LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4191-2020 proposto da:
S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato JACOPO MARIA PITORRI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 5154/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/07/2019 R.G.N. 3158/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.
RILEVATO
che:
1. La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto da S.I., cittadino del *****, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
2. Il richiedente aveva dichiarato di essere stato costretto a lasciare il Paese per il timore di essere perseguitato in quanto omosessuale, dopo essere stato scoperto dalla sorella durante un rapporto omosessuale con un amico.
3. La Corte d’appello ha ritenuto inattendibile il racconto del ricorrente perché contraddittorio sia “in ordine alle modalità della scoperta della omosessualità del S. da parte della sua famiglia” e sia soprattutto “in ordine alla consapevolezza acquisita dal ricorrente della propria omosessualità” e quindi assenti i presupposti per lo status di rifugiato e per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b).
4. Ai fini dell’art. 14, lett. c) cit., ha escluso l’esistenza nel *****, e in particolare nella regione di ***** di provenienza dell’appellante, di una condizione di violenza generalizzata o di un conflitto interno o internazionale, richiamando le fonti citate nell’ordinanza impugnata, oltre a “Amnesty Int., UNHCR, sito della Farnesina “*****” rapporto valido fino al 22.2.2019).
5. Ha infine escluso che fosse emersa una situazione di “particolare vulnerabilità” del richiedente ed ha rilevato l’assoluta genericità delle allegazioni contenute nel ricorso ai fini della domanda di protezione umanitaria.
6. Avverso la sentenza il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
7. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
8. Col primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa motivazione in relazione al rigetto della domanda di protezione internazionale e di protezione umanitaria; inoltre, per avere i giudici di appello fatto propria la motivazione della sentenza di primo grado, senza un esame critico della stessa alla luce dei motivi di impugnazione.
9. Col secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 per avere la Corte di merito violato i criteri legalmente imposti ai fini del riscontro di credibilità del richiedente la protezione internazionale e per essere venuta meno all’obbligo di cooperazione istruttoria, in particolare sulle condizioni delle persone omosessuali nel Paese d’origine.
10. Col terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 omesso esame delle fonti informative, omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Si assume che i giudici di appello abbiano escluso i requisiti della protezione sussidiaria sulla base di fonti non aggiornate e non complete, là dove le fonti specificamente riportate nel ricorso in esame dimostrerebbero una condizione di pericolo nel Paese di provenienza del richiedente.
11. Col quarto motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, , D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8; difetto di motivazione e travisamento dei fatti per la totale assenza di istruttoria e motivazione sulle condizioni, anche socio economiche, del Paese d’origine.
12. Col quinto motivo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, omesso esame delle condizioni personali del richiedente per l’applicabilità della protezione e delle fonti informative sulle condizioni socio economiche del Paese di provenienza, elementi necessari ai fini del giudizio comparativo atto a far emergere la sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali.
13. I premi tre motivi di ricorso sono fondati nei termini di seguito precisati.
14. Occorre premettere che la nozione di “rifugiato”, di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 1, lett. e), quale “cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese” ricomprende, grazie al riferimento al “determinato gruppo sociale”, anche i timori di persecuzione collegati all’orientamento sessuale.
15. L’orientamento sessuale del richiedente (nella specie, l’omosessualità) rappresenta un fattore di individuazione del “particolare gruppo sociale” la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8, comma 1, lett. d), costituisce ragione di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato, pur se dedotta per la prima volta solo davanti al tribunale. (Sez. 6 – 1, n. 27437 del 29/12/2016). Inoltre, il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1 vieta l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione anche per motivi di orientamento sessuale.
16. Questa Corte ha in proposito affermato che per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione; tale situazione si concretizza allorché le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro paese e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, sì che ben si può ritenere che ciò costituisca una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini che compromette grandemente la loro libertà personale. Tale violazione si riflette, automaticamente, sulla condizione individuale delle persone omosessuali, ponendole in una situazione oggettiva di persecuzione, che deve essere verificata, anche d’ufficio, dal giudice di merito, e che è tale da giustificare la concessione della protezione (Sez. 6 – 1, n. 15981 del 20/09/2012; Sez. 1, n. 07438/2020).
17. Si è in particolare precisato che, in ogni caso, l’allegazione da parte dello straniero della propria condizione di omosessualità impone al giudice di porsi in una prospettiva dinamica e non statica (Sez. 1, n. 09815/2020, cit.), nel senso che ha il dovere di accertare se lo Stato di provenienza non possa o non voglia offrire adeguata protezione alla persona omosessuale, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 5, lett. c), e dunque se, considerata la concreta situazione del richiedente e la sua particolare condizione personale, questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 8, lett. d), una minaccia grave ed individuale alla propria vita o alla persona (Sez. 1, n. 11172/2020; v. altresì Sez. 1, n. 11176/2019).
18. Nel caso di specie, la Corte di merito, da un lato, nella valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ha omesso di seguire le cogenti regole di procedimentalizzazione di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, (v. Cass. 26921/2017,) affidandosi, peraltro su un terreno così sensibile come quello dell’orientamento sessuale, a indici di inverosimiglianza legati ad aspetti secondari o di dettaglio (“e’ del tutto illogico che il S. si sia lasciato scoprire mentre aveva rapporti sessuali con un amico – durante una festa -“) oppure a nozioni stereotipate associate alla omosessualità come vissuta in ambito nazionale (“l’appellante non ha allegato alcuna documentazione -come ad esempio relazioni psicologiche, attestazioni di frequenza delle comunità gay in Italia o altro”), (v. Cass. 23891/20; n. 9815/2020); dall’altro lato, e in conseguenza del giudizio di non credibilità, ha omesso qualsiasi indagine sul rischio di persecuzione per ragioni legate alla omosessualità nel Paese d’origine, come sarebbe stato invece doveroso in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria.
19. Non solo, la sentenza impugnata non appare conforme ai principi affermati da questa Corte riguardo all’obbligo di cooperazione istruttoria, ai fini della domanda di protezione sussidiaria.
20. In proposito, si è affermato che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).
21. Tale accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.
22. Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale si è limitata a richiamare, per escludere ogni ipotesi prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), e per ritenere che la condizione attuale del *****, in particolare nella regione di ***** di provenienza dell’appellante, non fosse interessata da conflitti armati interni ed internazionali e da una condizione di violenza generalizzata, fonti astrattamente attendibili ma prive di qualsiasi datazione che consentisse di verificarne l’aggiornamento, oltre a fonti non idonee allo scopo in oggetto, come il sito “*****” della Farnesina.
23. Per le ragioni esposte, i primi tre motivi di ricorso devono trovare accoglimento, risultando assorbiti i residui motivi.
24. La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’udienza camerale, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021