Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.32604 del 09/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11180/2020 proposto da:

TRE EMME S.R.L., con sede in ***** (C.F.: ***** e P.Iva:

*****), in persona dell’amministratore unico M.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Roberto Vellata del Foro di Novara (C.F.: *****) e dall’Avv. Stefano Fiore del Foro di Roma (C.F.

*****) e presso quest’ultimo domiciliata in Roma, alla Via Giovani Nicotera n. 29, giusta delega in allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BOFFALORA, con sede in ***** (C.F./P.Iva: *****), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso rilasciata su Delib. di Giunta 17 luglio 2019, n. 88, dall’avv. Lorenzo Del Federico (C.F. *****) dall’Avv. Christian Califano (C.F.: *****), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Laura Rosa (C.F.: *****), in Roma alla Via Denza n. 20;

– controricorrente –

avverso fa sentenza n. 4456/2019 emessa dalla CTR Lombardia in data 21/11/2019 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

RITENUTO IN FATTO

La TREEMME S.r.l. impugnava la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 2166/24/18 depositata in data 15 maggio 2018, che aveva respinto il ricorso proposto avverso gli avvisi di pagamento per TARI anni 2016 (conguaglio) e 2017 emessi dal Comune di Boffalora.

La sentenza aveva motivato il rigetto del ricorso per aver il Comune inquadrato correttamente la fattispecie, poiché risultava dal Regolamento comunale che i rifiuti prodotti dalla Società nello svolgimento della sua attività erano rifiuti speciali, correttamente soggetti a tassazione. I primi giudici avevano preso atto che il Comune aveva già ridotto la pretesa impositiva del 50%.

La società appellante, che svolgeva attività autorizzata di commercio e recupero rifiuti, assumeva l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla richiesta disapplicazione dell’art. 10 del Regolamento comunale, per contrasto con gli artt. 184-198 del Testo Unico Ambientale e per esenzione dalla tariffa in base alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 649, atteso che la norma regolamentare, mentre in una disposizione indicava un limite quantitativo dei rifiuti prodotti, in altra disposizione smentiva l’esistenza di tale limite quantitativo. Inoltre, dovevano, a suo dire, essere escluse dalla TARI le aree scoperte, come l’area piazzale su cui era stata applicata l’imposta, che dessero luogo alla produzione di rifiuti speciali non assimilabili, ove fossero asservite al ciclo produttivo; nella specie, il piazzale di mq. 4.139,51 dedicato alla movimentazione e smistamento e stoccaggio dei rifiuti speciali non assimilabili.

L’appellato Comune di Boffalora si costituiva in giudizio, sostenendo che il regolamento dei Comuni costituiva titolo abilitativo al pagamento della tassa sui rifiuti e che, nel caso di specie, il Comune aveva considerato l’attività svolta dalla società e i costi dalla stessa sostenuti, riducendo la propria pretesa impositiva del 50%. Inoltre; la TARI si componeva di una quota fissa e di una variabile e gravava sull’utente l’obbligo di pagare il tributo, indipendentemente dall’utilizzo del servizio.

Con sentenza del 21.11.2019, la CTR Lombardia rigettava l’appello, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che la società Tre Emme svolgeva attività di commercio carta e recupero rifiuti presso lo stabilimento di sua proprietà, sito in Boffalora Ticino, ed assumeva di produrre esclusivamente rifiuti speciali non pericolosi, non assimilabili ad urbani, l’area per la quale la società insisteva per la detassazione concerneva in realtà il recupero di rifiuti di carta, i quali, benché speciali, erano assimilati agli urbani, in forza dell’art. 10 del Regolamento del Comune di Boffalora;

2) non si ravvisava alcun contrasto della norma regolamentare con le disposizioni di legge, atteso che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 classifica i rifiuti, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi, indipendentemente dal profilo quantitativo;

3) era corretto l’assoggettamento al pagamento della Tarsu dell’area ove si producevano rifiuti speciali assimilati a quelli urbani, per i quali la tassa era dovuta anche se smaltiti in proprio tramite ditta specializzata, in quanto ricadente, come nel caso di specie, nella disponibilità della società;

4) premesso che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in virtù del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1, era dovuta unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, le deroghe indicate e le riduzioni delle tariffe non operavano in via automatica, in base alla mera sussistenza delta previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti;

5) tale prova, nel caso di specie, non risultava fornita, non essendo rilevanti le modalità di utilizzo del sedime del piazzale addotte dalla contribuente;

6) quanto alla seconda censura avverso la sentenza gravata, relativa all’esclusione dall’ambito applicativo della TARI di aree scoperte che diano luogo alla produzione, in via quantitativa e prevalente, di rifiuti speciali non assimilabili, ove siano asservite al ciclo produttivo, la situazione che legittimava l’esonero si verificava allorquando l’impossibilità di produrre rifiuti dipendeva dalla natura stessa dell’area o del locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal fatto che l’area ed il locale fossero stabilmente, e cioè in modo permanente e non modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente produttive di rifiuti, laddove la funzione di magazzino, deposito o ricovero era una funzione operativa generica e, come tale, non rientrava nella previsione legislativa.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Tre Emme s.r.l., sulla base di tre motivi.

Il Comune di Boffalora ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, va evidenziato che non ricorrono i presupposti per disporre la riunione del precedente giudizio a quello riportante il n. 21888/17, atteso che non ricorre un caso di connessione in senso proprio (essendo connotate le due cause da doglianze parzialmente diverse e, quindi, difettando l’identità assoluta delle questioni da risolvere) né ricorre, per motivi di economia processuale, l’opportunità di decidere simultaneamente le due controversie.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 184,195 e 198 e l’omessa disapplicazione dell’art. 10, comma 3, Reg. com. per violazione degli artt. 184, 195 e 198 D.Lgs. citato, per non aver la CTR ritenuto che il regolamento comunale, non indicando di fatto un limite quantitativo massimo di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, fosse illegittimo e, quindi, andasse disapplicato e che essa, smaltendo in proprio enormi quantitativi di rifiuti speciali, avrebbe avuto diritto all’esenzione dal pagamento della tariffa.

2.1. Il motivo e’, per quanto di ragione, fondato.

Preliminarmente, occorre evidenziare che, a differenza di quanto sostenuto dal resistente per invocare la declaratoria di inammissibilità dei motivi di gravame (a suo dire, denuncianti nella sostanza vizi “motivazionali”, anziché di violazione di legge), non si è al cospetto di una cd. “doppia conforme”, atteso che la disposizione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme, presuppone che nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni” (Sez. 2, Ordinanza n. 29222 del 12/11/2019). Viceversa, nel caso di specie, la CTR, per quanto abbia confermato la decisione di prime cure, ha offerto un iter argomentativo estremamente articolato che non si è di certo appiattito su quello contenuto nella sentenza di primo grado.

In ogni caso, la doglianza formulata dalla ricorrente attiene ad una violazione di legge, avendo la stessa censurato la decisione impugnata nella parte in cui avrebbe affermato che, ai fini dell’assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, i regolamenti comunali in materia di TARI debbano provvedere ad una loro identificazione solo sotto il profilo qualitativo, e non anche sotto quello quantitativo.

2.2. Passando all’analisi nel merito del motivo, in primo luogo, va evidenziato che lo smaltimento, da parte del contribuente, tramite il proprio servizio di rifiuti speciali incontestabilmente assimilati a quelli urbani può, semmai, giustificare una riduzione proporzionale dell’imposta dovuta, e giammai una totale esenzione dal pagamento dello stesso. In particolare, l’esonero dalla privativa comunale, previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 21, comma 7, (cd. Decreto Ronchi), in caso di avviamento al recupero dei rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani direttamente da parte del produttore, determina non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, per il solo caso di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto, a consuntivo, in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, ponendosi a carico dei produttori di rifiuti assimilati l’onere della prova dell’avviamento al recupero dei rifiuti stessi (Sez. 5, Sentenza n. 9731 del 13/05/2015), prova che può essere fornita attraverso valida documentazione, quale il prescritto formulario di identificazione o altra idonea attestazione rilasciata da operatori autorizzati (Sez. 5, Sentenza n. 627 del 18/01/2012).

Va altresì premesso che la tariffa di igiene ambientale (TIA) è composta di una quota fissa e di una variabile e, poiché la quota fissa è destinata a finanziare i costi essenziali del servizio nell’interesse dell’intera collettività, essa è sempre dovuta per intero sul mero presupposto del possesso o della detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, mentre ogni valutazione in ordine alla quantità dei rifiuti concretamente prodotti dal singolo o al servizio effettivamente erogato in suo favore può incidere solo ed esclusivamente sulla parte variabile della tariffa (Sez. 5, Ordinanza n. 14038 del 23/05/2019).

2.3. Ciò debitamente premesso, in tema di TARSU, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 7,10 e 21 la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative, dei rifiuti speciali, atteso che l’impatto igienico e ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12752 del 02/09/2002; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 30719 del 30/12/2011, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9631 del 13/06/2012, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18018 del 24/07/2013, Sez. 5, Sentenza n. 11035 del 19/04/2019).

Occorre dare atto che da tale indirizzo si è apparentemente discostata Cass. Sez. 5 n. 9214 del 2018, affermando che, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 7,10 e 21 sono soggetti a tassazione i rifiuti speciali non pericolosi, se assimilati ai rifiuti solidi urbani da una Delib. comunale, e ciò anche nell’ipotesi in cui la stessa non ne individuale caratteristiche quantitative e qualitative, spettando al contribuente solo una riduzione tariffaria in base a criteri di proporzionalità, nel caso in cui dimostri una riduzione della superficie tassabile ovvero che i rifiuti speciali siano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio pubblico di raccolta e smaltimento sia istituito e sussista la possibilità per l’istante di avvalersene.

I due orientamenti sono, tuttavia, passibili di una composizione, che trova conforto nell’interpretazione letterale e sistematica del dato normativo, se applicati entrambi con leseguenti precisazioni.

L’utilizzo del criterio combinato della qualità e quantità trova il suo principale argomento giustificativo nella lettera del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21 che, nel definire le competenze del Comune in materia, al comma 2, lett. g), fa riferimento ad una “assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento”.

Tale doppio criterio corrisponde anche alla ratio legis, da individuarsi sia nella necessità di escludere ogni ipotesi di danno ambientale correlato alla raccolta e allo smaltimento del rifiuto assimilato, sia in quella di assicurare una gestione dei rifiuti urbani da parte dei Comuni ispirata a principi di efficienza, efficacia ed economicità; è evidente che tali finalità possono essere garantite solo predeterminando, almeno astrattamente, la quantità di rifiuto assimilabile conferibile, non essendo ipotizzabile un servizio pubblico di smaltimento di potenzialità illimitata rispetto ad un rifiuto per definizione non uguale a quello urbano, seppure ad esso assimilabile perché non pericoloso.

Predeterminare se un rifiuto è assimilabile o meno per qualità e quantità è dunque accertamento preliminare indispensabile, in quanto, nel caso in cui la potestà di assimilazione attribuita dalla norma di legge ai Comuni sia stata correttamente esercitata, il contribuente non potrà mai beneficiare di una esenzione totale dal tributo, sebbene l’intera superficie imponibile sia produttiva di rifiuti assimilati e si avvalga per l’intero dello smaltimento; in tal caso infatti avrà solo diritto ad una riduzione della tariffa, prevista dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2.

Nell’ipotesi, invece, in cui l’assimilazione non sia stata legittimamente disposta dall’ente locale, per violazione del criterio qualitativo, o anche per l’omessa previsione dell’ulteriore criterio quantitativo, non si rientrerà nel campo di operatività del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21 ma, previa disapplicazione della Delib. comunale illegittima per contrasto con il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), dovrà trovare applicazione solo la pregressa disciplina che in tema di rifiuti speciali prevedeva al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, la possibilità di una esenzione o riduzione delle superfici tassabili.

2.4. E’ noto che il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5 allegato E, dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se, ed in quanto, legittimi.

Ne consegue che detto potere deve essere esercitato – purché gli atti in questione siano stati investiti, come nel caso di specie, dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato – anche d’ufficio, ed indipendentemente dall’avvenuta impugnazione dell’atto avanti al giudice amministrativo, con il solo limite dell’eventuale giudicato amministrativo diretto di affermata legittimità dell’atto (cfr. Cass. Sez. U n. 6265 del 2006, Cass. Sez. 5 n. 9631 del 2012 e Cass. Sez. 5 n. 1942 del 2019).

Disapplicata la Delib., l’esercizio illegittimo del potere di assimilazione potrà essere equiparato al mancato esercizio del potere di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti solidi urbani da parte del Comune, rispetto al quale si è già affermato da questa Corte che “non comporta che detti rifiuti siano, di per sé, esenti dalla tassa, in quanto essi sono soggetti alla disciplina stabilita per i rifiuti speciali dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, (applicabile ratione temporis), che rapporta la stessa alle superfici dei locali occupati o detenuti, con la sola esclusione della parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali non assimilati” (Cass. Sez. 5, n. 1975/2018).

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, infatti, prevede che “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il Comune può individuare nel regolamento categorie di, attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta”.

Va, infine, ricordato che l’esonero da tassazione previsto dal citato art. 62, comma 3, per le superfici di formazione di rifiuti speciali smaltiti in proprio integra comunque un’eccezione i cui presupposti spetterà al contribuente allegare e provare (cfr. Cass. 9 marzo 2004, n. 4766, Cass. 14 gennaio 2011, n. 775, Cass. 31 luglio 2015, n. 16235), e che la facoltà di individuare categorie di attività produttive di rifiuti speciali cui applicare una percentuale di riduzione, attribuita ai Comuni dalla stessa norma, esige uno specifico esercizio regolamentare, restando, in difetto, le superfici esenti da tassazione (Cass., Sez. un., 30 marzo 2009, n. 7581; Cass., Sez. 5, n. 9630 del 2012; Cass., Sez. 5, n. 10548 del 2017).

In particolare, incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, ò pur operando anche nella materia in esame – quanto al presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile; sicché il detto principio non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione, costituendo questa, ripetesi, un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale.

Invero, tale esclusione si pone quale eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006, 17599 del 2009,775 del 2011; conf. Sez. 5, Sentenza n. 22130 del 22/09/2017 e Sez. 5, Ordinanza n. 12979 del 15/05/2019).

Pertanto, va ribadito il principio per cui, qualora la Delib. comunale di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani sia illegittima per violazione del criterio qualitativo o per l’omessa previsione dell’ulteriore criterio quantitativo, di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, il giudice tributario ha il potere-dovere di disapplicare, anche d’ufficio, la Delib. presupposta, senza che ne derivi che detti rifiuti siano, di per sé, esenti dalla tassa, in quanto essi restano soggetti alla disciplina stabilita per i rifiuti speciali dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, che rapporta la stessa alle superfici dei locali occupati o detenuti, con la sola esclusione della parte della superficie nella quale, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali non assimilati (Sez. 5, Sentenza n. 11035 del 19/04/2019).

In definitiva:

mentre nel caso in cui il Comune abbia correttamente assimilato i rifiuti speciali prodotti a quelli urbani occorre negare l’esenzione totale e verificare la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della eventuale riduzione, in caso di assimilazione illegittima, ai fini del riconoscimento dell’esenzione totale, si deve accertare che l’intera superficie imponibile sia stata destinata alla produzione di rifiuti speciali non assimilabili, laddove una destinazione solo in parte determina il diritto ad una corrispondente riduzione in proporzione della superficie non tassabile.

In conclusione vanno affermati i seguenti principi di diritto:

a) in tema di TIA, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), i rifiuti speciali non pericolosi sono soggetti a tassazione se assimilati ai rifiuti solidi urbani da una delibera comunale che ne individui le caratteristiche sia quantitative che qualitative; in tal caso spetterà al contribuente una riduzione tariffaria proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che dimostri di aver avviato al recupero autonomamente, purché il servizio pubblico di raccolta e smaltimento sia istituito e sussista la possibilità per l’istante di avvalersene;

b) la delibera comunale che disponga l’assimilazione sulla base del solo criterio qualitativo, e non anche di quello quantitativo, va disapplicata, per contrasto con il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g); consegue l’applicazione della disciplina stabilita per i rifiuti speciali dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, (applicabile ratione temporis), che consente l’esclusione di quella parte di superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o non assimilati, i cui presupposti spetterà al contribuente allegare e provare.

2.5. La sentenza impugnata va, quindi, cassata, essendosi limitata a constatare la regolare approvazione della Delib. con cui un Comune aveva provveduto all’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, laddove è invece doveroso verificare se in detto provvedimento si sia proceduto all’indicazione delle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti speciali assimilati.

N& caso di specie, il Regolamento del Comune di Boffalora “e’ illegittimo e va, pertanto, disapplicato, poiché, mentre al comma 2 viene indicato il limite quantitativo massimo di assimilazione, il successivo comma 3 precisa che vanno comunque assimilati agli urbani i rifiuti che superano il limite quantitativo di cui al comma precedente (“sono comunque assimilali agli urbani i rifiuti che superano il limite quantitativo di cui al comma precedente”), per il che non viene, di fatto, posto alcun limite al quantitativo degli stessi.

2.6. Per completezza espositiva, va evidenziato che il motivo si rivela ammissibile, atteso che la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata si sostanzia nell’evidenziare che la contribuente, pur essendone onerata, non aveva fornito la prova della sussistenza delle condizioni per ottenere una riduzione della superficie tassabile o, a maggior ragione, l’esenzione, “non essendo rilevanti le modalità di utilizzo del sedime del piazzale addotte dal contribuente” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).

Orbene, tale impostazione presuppone comunque l’inquadramento dei rifiuti tra quelli assimilati agli urbani.

2.7. Alla luce delle considerazioni che precedono, la CTR dovrà verificare se l’intera superficie del piazzale sia stata destinata alla produzione di rifiuti speciali, accertando se sia stata fornita la prova dello smaltimento in proprio e comunque tenendo presente che la quota fissa è sempre dovuta.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che produceva un quantitativo di rifiuto speciale annuo enorme che il Comune di Boffalora non sarebbe stato in grado di raccogliere e smaltire tramite il proprio servizio.

2.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 147 del 1993, art. 1, comma 649, (recte, 2013) e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per non aver la CTR tenuto conto che, nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI, non si deve considerare quella parte di essa ove si formano, in modo continuativo e prevalente, rifiuti speciali non assimilabili, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.

3.1. Il motivo è fondato.

Va ribadito il principio in base al quale, in materia di imposta sui rifiuti (TARI), pur essendo tenuta l’Amministrazione a fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione, costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale. In particolare, spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Sez. 5, Ordinanza n:21250 del 13/09/2017).

Orbene, l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata – secondo cui “non si vede sotto quale profilo l’adibizione del piazzale ad asservimento al ciclo produttivo che dà luogo alla produzione di rifiuti speciali potrebbe farlo considerare escluso dalla possibilità di produrre rifiuti” (cfr. pag. 6), con la conseguenza che non potrebbe escludersi che l’area sia suscettibile di produrre rifiuti – non riscontra la censura formulata, sul punto, dalla contribuente in secondo grado (cfr. pag. 2 della sentenza), a mente della quale, in realtà, il piazzale esterno costituirebbe un’area scoperta asservita al ciclo produttivo che darebbe luogo alla produzione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali (non assimilabili) e, come tale, non andrebbe considerata nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI.

In base alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 649 (e’ evidente l’errore di battitura nel quale è incorsa la ricorrente a pag. 28 del ricorso, indicando l’anno 1993), “Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.”.

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che, una volta concessa l’esenzione totale dalla tariffa per l’area macchinari e produzione, siffatta estensione si sarebbe dovuta estendere anche al piazzale, in quanto asservito al ciclo produttivo e, dunque, area produttiva della stessa tipologia di rifiuti.

4.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del terzo.

5. In definitiva, il ricorso merita accoglimento, per quanto di ragione, con riferimento ad entrambi i motivi.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rinviata, anche per il governo delle spese del presente grado di giudizio, alla CTR Lombardia in diversa composizione, affinché la decida nel. merito uniformandosi ai principi di diritto enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla CTR Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472