LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso R.G.N. 23477/2018 proposto da:
COOP. di LAVORO TEAM SERVICE CENTRO SCARL, in persona del suo legale rappresentante elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Ferrari n. 35, presso lo studio dell’Avv. Saman Dadman rappresentata e difesa dall’Avvocato GIANNI DI MATTEO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (c.f. *****) in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma via dei Portoghesi 12 è
domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 130/14/18 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, pronunciata il 05.12.2017, depositata l’11.01.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16.06.2021 dal Consigliere Relatore Dott. RITA RUSSO.
RILEVATO
che:
La ricorrente Cooperativa Team Service ha impugnato l’avviso di rettifica e liquidazione relativo all’imposta di registro dovuta per una cessione di azienda avvenuta nel 2013.
La società ha dedotto, tra l’altro, che il valore di cessione aziendale andrebbe calcolato tenendo conto delle poste funzionali costituenti il patrimonio netto, e nella specie, dall’avviamento andrebbe dedotto il TFR dei lavoratori maturato, poiché costituisce un debito. Il ricorso della contribuente è stato rigettato dal giudice di primo grado. La società ha proposto appello che la CTR, con sentenza del 05.12.2017, ha respinto, ritenendo che ha correttamente operato sulla scorta dei dati contabili rilevati nelle dichiarazioni dei redditi, considerando in particolare l’avviamento; ha osservato che l’ufficio, tenute in debita considerazione tutte le caratteristiche dell’azienda, ha utilizzato un criterio di stima fondato sulla media degli utili netti fiscali conseguiti nei tre anni precedenti la cessione; ha rilevato che nessun elemento esterno, tra cui nemmeno l’importo accantonato per il TFR, può incidere sul calcolo dell’avviamento.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società cooperativa cedente affidandosi a due motivi. Si è costituita resistendo l’Agenzia delle Entrate. La causa è stata trattata all’udienza camerale – non partecipata del 16 giugno 2021.
RITENUTO
che:
1.- Con il primo motivo del ricorso, la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 490 del 1990, art. 2, comma 4, e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce che l’Agenzia ai fini della determinazione dell’avviamento ha assunto i redditi rilevanti ai fini IRES al lordo degli oneri fiscali e dunque delle imposte; inoltre, come si desumerebbe dall’avviso, ha assunto i dati del triennio 2007/2009 e non 2009/2011 che è direttamente riferibile al periodo anteriore alla cessione. Parte ricorrente lamenta anche un errore sul fatto e cioè sulla redditività del complesso ceduto e che l’Agenzia non ha assunto le rilevanti informazioni di cui alla perizia estimativa annessa alla cessione; lamenta inoltre un errore di calcolo e l’erronea interpretazione della legge perché l’art. 51 impone di valutare il compendio contabile delle attività incluso l’avviamento al netto delle passività, easserisce che tra le passività si doveva considerare il trattamento di fine rapporto maturato in favore dei dipendenti.
Il motivo è infondato.
1.2- La Commissione reginale ha fatto riferimento ad un principio enunciato da questa Corte (Cass. n. 10927/2015) secondo il quale “In tema di imposta sui redditi, in ipotesi di cessione d’azienda (o di un ramo di essa), la passività costituita dall’entità del trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti trasferiti e/o dall’indennità di preavviso e suppletiva di clientela degli agenti, che matura come tale in capo al cedente e, con la stessa natura, è trasferita al cessionario, è ontologicamente diversa dall’avviamento, il cui valore costituisce un elemento patrimoniale attivo per il solo acquirente, trovando la sua causa genetica nella sua acquisizione a titolo oneroso. Ne consegue che a tale passività non può essere esteso il trattamento fiscale dell’avviamento e, quindi, il costo per essa sopportato non può essere oggetto di ammortamento, secondo le regole previste dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 9, art. 75 (ora 109).”
L’ontologica diversità tra avviamento e TFR è stata sottolineata anche da Cass. 8134/2011, dove si osserva che “In tema di imposte sui redditi, in ipotesi di cessione di azienda (o di un ramo di essa), la passività costituita della entità del trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato maturato, fino al momento della cessione, dai dipendenti trasferiti con l’azienda e/o del preavviso e dell’indennità suppletiva di clientela per gli agenti di cui all’art. 1751 c.c. è ontologicamente diversa dall’avviamento, il cui valore costituisce un elemento patrimoniale attivo per il solo acquirente, trovando la sua causa genetica nella sua acquisizione a titolo oneroso, mentre il valore del trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato e/o dell’indennità per gli agenti matura in capo al cedente come passività e, con la stessa natura, viene trasferito al cessionario”.
Pertanto non può farsi commistione tra debiti per TFR ed avviamento, in quanto la passività, rappresentata dai “potenziali” debiti per TFR, pur incidendo sulla somma algebrica del valore di scambio dei singoli beni che compongono l’azienda o il ramo ceduti, giuridicamente non può essere contrapposta con segno negativo all’avviamento, il quale costituisce qualità dell’azienda ed elemento patrimoniale attivo del solo acquirente, a seguito dell’acquisto a titolo oneroso, mentre per il cedente rappresenta un valore latente, che non trova iscrizione nell’attivo dello stato patrimoniale.
Il giudice d’appello si è correttamente attenuto ai principi enunciati da questa Corte: le restanti censure sono argomenti in fatto, e dunque costituiscono censure inammissibili nel giudizio di legittimità; le stesse peraltro sono rivolte non già alla sentenza impugnata ma all’avviso di accertamento e peccano altresì del requisito di autosufficienza, poiché l’atto di accertamento non è stato trascritto.
2.- Con il secondo motivo del ricorso, parte ricorrente denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Parte ricorrente lamenta che la CTR non abbia pronunciato sulle eccezioni che ha sollevato; deduce che il consorzio Team Service opera su tutti il territorio nazionale e che pertanto la voce “avviamento” non poteva essere oggetto di valorizzazione alcuna; ripropone la questione legata alla passività data dal TFR che incide fortemente sull’acquisizione dei rapporti intercorsi.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorso della contribuente è stato respinto tanto in primo che in secondo grado e, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in Cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 29715/2018); a quest’onere la parte non ha ottemperato, non avendo peraltro neppure specificato adeguatamente quali sarebbero i fatti pretermessi e per quali ragioni sarebbero decisivi.
Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese non documentate oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio da remoto, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021