Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32470 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17965-2015 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 53, presso lo studio dell’avvocato CATALDO MARIA DE BENEDICTIS, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9077/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/01/2015 R.G.N. 3421/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 9077 del 2014 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha riconosciuto all’attuale ricorrente la riliquidazione della pensione di reversibilità in godimento, erogata in regime di pro rata estero, ai sensi della L. n. 160 del 1975, art. 10 per il periodo da agosto 1977 ad agosto 2005;

2. la Corte di merito, per quanto in questa sede rileva, in adesione alle conclusioni rassegnate dall’ausiliare officiato in giudizio, ha quantificato il credito per differenze pensionistiche, a titolo di perequazione automatica e tenuto conto dell’incremento in cifra fissa ormai cristallizzato nel rateo pensionistico, nella misura di Euro 3.349,29;

3. avverso tale sentenza C.C. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, al quale ha opposto difese l’INPS, con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

4. con il primo motivo si deduce violazione della L. n. 160 del 1975, art. 10, comma 3 per avere la Corte di merito aderito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, formulate in applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 1981 anziché alla stregua della L. n. 160 del 1975, art. 10, comma 3 e applicato, pertanto, la normativa inerente all’integrazione al minimo in luogo di quella relativa alla maggiorazione, ed assume, altresì, che il consulente tecnico sarebbe andato ultra patita, non rispondendo al quesito posto, mentre la Corte di merito, che alle conclusioni dell’ausiliare ha prestato adesione, avrebbe contraddetto il principio di diritto affermato;

5. il motivo si palesa inammissibile perché nell’illustrare le critiche alla consulenza tecnica e ai conteggi, profilo, quest’ultimo, che già involgerebbe un apprezzamento di merito, risulta trascritta, nel ricorso, a corredo della censura, solo la premessa in fatto della questione esaminata dall’ausiliare officiato in giudizio, e non anche i passaggi salienti comprensivi degli adeguamenti con l’importo in cifra fissa, di cui alla L. n. 160 cit., art. 10 per la quantificazione del credito a titolo di incremento in cifra fissa, che avrebbero indotto la Corte territoriale, nel prestarvi adesione, ad una decisione in difformità con la regula juris applicata, come assumerebbe il ricorrente;

6. il secondo motivo, con il quale di deduce omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, è inammissibile trattandosi di censura non più spendibile in tali termini perché non conforme, ratione temporis, al paradigma del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in seguito alla modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, a termini della quale l’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioè nei casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi (per tutte, Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8054 del 2014 e numerose successive conformi);

7. la censura neanche presenta alcuno dei requisiti richiesti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, finendo con il lamentare non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) bensì l’erroneità delle conclusioni formulate dall’ausiliare e sollecita, quindi, un giudizio di merito, non consentito alla Corte di legittimità;

8. in conclusione, il ricorso è da rigettare;

9. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;

10. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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