Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.32648 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15862-2019 proposto da:

B.A., G.L., elettivamente domiciliati in ROMA, V. LE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DI BATTISTA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO MARIA CODOVINI;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO DI *****, elettivamente domiciliato in Gubbio, via Perugina n. 63 presso l’avv. EUGENIO BALDINELLI, del Foro di Perugia, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro M.R., MA.RO., rappresentati e difesi dall’avvocato FLAVIO GRASSINI, del Foro di Perugia, che li rappresenta e difende; elettivamente domiciliati in Roma, via Savoia n. 84, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MENICHETTI;

– controricorrenti –

nonché contro P.M., S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 177/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 21/3/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/3/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/3/2019 la Corte d’Appello di Perugia – quale giudice del rinvio disposto da Cass. n. 13944 del 2016 – ha respinto il gravame interposto dai sigg. E. e B.A. in relazione alla pronunzia Trib. Perugia n. 20/2011, di rigetto della domanda dai medesimi proposta nei confronti del Condominio di ***** ed altri di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza infiltrazioni d’acqua derivanti dal fondo sovrastante.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società i B. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi il Condominio di ***** nonché i sigg. Ro. e M.R..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Con conclusioni scritte del 18/2/2021 il P.G. presso questa Corte ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione”” degli artt. 913,2051 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” dell’art. 383 c.p.c., riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che, pur ammettendo che “il terrapieno è di origine antropica”, la corte di merito abbia illogicamente ed incongruamente escluso la responsabilità di controparte in ragione della relativa “connotazione naturale”, atteso che “lo stesso si troverebbe “nella medesima odierna posizione e giacitura ab immemorabili””.

Lamenta che la corte di merito non ha “interamente risposto ai quesiti posti dalla Corte di legittimità” in relazione alla “natura del terrapieno”, giacché “ne ammette la origine antropica, e, quindi, la realizzazione per mano dell’uomo, per poi, tuttavia, arrivare, comunque, a considerare lo stesso terrapieno di origine naturale stante la vetustà dei luoghi”.

Con il 2 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” dell’art. 913 c.c., art. 12 preleggi in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente esteso l’ambito di applicazione dell’art. 913 c.c. anche ai “manufatti e fabbricati” anziché “limitarla ai soli fondi, rustici ed urbani”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la disciplina dettata all’art. 913 c.c. in tema di scolo delle acque, che stante l’ampiezza della previsione e la ratio ispiratrice della norma a tutela esclusiva del proprietario del fondo è riferibile non solo ai fondi rustici ma anche ai fabbricati rurali e a quelli urbani (v. Cass., 25/7/1980, n. 4822), pone a carico sia del proprietario del fondo inferiore che del proprietario del fondo superiore l’obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno che abbia per effetto quello di rendere più gravoso ovvero di ostacolare il naturale deflusso delle acque a valle (v. Cass., 15/6/2011, n. 13097), trovando pertanto applicazione solamente in caso di aggravamento della situazione anteriore (v. Cass., 14/11/2001, n. 14179).

Non vieta pertanto tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma soltanto quelle che tale deflusso alterino apprezzabilmente, rendendo più gravosa la condizione dell’uno o dell’altro fondo (v., da ultimo, Cass., 20/11/2019, n. 30239; Cass., 15/6/2011, n. 13097; Cass., 12/9/2002, n. 13301; Cass., 12/9/2002, n. 7895; Cass., 3/4/1999, n. 3268; Cass., 28/9/1994, n. 7895; Cass., 26/11/1986, n. 6976; Cass., 8/11/1985, n. 5459).

Se dunque impone al proprietario del fondo superiore l’obbligo negativo consistente nel divieto di ogni manufatto che modifichi il deflusso naturale delle acque e correlativamente legittima il proprietario e il titolare di altri diritti sul fondo inferiore ad agire per il ripristino dello stato naturale dei luoghi, l’art. 913 c.c. d’altro canto non esclude tassativamente che possa essere consentita l’esecuzione di opere di sistemazione comportanti una modifica del deflusso delle acque, ravvisabile non solo in una diversa direzione impressa al loro corso naturale ma anche in un mutamento del modo di essere delle acque per la differente intensità della loro portata (v. Cass., 25/7/1980, n. 4822).

Questa Corte è anzi da tempo pervenuta a sottolineare come anche l’esecuzione di manufatti che rendano più gravoso il naturale scolo delle acque non legittima il proprietario del fondo inferiore al risarcimento di tutti i danni, anche quelli imprevedibili e lontani nel tempo, comunque collegabili ad una modifica addirittura vietata (v. Cass., 1/8/2000, n. 10039).

L’applicazione della disciplina ex art. 913 c.c. presuppone dunque un accertamento di fatto, che è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (v. Cass., 20/11/2019, n. 30239; Cass., 12/9/2002, n. 13301; Cass., 14/11/2001, n. 14179).

Orbene, di tali principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

In particolare là dove, dopo aver premesso che “le problematiche insorte a fine anni ‘90 erano strettamente connesse con la rottura di una fognatura medievale, e quello specifico problema (percolamento di acque luride) è stato risolto con la rifacitura delle condotte fognarie (fatto pacifico)”, ha osservato che “dagli atti e dall’istruttoria espletata non è emersa alcuna opera o azione del proprietario sovrastante, né alterazione della configurazione naturale del terreno, che abbia potuto determinare un peggioramento del deflusso delle acque imputabile ai proprietari dei fondi superi(ori) (se si esclude la rottura dell’impianto fognario, riparata a seguito dell’ordinanza emessa dal giudice nel giudizio cautelare”.

Nella parte in cui ha ulteriormente posto in rilievo come nessuna prova è mai emersa nel corso dell’intero giudizio atta a dimostrare opere realizzate sul terrapieno dalla defunta Sc. o successivamente dagli eredi M. (“il CTU L…. ha espressamente affermato che la convenuta Sc. non ha sua sponte alterato lo stato dei luoghi; né opere o interventi sono stati realizzati dal Condominio o da altri appellati, potendosi solo rilevare che a partire dal 1997 si sono verificati per la prima volta inconvenienti ritenuti (ed oggettivamente) intollerabili dagli appellanti, cioè copiose infiltrazioni di acque luride… che avevano invaso le muratura a contatto con il terrapieno laterale”).

Là dove ha precisato che “le opere di rifacimento delle condutture fognarie sono successive, e non preventive, rispetto al denunciato aggravamento delle infiltrazioni, e non hanno comportato un aggravamento dello scolo ma, semmai, un miglioramento – attestato dall’assenza di ulteriori infiltrazioni di acque luride – sicché appare accertato che le opere realizzate per il rifacimento della rete fognaria non hanno assolutamente comportato un incremento dello scolo naturale con la conseguenza che nessuna responsabilità può porsi a carico dei proprietari dei fondi superiori”.

Ancora, là dove, “quanto agli altri lavori”, ha sottolineato che “oltre a non esserne specificata la natura, entità, collocazione -neanche temporale – ed effettiva interazione con la struttura del terrapieno”, essi in ogni caso “sono attribuibili a soggetti estranei, non ravvisandosi pertanto alcuna responsabilità a carico dei convenuti”.

Nella parte in cui (nel porre in rilievo come “il CTU L. nella medesima relazione del 2003” abbia per converso evidenziato come “i locali dei sigg.ri B., in tempi abbastanza recenti (1980/1987) hanno subito ingenti lavori di ristrutturazione conservativa e cambio di destinazione d’uso nel cui novero è stato realizzato un corpo di scala in cemento armato all’interno del civico ***** nonché probabile bonifica delle murature stante l’intonaco cementizio in corrispondenza della parete attestante contro il terrapieno Sc.”, esprimendo l’avviso che “prima della ristrutturazione, i locali terranei della proprietà B. avessero impiego e destinazione non residenziale e che sicuramente la parete aderente al terrapieno non fosse stata interamente intonacata ma certamente affetta da fenomeni di umidità mitigati dalla superficie scoperta di allora (quindi areata e traspirante) ma soprattutto tollerati stante la destinazione d’uso che annovera fenomeni similari nella stragrande maggioranza dei locali similari del centro storico”) ha osservato che “tale e’, oggettivamente, assieme alla perdita delle condotte fognarie già risanata, l’unico elemento di fatto sopravvenuto riconducibile all’opera umana (dei proprietari del fondo servente) che ha reso più evidente ed intollerabile la presenza delle infiltrazioni, comunque da ricondursi alla naturale trasmissione igrometrica della umidità accumulata dal terreno finitimo per effetto di imbibizione, che come fenomeno indotto restituisce una parte di umidità alle muratura, dalle stesse imprigionate con ciclicità ed a loro volta trasmessa verso la superficie libera, “fenomeno di sua natura anticamente esistente” come chiarito dl CTU L..

Là dove è pervenuta quindi a concludere che, “tenuto conto della naturalità dello stato dei luoghi”; stante l'”assenza di qualunque opera dell’uomo che possa avere aggravato o modificato lo stato dei luoghi in relazione alla situazione antecedente”; attesa la categorica esclusione di “ogni e qualsiasi intervento umano che possa aver determinato l’incremento dello scolo naturale delle acque dal fondo superiore”, la “fattispecie va inquadrata nello scolo fra due fondi”.

A fronte di tale conclusione, e dell’operato accertamento in punto di fatto che la fonda, gli odierni ricorrenti ripropongono invero la propria tesi difensiva già sottoposta al vaglio dei giudici di merito e dai medesimi non accolta.

Ne’ può sottacersi che al di là della formale intestazione dei motivi deducono in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’erroneità della motivazione (v. pagg. 23 e 24 del ricorso) ovvero l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312), e in particolare delle dichiarazioni testimoniali del “teste Tironelli” e della CTU, e in particolare delle “fotografie nn. 15 e 16”.

Emerge evidente, a tale stregua, come gli odierni ricorrenti inammissibilmente prospettino in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuna parte controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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