LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 34664/2018 proposto da:
FARMACIA S. ANNA S.A.S. DEL DOTTOR V.D. E C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL CONSOLATO 6, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO SERRA, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA LANDUZZI;
– ricorrente –
contro
A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GUGLIELMO MARCONI 94, presso lo studio dell’avvocato IVANO GIACOMELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FAUSTO PUCILLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 326/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/05/2018 R.G.N. 213/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 326 del 18.5.2018 la Corte d’appello di Bologna, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo il 30.12.2013 dalla Farmacia S. Anna s.a.s. del Dott. V.D. e C a A.C. in considerazione della crisi economica e della impossibilità di mantenere il rapporto di lavoro a fronte della prolungata assenza per congedo straordinario del dipendente.
2. La Corte distrettuale ha ritenuto, preliminarmente, rituali il deposito del ricorso (effettuato sia in formato elettronico originale che in formato cartaceo) e la notifica telematica, sottolineando che la doglianza di non aver ricevuto la notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del pedissequo provvedimento di fissazione dell’udienza dimostravano, semplicemente, che la Farmacia non era adusa ad “aprire” la posta elettronica ricevuta al proprio indirizzo pec; ha aggiunto che le supposte irregolarità non inficiavano la validità della notifica ex art. 156 c.p.c., ossia per raggiungimento dello scopo, e che il ricorrente aveva depositato ricorso, decreto di fissazione dell’udienza procura alle liti, relate di notifica sia in formato elettronico originale che in formato cartaceo; inoltre, la richiesta di rimessione in termini proposta dalla Farmacia non aveva alcun profilo di decisività in quanto limitata all’autorizzazione di “prova contraria sul capitolato avverso con i medesimi testi”; nel merito, ha osservato che i presupposti organizzativi posti a base del recesso erano rimasti del tutto sprovvisti di prova, e conseguentemente l’accertamento circa l’assolvimento dell’obbligo di repechage da parte del datore di lavoro diventava ininfluente.
3. Avverso tale sentenza la Farmacia ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. A.C. ha depositato controricorso.
4. Il procedimento è regolato dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, conv. con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, secondo cui “Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica a norma dell’art. 374 c.p.c., art. 375 c.p.c., u.c. e art. 379 c.p.c., la corte di cassazione procede in Camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale”. Ne’ i difensori delle parti, né il Procuratore Generale hanno fatto richiesta di discussione orale.
5. Il P.G. ha rassegnato le proprie conclusioni scritte, chiedendo l’inammissibilità del ricorso, e in subordine il rigetto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i primi quattro motivi di ricorso si denuncia violazione della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis, D.M. n. 44 del 2011, artt. 12 e 34, D.L. n. 179 del 2011, art. 16 undecies, provvedimento 16.4.2014 del Responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia, art. 156 c.c., art. 112 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) avendo, il ricorrente originario -lavoratore, trascurato – non potendo procedere al deposito del ricorso introduttivo del giudizio con modalità telematiche – di attestare la conformità dei documenti analogici ai documenti informatici delle ricevute PEC e – procedendo a deposito telematico – di apporre la firma digitale successivamente alla compressione delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna della notifica PEC; avendo, il ricorrente originario, trascurato di stampare la copia informatica della notifica (estratta dal fascicolo telematico) e di notificarla fisicamente (in cartaceo), posto che l’assenza delle regole tecniche che abilitavano il difensore ad attestare la conformità delle copie informatiche escludevano la possibilità di procedere mediante notifica telematica. La Corte distrettuale, inoltre, ha errato ritenendo raggiunto lo scopo ex art. 156 c.p.c., posto che la notizia della pendenza del ricorso è stata acquisita, dalla Farmacia, solamente a seguito di una seconda notifica via PEC, e conseguentemente, non è stato permesso, al convenuto, di articolare prova istruttoria (nella specie, prova testimoniale diretta) adeguata alla propria difesa.
2. Con il quinto motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) presentando, la sentenza di primo grado, numerose anomalie e refusi che la rendono illogica ed non avendo, l’ A., invocato l’adempimento dell’obbligo del repechage.
3. Con il sesto motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) avendo, la Corte distrettuale, trascurato di valutare la scelta organizzativa compiuta dalla Farmacia, che può essere dettata – secondo recente giurisprudenza – anche da esigenze di migliore efficienza gestionale o di incremento della redditività dell’impresa.
4. I primi quattro motivi sono inammissibili per plurimi motivi.
Va premesso che la sentenza impugnata precisa che la notifica del ricorso introduttivo del giudizio effettuata a mezzo PEC si è perfezionata (l’1.10.2014) mediante ricevuta di avvenuta accettazione e consegna e che, poi, il ricorrente ha provveduto a depositare gli atti (ricorso, decreto di fissazione dell’udienza, procura alle liti, relata di notifica, messaggi PEC di accettazione e consegna) sia in formato elettronico sia in formato cartaceo, corredati da attestazione di conformità; ha aggiunto che, in ogni caso, doveva ritenersi, ex art. 156 c.p.c., che la notifica aveva raggiunto lo scopo, considerate le corrette controdeduzioni in proposito espresse dal lavoratore-appellato e che non aveva pregio l’istanza di rimessione in termini proposta dalla Farmacia in quanto l’attività difensiva per cui era richiesta autorizzazione (ad integrare gli atti) si limitava alla “ammissione di prova contraria sul capitolato avverso con i medesimi testi, cioè di prova comunque assunta in giudizio vertente su circostanze comunque inidonee alla dimostrazione dell’esistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento (ed infatti per cinque capitoli su sei ammessi dalla difesa del convenuto)”;
4.1. Ebbene, parte ricorrente, in violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione dettato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4,.pro.civ., non ha ritenuto di trascrivere il contenuto dell’attestazione di conformità (di cui deduce l’irritualità) né di indicare l’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio.
In argomento, va richiamata – posto che nel caso di specie gli atti del ricorrente (ricorso, decreto di fissazione dell’udienza, procura ad litem, messaggi PEC di avvenuta notifica, relata di notifica, biglietto di cancelleria) sono stati tempestivamente depositati anche in formato cartaceo – la statuizione n. 29175 del 21/12/2020 delle Sezioni Unite che con riguardo al giudizio in cassazione e al contesto di costituzione mediante deposito di fascicolo cartaceo – ha sottolineato che la mancanza dell’attestazione di conformità della procura alle liti notificata unitamente al ricorso a mezzo PEC ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, non comporta l’inammissibilità per nullità della notificazione, venendo in rilievo una mera irregolarità sanata dal tempestivo deposito del ricorso e della procura in originale analogico, corredati dall’attestazione mancante.
4.2. Ulteriore profilo di inammissibilità concerne le doglianze relative alla necessità di apporre la firma digitale in caso di file compresso (parte finale del primo motivo) e di procedere alla notifica con mezzi tradizionali in assenza delle regole tecniche per attestare la conformità degli atti (secondo motivo): le censure appaiono nuove e, perciò, inammissibili, non essendo state – dette questioni – specificamente trattate nella decisione impugnata (che si occupa, invece, delle diverse questioni inerenti la mancata ricezione della notifica via PEC del ricorso introduttivo del giudizio e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, della completezza della procura ad litem e della mancanza di specifiche tecniche per attestarne la conformità, del formato “pades” del file relativo alla relata di notifica, della prova della avvenuta notifica via PEC), né avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della sua devoluzione al Giudice del gravame. In particolare, lo stesso ricorrente deduce che “per un refuso” la nullità dell’attestazione di conformità relativa all’atto (originale informatico) notificato via PEC è stata riferita, in sede di appello, alla procura ad litem, mentre in questa sede viene riferita alla copia informatica dell’atto notificato, con ciò palesando chiaramente – come dedotto altresì dal controricorrente – l’intenzione di modificare il contenuto dell’eccezione di nullità.
4.3. Infine, il ricorrente ha a lungo argomentato sulla erroneità della notifica via PEC e sul deposito telematico degli atti di controparte ma nulla ha dedotto sulle altre ragioni del rigetto esposte dalla Corte territoriale, ossia sul contestuale e tempestivo deposito cartaceo di tutti gli atti da parte del lavoratore-ricorrente in primo grado, sul raggiungimento dello scopo con riguardo alla notifica del ricorso introduttivo del giudizio e sulla mancanza di decisività dell’istanza di rimessione in termini (limitata alla ammissione di prova contraria, su capitolato avversario, con i medesimi testi).
Trova quindi applicazione nella fattispecie il principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr, ex plurimis, Cass. n. 9752 del 2017, Cass. n. 12355 del 2010; Cass. n. 13956 del 2005).
5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
Si tratta di censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado e non contro la sentenza di appello (sulla inammissibilità di siffatte censure v. Cass. n. 5637 del 2006, Cass. nn. 11026 e 15952 del 2007, Cass. n. 6733 del 2014).
Con particolare riguardo all’obbligo di repechage, va osservato che la Corte di appello, confermando la pronuncia del Tribunale in ordine alla carenza di prova sulla sussistenza di un giustificato motivo di recesso, rileva correttamente che la impossibilità di adibire il lavoratore ad altra mansione è profilo recessivo a fronte dell’assenza dei presupposti di carattere tecnico, organizzativo e produttivo che dovevano sorreggere il licenziamento.
6. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile Le argomentazioni svolte sostanzialmente sollecitano, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento. Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre sostanziali censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in assenza di lacune o contraddizioni motivazionali secondo il parametro del c.d. minimo costituzionale attualmente imposto dal novellato paradigma legale (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014).
7. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..
8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021