LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9800/2016 proposto da:
A.L., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PALLINI, rappresentato e difeso dagli avvocati PIETRO EMILIO ANTONIO ICHINO, FRANCESCO BRUGNATELLI, ENRICO BRUGNATELLI;
N.G., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso lo studio dell’Avvocato MASSIMO PALLINI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COSIMO FRANCIOSO;
– controricorrenti –
avverso il decreto n. 3434/2016 del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 16/03/2016 R.G.N. 84839/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.
RILEVATO
Che:
1. con la sentenza in epigrafe indicata, il tribunale di Milano rigettava l’opposizione allo stato passivo del Fondo pensioni per il personale BCI in liquidazione, in relazione all’istanza di ammissione presentata dagli attuali ricorrenti, per il credito preteso, in applicazione dell’art. 27 introdotto nello statuto del Fondo dalla riforma del 1999, applicabile, benché non aderenti alla riforma, anche alla fase della liquidazione del Fondo, con diritto di ricevere le plusvalenze realizzate con la liquidazione del patrimonio del Fondo, pur non avendo aderito alla riforma ma alla stregua di quanto stabilito dall’accordo sindacale del 1999, stipulato quando erano ancora iscritti al Fondo;
2. in riferimento ad analoga istanza dei ricorrenti D.C., L. e V., aderenti al nuovo statuto dell’ente, cessata l’iscrizione al fondo, ottenevano la liquidazione dello zainetto con rilascio di contestuale quietanza recante dichiarazione di non avere più nulla a pretendere per qualsiasi titolo o causa, il Tribunale riteneva definitivamente cessato il rapporto con il Fondo e, conseguentemente, irrilevanti tutte le vicende verificatesi nel periodo successivo;
3. il Tribunale ha ritenuto applicabile l’art. 27 dello statuto (che prevede l’attribuzione a lavoratori con dati requisiti delle plusvalenze nel comparto immobiliare del fondo pensioni BCI) solo al normale esercizio dell’attività del fondo e non anche alla fase finalizzata alla sua cessazione, in quanto con accordo sindacale del 10 dicembre 2004 l’art. 27 era stato abrogato implicitamente, essendosi deciso di destinare il ricavato della liquidazione dell’intero patrimonio del fondo (e non più delle sole plusvalenze) non più alle categorie di pensionati o pensionabili ai quali si rivolgeva l’art. 27 ma esclusivamente ai pensionati andati in pensione all’epoca della riforma, e percettori della relativa rendita, e a quanti erano ancora in attività al 10 dicembre 2004;
4. il Tribunale escludeva una violazione dell’art. 2117 c.c. e, dunque, la responsabilità datoriale nei confronti dei lavoratori per la distrazione dell’integrità patrimoniale del fondo di riferimento, sul presupposto che nella vicenda non vi fosse stata alcuna distrazione del patrimonio dalla funzione previdenziale bensì una modificazione legittima e ragionevole dei criteri di distribuzione;
5. riteneva, inoltre, pur volendo accedere ad una diversa interpretazione, inapplicabile l’art. 27 per essere i ricorrenti, ad eccezione di D.C. e altri due suindicati, tra i non aderenti alla riforma del 1999 per non avervi prestato l’adesione individuale;
6 avverso tale sentenza ricorrono A.L. ed altri 44 litisconsorti in epigrafe indicati, con quattro motivi, cui resiste, con controricorso, il Fondo; resistono N.G.F. ed altri pensionati, in epigrafe indicati, con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
7 con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il tribunale rigettato l’opposizione in base a pretesa abrogazione dell’art. 3 dell’accordo 16 dicembre 1999 tra le fonti istitutive del Fondo, recepito, mediante ratifica, nei contratti individuali nonché dell’art. 27 dello statuto del Fondo decisione diversa da quella adottata dal fondo all’atto del rigetto dell’istanza di ammissione al passivo, nonché nel corso del giudizio di opposizione), (pretesa non applicabilità dell’art. 27 tuttora vigente in ipotesi di liquidazione del Fondo);
8. con il secondo si deduce violazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 17,D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 19, comma 2, lett. b), avverso la tesi dell’abrogazione dell’art. 27, ove rigettato il primo motivo, avente carattere assorbente, per avere la sentenza impugnata trascurato l’assenza dell’approvazione della COVIP per le modifiche dello statuto e dunque ragioni di invalidità della riforma del Fondo attuata con l’accordo collettivo del 2004, doglianza dichiaratamente nuova, al pari della censura sub terzo motivo, che non trova riscontro nelle difese già svolte nel primo grado del giudizio ma indotte dalla decisione sull’opposizione in forza di una questione nuova;
9. con il terzo si deduce violazione degli artt. 2077,1362,1372,1358 c.c. e si assume che, per avere il ricorrente aderito formalmente all’accordo del 16 dicembre 1999 e aderito espressamente individualmente, non si applica l’accordo del 2004 perché andato in pensione prima della relativa stipula, e vanta un diritto di credito per una parte, quella decurtata dei tagli, sottoposta a condizione sospensiva, poi verificatasi all’atto della vendita del patrimonio immobiliare del Fondo, che ha reso certo, liquido, esigibile, un diritto di credito già esistente ma condizionato; inoltre, l’accordo trasfuso nel contratto individuale di lavoro mediante atto di adesione individuale non poteva essere modificato da successivo accordo, senza il consenso del lavoratore;
10. con il quarto si deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 3 dell’accordo del 16 dicembre 1999 tra le Fonti istitutive, recepito dall’art. 27 del vigente statuto del Fondo e dell’accordo del 10 dicembre 2004 e, in subordine, violazione degli artt. 1362 c.p.c. e segg. e si assume che un accordo stipulato dalle Fonti istitutive di un Fondo di previdenza complementare nell’ambito di una grande azienda che operi sull’intero territorio nazionale possa ben definirsi “accordo nazionale” agli effetti dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per essere sottoposto alla diretta interpretazione del giudice di legittimità;
11. il primo motivo è inammissibile, per difetto di specificità e violazione del principio di autosufficienza, non risultando indicato, né riportato il contenuto del decreto impugnato per essersi la parte limitata all’enunciazione generica del tenore, dunque né specifica, né puntuale;
12. del pari inammissibile è il quarto motivo con il quale si pretende richiedere l’esame diretto, da parte della Corte di legittimità, dell’accordo stipulato dalle Fonti istitutive di un Fondo di previdenza complementare valorizzando le dimensioni dell’azienda operante sull’intero territorio nazionale, non potendo darsi diretto esame, in sede di legittimità, degli accordi collettivi aziendali e di norme statutarie;
13. per le ulteriori censure, congiuntamente esaminate per la loro connessione, vanno ribaditi gli argomenti già svolti da questa Corte, con decisione resa all’udienza pubblica del 3 marzo 2021, in causa Angeleri c/Fondo pensioni per il personale BCI in liquidazione (sentenza in corso di pubblicazione);
14. il Tribunale ha affermato che con accordo sindacale 10.12.04 le parti sociali avevano disciplinato la destinazione del ricavato della liquidazione dell’intero patrimonio del fondo (e non più delle sole plusvalenze) in favore dei soli pensionati successivi al 2000 e dei lavoratori in attività al 2004, così derogando alla precedente disciplina (che prevedeva tra l’altro le plusvalenze in favore solo di coloro che erano già in servizio al 1993 ed erano rimasti tali anche dopo il 1999);
15. non si tratta, a ben vedere, dell’abrogazione dell’art. 27 dello Statuto e della precedente disciplina, ma solo di una deroga alle vecchie previsioni in relazione alla liquidazione dell’intero fondo, sicché non colgono nel segno i motivi di ricorso che fanno riferimento alla non abrogazione delle norme pregresse: in altri termini, le vecchie norme non si applicano non in quanto abrogate, ma in quanto non si riferiscono alla liquidazione del fondo, disciplinato solo dalle norme successive;
16. resta il problema della legittimità delle nuove norme, per avere le stesse carattere peggiorativo rispetto alle pregresse disposizioni;
17. in ordine a tale profilo, però, questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. n. 13960 del 2014) che, nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni in peius per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale;
18. nella specie, l’accordo collettivo su richiamato, in quanto non ha inciso sui soggetti che avevano già acquisito il diritto al trattamento pensionistico (come appunto coloro che erano andati in pensione, ed avevano perciò già ricevuto il trattamento pieno, così facendo affidamento anche per il futuro su tali importi), appare ragionevole e rispettoso del dettato normativo di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993, che ammette che, in presenza di squilibri finanziari nella gestione di fondi di previdenza complementare costituiti per contratto collettivo, la stessa contrattazione può rideterminare la disciplina delle prestazioni;
19. è peraltro affermazione ricorrente di questa Corte che il lavoratore non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva che più non esiste perché caducata o sostituita da altra successiva;
20. le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nell’ipotesi di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (ex art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo e individuale (in tal senso, Cass., 10 ottobre 2007, n. 21234, che richiama Cass., 28 novembre 1992, n. 12751; Cass., 5 novembre 2003, n. 16635);
21. quanto alle doglianze concernenti l’esclusione dalla liquidazione immobiliare del fondo anche ai sensi delle disposizioni del 2004, esclusione affermata dal tribunale in considerazione dell’avvenuta liquidazione della posizione in capitale prima del 2004, si assume di voler beneficiare della liquidazione immobiliare del fondo in ogni caso, al pari dei “pensionati” (coloro che dopo il 2000 avevano cessato il rapporto percependo pensione) e dei c.d. “attivi” (coloro che erano in attività all’entrata in vigore delle nuove disposizioni del 2004);
22. invero, come già di recente affermato in riferimento a figure pur tra loro diverse – non aderenti alla riforma del fondo del 1999, aderenti alla riforma del 1999 ma in pensione prima del 2004, conseguendo però la prestazione in forma di capitale, un c.d. anticipato, ossia aver fruito dell’anticipazione del trattamento (ricorrendo i motivi per i quali detta anticipazione era possibile prima della scadenza), questa Corte ha già escluso il diritto alla prestazioni invocate (le plusvalenze immobiliari), avendo tutti ottenuto la liquidazione della quota in capitale ed essendo cessata la relativa iscrizione al fondo: in altri termini, i lavoratori sono cessati dal fondo incassando il proprio “zainetto” (ossia la propria quota capitalizzata individuale da erogare in caso di cessazione dell’iscrizione al fondo: cfr. Cass. Sez. L, sentenza n. 21224 del 10.10.2007), in toto o pro quota mediante riscossione di una anticipazione a valere sullo “zainetto” medesimo;
23. in altri termini, i partecipanti al fondo, sino a quando hanno mantenuto la loro partecipazione al fondo, hanno beneficiato, in ragione della quota detenuta, dei rendimenti annuali del fondo, mediante attribuzione proporzionale ai loro “zainetti” individuali: nel momento i cui i predetti hanno riscosso lo “zainetto” (potendolo poi investire liberamente in altri impieghi disponibili e ponendosi al riparo dei rischi connessi con il futuro andamento del fondo, inclusa la sua insolvenza) o chiesto un’anticipazione, essi hanno sciolto ogni rapporto con il fondo;
24. ciò è coerente con la natura del fondo, che è a contribuzione definita, seguendo un regime nel quale è fissato il livello di contribuzione (sulle caratteristiche di detti fondi, v. Cass. n. 9042 del 2012), restando le prestazioni fluttuanti e variabili in relazione ai rendimenti del patrimonio;
25. i fondi di tale natura, infatti, operano come i fondi comuni di investimento, sicché chi ritira in tutto o in parte il proprio investimento, quale che sia il relativo motivo, da quel momento in poi ha diritto solo al rendimento del fondo per la sola eventuale parte dell’investimento residuo;
26. la posizione dei ricorrenti è dunque diversa da quella dei “pensionati” e degli “attivi”, il che spiega le previsioni della liquidazione solo in favore di questi ultimi da parte della disciplina del 2004, correttamente letta dalla sentenza impugnata, nel pieno rispetto dei criteri ermeneutici codificati (nello stesso senso, in fattispecie analoga, Cass. n. 23416 del 2017);
27. anche per tali osservazioni la sentenza impugnata merita dunque conferma;
28. segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;
29. sussistono i requisiti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi professionali a favore del Fondo ed Euro 5.000,00 in favore degli altri controricorrenti, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15 per cento e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021