnici, tale da porre “la popolazione in una situazione di rischio compromettendone… l’accesso a servizi pubblici, all’acqua, al cibo e alle cure mediche… “, come risultante dal report di Amnesty International ***** 2018 (terzo motivo);
8. anch’esso è fondato;
9. la censura opera un più puntuale ed aggiornato riferimento alla zona settentrionale, effettivamente interessante l’eventuale rimpatrio del richiedente, in base ad un report di Amnesty International 2018 relativo allo stesso anno (segnalante dal marzo 2018 essere la situazione “ulteriormente precipitata” (così agli ultimi quattro capoversi di pg. 17 del ricorso), rispetto all’accertamento della Corte territoriale, mirato sulla zona meridionale del ***** (in particolare, dal terzo al quinto alinea di pg. 7 della sentenza), con una più generica attestazione in ordine alla parte settentrionale tratta dalla già citata risposta della Commissione Nazionale di Asilo datata 26 gennaio 2018: pertanto idonea a dimostrare come il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, operando richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire l’effettiva verifica di violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26728; Cass. 20 ottobre 2020, n. 22769);
10. il ricorrente deduce, infine, motivazione apparente e conseguente nullità della sentenza, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione di una norma di diritto, per inadeguata valutazione della situazione di vulnerabilità del richiedente in funzione della protezione umanitaria (quarto motivo);
11. esso è assorbito;
12. pertanto il secondo e il terzo motivo di ricorso devono essere accolti, il primo rigettato ed il quarto assorbito, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.
PQM
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo, rigettato il primo e assorbito il quarto; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021