LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28293/2019 proposto da:
D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DUE MACELLI 66, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3034/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/07/2019 R.G.N. 521/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI.
RILEVATO
Che:
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3034/19, respingeva il reclamo proposto da D.G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma resa in sede di opposizione all’ordinanza di reiezione del ricorso proposto dalle predette ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, inteso ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento loro intimato con lettera del 22.12.2016 all’esito di procedura di licenziamento collettivo, con tutte le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie. Il licenziamento collettivo aveva tratto origine della comunicazione di avvio della procedura di riduzione del personale del 5 ottobre 2016 nella quale, descritte le ragioni degli esuberi, concentrati presso le sedi di *****, era stato illustrato il progetto di riorganizzazione aziendale che prevedeva la chiusura delle Unità produttive di ***** Divisioni 1 e 2 e l’intera struttura di ***** (che svolgevano attività di CRM in modalità inbound), rimanendo invece l’unità Business Unit, che svolgeva in modalità outbound attività di ricerche di mercato ed infine l’efficientamento dell’unità produttiva di *****; tanto avrebbe comportato la soppressione di 1063 posizioni full time equivalent su ***** (pari a 1666 lavoratori). Si erano illustrate le ragioni per le quali non era possibile il ricorso agli ammortizzatori sociali.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la D., affidato a sette motivi, cui ha resistito Almaviva Contact s.p.a. con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9 e art. 5, per avere la sentenza ritenuto legittimo che i criteri di scelta potessero essere comunicati nella dichiarazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo e per avere ritenuto legittimo che nella dichiarazione di apertura potessero essere già individuate le persone da licenziare, atteso che le modalità di attuazione dei criteri di scelta sono diverse dall’individuazione dei criteri stessi. Deduce che è mancata, nella sentenza impugnata, l’individuazione della ratio che unifica della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 con art. 5: nell’art. 5, il richiamo alle “esigenze tecnico produttivo ed organizzative del complesso aziendale” delimita l’ambito entro il quale deve essere operata la scelta, che in linea generale investe l’intero complesso aziendale; le esigenze tecniche e produttive determinano il numero dei posti da sopprimere, ma il complesso aziendale determina l’ambito in cui operare la scelta; le cinque indicazioni che la comunicazione di apertura di cui dell’art. 4, comma 3, deve contenere sono, invece, finalizzate a consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero.
2. Con il secondo motivo censura la sentenza in ordine alla motivazione sulla L. n. 223 del 1991, art. 4, in quanto incompleta e contraddittoria circa contenuti informativi della “dichiarazione di apertura della procedura di mobilità”, in cui erano state omesse le informazioni su trasferimenti e strumenti di integrazione salariale, con incompleto esame altresì del reclamo sul punto. Deduce, in ordine alle carenze del contenuto informativo della comunicazione ex art. 4, comma 3, che la sentenza non solo aveva contraddittoriamente interpretato il contenuto della dichiarazione circa la possibilità del trasferimento (intesa al contempo come eventuale misura per evitare in tutto o in parte il licenziamento e come misura intesa a fronteggiare le conseguenze sul piano occupazionale della attuazione del programma di ristrutturazione), ma aveva totalmente omesso di rappresentare che all’inizio della procedura l’intimata non aveva dichiarato il numero dei lavoratori trasferibili e neppure aveva indicato l’entità delle unità che era comunque disposta a trasferire (successivamente risultata essere pari a 75 unità). Rappresenta che, secondo la normativa direttiva CEE 98/59 è obbligo del datore di lavoro fornire ai sindacati tutti gli elementi utili per il loro coinvolgimento in politiche e rimedi volti a ridurre le ricadute negative sul piano economico sociale scaturenti dai licenziamenti. Nel caso in esame, la resistente non aveva dato conto nella trattativa dei 297 posti di lavoro su *****; non aveva affidato a selezione la copertura dei 75 posti non in esubero; non aveva comunicato il dato alle organizzazioni sindacali, esercitando lo ius variandi solo tardivamente a procedura conclusa per i 75 lavoratori di *****.
3. Con il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, per avere la sentenza accreditato la tesi che l’ambito aziendale interessato dalla crisi determinasse anche la platea entro la quale operare la riduzione del personale. Osserva che, anche secondo la giurisprudenza di legittimità, la locuzione “esigenze tecniche e produttive” determina il numero di posti da sopprimere, ma la successiva locuzione “del complesso aziendale” determina l’ambito entro il quale deve essere operata la scelta; la selezione del personale può essere limitata a specifiche strutture aziendali solo quando in esse siano utilizzate professionalità infungibili rispetto alle altre. La limitazione è illecita quando i lavoratori dell’azienda sono interscambiabili.
4. Con il quarto, connesso, motivo la ricorrente denuncia falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, in merito agli argomenti posti a sostegno della impossibilità di operare una comparazione del personale a livello dell’intera struttura aziendale. In particolare, la Corte di appello ha ritenuto legittima la delimitazione della platea entro la quale operare la scelta dei licenziandi sulla base di criteri illogici, contraddittori ed arbitrari: la limitazione della platea ad un solo sito (*****) è stata giustificata dalla infungibilità del personale ivi addetto, a sua volta dipendente dall’onerosità e insostenibilità dello spostamento e dell’addestramento per consentire agli operatori di operare su altre commesse, ma la sentenza impugnata – pur dando atto del trasferimento o accorpamento delle commesse in precedenza gestite da ***** presso altri siti – illogicamente trascura che gli altri operatori, che avrebbero dovuto operare su tali commesse trasferite, parimenti avrebbero dovuto essere addestrati per continuare a prestare il servizio al committente. Incongruamente, poi, il trasferimento era stato proposto in sede di misure per fronteggiare le conseguenze sociali del licenziamento.
5. Con il quinto motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, per non avere la sentenza chiarito le modalità applicative del criterio selettivo in relazione alla mancata comparazione del personale delle Divisioni soppresse con il restante personale del sito di ***** rimasto in servizio.
6. Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 2, artt. 1175 e 1375 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 15, violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5, comma 1, in relazione al passaggio argomentativo con cui la sentenza impugnata aveva affermato la non omogeneità della professionalità degli operatori inbound e degli operatori outbound operanti nel sito di *****.
7. Con settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 16 e L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e art. 5, comma 1. Lamenta la D. che la sentenza impugnata non avrebbe esaminato la censura della interruzione, solo per *****, di un comportamento consolidato (utilizzo dei job post per la mobilità aziendale e infragruppo, attraverso modalità di trasferimento volontario, temporaneo o definitivo ovvero di distacco) senza “esplorare” la persistenza a ***** di posti di lavoro destinati al solo sito di *****.
Il settimo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., non essendo chiarito in cosa consistesse effettivamente il “job post” e per quale ragione la sua applicazione avrebbe reso illegittimo il licenziamento della ricorrente; per il resto la censura è infondata, risultando diretta a sostituirsi alle scelte imprenditoriali con il “suggerimento” di azioni diverse ed alternative a quelle operate dall’azienda. Quanto ai trasferimenti la sentenza impugnata (pag. 25) evidenzia che essi furono disposti su base volontaria successivamente all’intimazione del licenziamento.
8. I primi sei motivi possono invece esaminarsi congiuntamente, poiché connessi. Essi sono infondati.
Sullo stesso identico licenziamento collettivo questa Corte si è pronunciata più volte, affermandone la legittimità, con riferimento peraltro alle medesime censure oggi svolte dalla ricorrente (Cass. n. 15123/21; cfr. per il resto Cass. n. 15124/21, Cass. nn. 14804-7/21, Cass. nn. 14674-7/21 e numerose altre).
Le relative motivazioni debbono qui ritenersi richiamate e riportate ex art. 118 disp. att. c.p.c., così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 52.
9. Le censure attoree sopra esposte sono state respinte da questa Corte con le condivise motivazioni che sinteticamente di seguito si riportano:
a) vizi della procedura di apertura del licenziamento collettivo, incompletezza e contraddittorietà (motivi 1 e 2): la previsione degli artt. 4 e 5 L. cit. di una puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dalla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva.
b) l’ambito aziendale interessato dalla crisi e platea entro la quale operare la riduzione del personale (motivi 3 e 4): nella comunicazione di apertura della procedura Almaviva Contact s.p.a. ha specificamente circoscritto il progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale alle unità produttive di *****, indicando analiticamente le ragioni ostative ad un’estensione della comparazione al personale impiegato presso le unità produttive non toccate da tale progetto (*****): con delimitazione pertanto della platea “al personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei siti produttivi interessati dagli esuberi (*****), in ragione della chiusura totale delle Divisioni 1 e 2 (per quanto riguarda *****) e dell’intero sito (per quanto riguarda *****)”.
c) modalità applicative del criterio selettivo e non omogeneità della professionalità degli operatori inbound e degli operatori outbound operanti nel sito di ***** (motivi 5 e 6): secondo questa S.C. la Corte capitolina, con argomentazione congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase negoziale (così risultando la sua interpretazione insindacabile in sede di legittimità, per le ragioni più sopra illustrate in riferimento alla comunicazione di apertura), ha accertato la conclusione di un accordo della società datrice con le organizzazioni sindacali sulla limitazione di applicazione dei criteri legali alle sole sedi da sopprimere di *****; nel caso di specie, l’infungibilità delle mansioni è stata individuata nella peculiarità di ogni sito produttivo, in ragione delle commesse trattate, ognuna esigente una diversa e specifica formazione: dovendo il personale inbound avere una conoscenza della committente, tale da porlo in grado di rispondere alle domande della clientela telefonica; la limitazione alla sola platea dei lavoratori inbound delle due divisioni romane, poi, per accordo sindacale e comunque per ragionevole misura in riferimento alla verificata infungibilità delle mansioni svolte dai predetti e con quelle del personale inbound delle altre sedi, ha comportato l’adozione (comunicata sia in sede di apertura che di chiusura della procedura di mobilità, a norma della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9) di un criterio (puntualmente indicato anche nelle modalità applicative, oltre che nell’individuazione dei criteri di selezione del personale, anche nella specificazione del suo concreto modo di operare), diverso da quelli legali operanti sull’intero complesso aziendale, legittimamente consistente nella priorità del criterio delle esigenze tecnico-produttive e organizzative.
9. Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021
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