LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. RG 35452/2018 e proposto da:
C.G., rappresentato e difeso, per procura allegata in calce al ricorso, dall’avv. Rosario Claudio Capuana (p.e.c.
rosario.capuana.milano.pecavvocati.it) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano, piazza Cadorna,13;
– ricorrente –
nei confronti di:
ADER Agenzia delle Entrate – Riscossione, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
nonché
nei confronti di:
Fallimento ***** s.r.l. in liquidazione;
– intimato –
avverso la sentenza n. 4685/2018 depositata dalla Corte di appello di Milano in data 29.10.2018 RG n. 3338/2018; sentita la relazione in Camera di consiglio del relatore Giacinto Bisogni.
RILEVATO
che:
Il sig. C.G. proponeva reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 539/2018 che aveva disposto la riapertura del fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione già chiuso per insussistenza dell’attivo. Con il reclamo il sig. C., nella sua qualità di ex amministratore e liquidatore della società fallita, deduceva l’insussistenza di alcuna esposizione debitoria nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima costituendosi eccepiva che il C. aveva dichiarato di non opporsi alla riapertura del fallimento e in ogni caso contestava la fondatezza del reclamo relativamente alla insussistenza del passivo dato che dalla documentazione acquisita (estratti di ruolo aggiornati) risultava una esposizione debitoria pari a circa 12.000.000 di Euro.
La Corte di appello ha respinto il reclamo rilevando la sussistenza di un ingente passivo della società, documentato dall’Agenzia delle Entrate, e ha altresì affermato l’irrilevanza della contestazione del reclamante relativa alla sua assoluzione nel giudizio penale per omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali in quanto l’imputazione del C. si riferiva comunque a somme di gran lunga inferiori ai crediti documentati dall’Agenzia.
Ricorre per cassazione il sig. C. affidandosi a due motivi di ricorso: a) omesso esame delle sentenze penali di assoluzione dai reati di cui al D.Lgs. n. 267 del 2003, artt. 4 e 18, emesse nei suoi confronti dal Tribunale di Genova e di Milano e dalla Corte di Cassazione dalle quali risultava che gli omessi versamenti nei confronti degli enti previdenziali e fiscali erano imputabili alla società So.ge.tras. intermediata e non alla intermediaria ***** nella interposizione illecita di manodopera; b) falsa applicazione della L. Fall., art. 5, per aver ritenuto una maggiore esposizione debitoria rispetto a quella relativa alle omissioni contributive che avevano determinato la sua imputazione nella qualità di amministratore della ***** laddove invece questo credito vantato dall’Amministrazione finanziaria coincideva con l’intero ammontare delle somme pretesamente dovute dalla società. Resiste l’Agenzia delle Entrate – Riscossione eccependo l’inammissibilità del ricorso vertente su valutazioni riservate al giudice di merito, rilevando altresì la definitività dell’accertamento dell’ente impositore mai impugnato dalla società fallita nonché il difetto di legittimazione passiva dell’ente riscossore.
RITENUTO
che:
Il ricorso è infondato quanto al primo motivo con il quale si deduce l’omesso esame delle sentenze penali di assoluzione che invece sono state valutate e ritenute irrilevanti dalla Corte di appello.
Quanto al secondo motivo esso consiste in una censura di merito alla valutazione della Corte di appello relativa all’ammontare del passivo. Contestazione che peraltro risulta sfornita di autosufficienza a fronte di un riscontro della documentazione prodotta dall’Amministrazione finanziaria che il ricorrente non ha mai dimostrato di essere stata opposta nelle sede giudiziarie pertinenti né personalmente né da parte della società.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.100 di cui 100 per spese oltre accessori di legge.
Dichiara sussistenti i presupposti per il pagamento, ove dovuto, di ulteriore somma pari al contributo unificato versato.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021