LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso R.G.N. 15375/2017 proposto da:
FIENGO CERAMICHE S.R.L. – 04188711214 – in persona del legale presentante pro tempre elettivamente domiciliata in Roma, Via XX settembre n. 98/E, presso lo studio dell’Avv. GIOVANNI PALMA da cui e’ rappresentata e difesa;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****) in persona del Direttore pro tempore elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi-12
-presso gli uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO da cui è
rappresentata e difesa ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10665/03/16 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, pronunciata il 23.11.2016 e depositata il 29.11.2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16.06.2021 dal Consigliere Relatore Dott. RITA RUSSO.
RILEVATO
che:
Con l’odierno ricorso per cassazione la società Fiengo deduce: di avere impugnato con ricorso depositato il 26 giugno 2014 l’avviso di liquidazione notificatogli in data ***** dalla Agenzia delle entrate; che con detto avviso l’ufficio aveva elevato il valore del fondo rurale compreso nel ramo d’azienda acquistato dalla società; che con il ricorso di primo grado essa la società deduceva l’erronea quantificazione dell’imposta principale corrisposta pari ad Euro 120.000 (aliquota 15%) in luogo di quella indicata di Euro 56.000, e che da ciò discendeva una correzione da parte dell’ufficio, con la notifica di nuovo avviso di pagamento a seguito di parziale intervento di autotutela; che essa società rilevava altresì la nullità dell’atto impugnato per intervenuta decadenza, avendo essa eseguito il pagamento in data ***** mentre la notifica dell’avviso di rettifica è avvenuto il *****; che aveva comunque eccepito la nullità per carenza di motivazione di detto avviso e nel merito l’erronea rivalutazione del valore del bene.
Il ricorso del contribuente è stato respinto in primo grado. La società ha proposto appello che la CTR della Campania ha rigettato, confermando la sentenza di primo grado. Il giudice d’appello ha rilevato che nella specie non si è verificata alcuna decadenza poiché l’avviso era diretto solo a correggere una errata applicazione dell’aliquota e che i motivi di merito sono inammissibili in. quanto avrebbero dovuto essere proposti avverso l’avviso originario.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente affidandosi a due motivi. Si è ‘costituita resistendo l’Agenzia delle entrate con controricorso, deducendo che l’avviso di rettifica e liquidazione imposta notificato il ***** non era stato impugnato dalla contribuente ed era divenuto definitivo; che la contribuente aveva invece impugnato con ricorso del 20 giugno 2014 l’atto di rettifica in autotutela notificato dall’ufficio a seguito del rilievo di un errore nella liquidazione. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 16 giugno 2021.
RITENUTO
che:
1.- Con il primo motivo del ricorso, la parte ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per errore di diritto, la decadenza dal potere impositivo, l’inesistenza dell’unitarietà dell’atto impositivo, la non applicabilità del potere di autotutela integrativa. La società contribuente deduce che l’atto impugnato è stato notificato oltre il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 131 del 1986, art. 76; sostiene che l’atto di rettifica del ***** non è un atto che corregge un mero errore materiale ma un atto che modifica l’aliquota.
Il motivo è inammissibile.
La parte ricorrente non trascrive né l’avviso originario del ***** – che essa deduce di aver impugnato, mentre l’Agenzia delle Entrate dichiara che non è stato impugnato – né l’avviso del *****, considerato di mera rettifica di errore materiale, errore peraltro indicato nella minor somma in detrazione, a danno della società contribuente, dal che conseguirebbe che la rettifica è operata anche in suo vantaggio.
La mancata trascrizione dell’atto impugnato e delle parti essenziali del ricorso di primo grado, non consente di comprendere quale atto è stato effettivamente impugnato e quale il suo contenuto, nonché la portata dei motivi di impugnazione avverso l’atto medesimo e di conseguenza di verificare la correttezza del giudizio reso dai giudici di merito -con doppia decisione conforme- ed in particolare quello reso dalla CTR, che ha ritenuto inammissibili tutti i motivi di merito e infondata l’eccezione di decadenza fondandosi sul presupposto che l’atto impugnato avesse quale contenuto una semplice emenda di errore materiale.
E’ infatti principio consolidato affermato da questa Corte che requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass. n. 29093 del 13/11/2018; Cass. n. 13625 del 21/05/2019; Cass. n. 28184 del 10/12/2020; Cass. n. 27 del 03/01/2020).
2.- Con il secondo motivo del ricorso, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e per carenza di motivazione, nullità per mancata allegazione del processo verbale di constatazione, la violazione della L. n. 212 del 2000, la nullità della sentenza per violazione di legge per mancata produzione in giudizio di una copia della denuncia, inapplicabilità del raddoppio dei termini per carenza di requisiti, e la incostituzionalità. La società contribuente si duole della nullità dell’avviso di liquidazione impugnato poiché deduce che sia stato attribuito l’incarico a 800 dirigenti dell’Amministrazione Finanziaria che non avrebbero potuto sottoscrivere l’avviso.
Il motivo è inammissibile.
L’Agenzia delle entrate oppone che si tratta di una eccezione nuova, e in effetti la parte non deduce di averla già proposta nei gradi di merito, né ha trascritto, come è suo onere, quella parte degli atti ove detta censura sarebbe contenuta.
I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. n. 4787/2012). Il contribuente, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, qualora siano prospettate questioni di cui non via sia cenno nella sentenza impugnata, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma, in virtù del principio di autosufficienza, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass. 16 giugno 2017, n. 15029; Cass. 31 gennaio 2006, n. 2140; Cass. Civ. Sez. II, 18 settembre 2020, n. 19560).
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese non documentate oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021