Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32663 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22881/2017 proposto da:

Ubi Leasing S.p.a., già SBS Leasing S.p.a. a seguito di fusione per incorporazione della BPU Esaleasing S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Gavinana n. 1, presso lo studio dell’avvocato Pecora Francesco, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Garrone Flavio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento ***** S.r.l. in liquidazione, in persona del curatore Dott.ssa B.C., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Giovine Italia n. 7, presso lo studio dell’avvocato Carnevali Riccardo, rappresentato e difeso dall’avvocato Bocchio Alessandra, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 479/2017 del TRIBUNALE di BIELLA, depositato il 03/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal cons. TRICOMI LAURA.

RITENUTO IN DIRITTO

CHE:

UBI LEASING SPA propose domanda di ammissione al passivo del Fallimento ***** SRL il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, ex art. 93, (di seguito, anche, L. Fall.). per Euro 75.244,14, di cui Euro 9.088,46 in privilegio per rivalsa IVA, Euro 47.824,11 per capitale ed Euro 18.331,57 per interessi di mora, in chirografo, riservandosi di insinuarsi successivamente al passivo del fallimento per il credito relativo alla penale contrattualmente convenuta, una volta rivenduto il bene oggetto del contrato risolto. Il credito venne ammesso in parte dal giudice delegato che, tra l’altro, statuì “Ritenendo applicabile l’art. 1526 c.c., in luogo della L.Fall., art. 72 quater, poiché il contratto risulta risolto ante fallimento, non ammette il credito per canoni insoluti in quanto la società non risulta creditrice di alcuna somma dovendo invece procedere alla restituzione dei canoni incassati ai sensi dell’art. 1526 c.c. citato per somma maggiore”.

Il Tribunale di Biella, decidendo sull’opposizione allo stato passivo proposta dalla società, la ha rigettata, confermando il decreto impugnato; segnatamente, ha rimarcato che il contratto di leasing, avente ad oggetto la locazione finanziaria di un fabbricato artigianale ubicato in *****, era stato stipulato il 6/3/2001 ed era stato risolto per inadempimento dalla società di leasing con raccomandata inviata il 29/7/2010, in data antecedente al fallimento dichiarato nel corso del 2014.

Ha quindi affermato che il leasing andava qualificato come “traslativo”, riguardando un bene immobile connotato da bassa obsolescenza e destinato a conservare un rilevante valore economico alla scadenza del contratto, ben superiore al minimo prezzo di riscatto previsto per l’esercizio dell’opzione di acquisto, con conseguente piena applicazione dell’art. 1526 c.c..

Ha ritenuto ammissibile l’eccezione proposta dal fallimento (già dinanzi al G.D.) relativa alla restituzione delle rate riscosse ai sensi dell’art. 1526 c.c., così come ha affermato che facevano parte del processo anche le domande subordine proposte dalla concedente, ove fosse stata ravvisata l’applicabilità dell’art. 1526 c.c., per ottenere la detrazione dell’equo compenso ed il risarcimento del danno.

In merito alla richiesta della concedente di dare applicazione all’art. 16 del contratto di locazione finanziaria, con il quale era stata introdotta la cd. clausola di confisca concernente la possibilità di incamerare tutti i canoni già scaduti prima della risoluzione e quelli maturati sino alla restituzione dell’immobile, oltre accessori, ha affermato che tale clausola non solo era eccessiva, ma manifestamente nulla ab origine perché comportava una indebita locupletazione per il concedente.

Secondo il Tribunale il concedente aveva diritto solo all’equo compenso per l’uso della cosa, mentre il risarcimento del danno poteva derivare da un deterioramento anormale della cosa ove dimostrato e non comprendeva il mancato guadagno, ma doveva tenere conto dell’ammortamento finanziario dell’investimento, quale perdita subita dalla concedente.

Sulla scorta di tali criteri ha concluso che l’equo compenso spettante alla concedente ammontava ad Euro 58.748,91=, come da CTU, ed andava dedotto dai canoni corrisposti dall’utilizzatore per Euro 226.036,55=, che dovevano essere restituiti dalla società finanziaria. Ha quindi considerato che il valore dell’immobile, inizialmente acquistato con il finanziamento di Euro 232.405,60=, all’attualità si era deprezzato con una perdita del valore di Euro 95.405,60=, essendo stato stimato in Euro 137.000,00=. Ha concluso affermando che “il risarcimento del danno deve essere evidenziato nell’ulteriore differenza o surplus finanziario tra Euro 95.405,60 e 1"equo compenso di Euro 58.748,91, ritenendolo pari ad Euro 36.656,69=. In sintesi, dalle somme oggetto di restituzione per canoni effettivamente pagati dalla società fallita e riscossi dalla concedente, pari a Euro 226.036,55=, deve essere dedotto l’importo ex art. 1526 c.c., comma 1, (comprensivo di equo compenso e risarcimento del danno pari a Euro 95.405,60, per un importo totale da restituire al fallimento pari ad Euro 130.630,95=.” (fol. 7/8 del decreto imp.).

UBI LEASING SPA ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi, corroborati da memoria; il Fallimento ha resistito con controricorso e memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la errata individuazione della funzione nel contratto di leasing con conseguente erronea applicazione di una disciplina distintiva tra leasing di godimento e leasing traslativo; conseguente erronea applicazione dell’art. 1526 c.c., alla fattispecie; errata interpretazione giurisprudenziale ed errata disapplicazione della L.Fall., art. 72 quater, introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, alla disciplina del leasing sia sotto il profilo dell’erronea individuazione della natura e ratio della norma, sia sotto il profilo di un’illegittima distinzione tra contratti risolti prima e dopo il fallimento, assumendo l’influenza della L. n. 124 del 2017.

1.2. Come si evince dagli atti, il contratto in discussione, qualificato come leasing traslativo dal Tribunale, venne stipulato in data 6/3/2001 e risolto per inadempimento in data 29/7/2010, anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017, che non può trovare applicazione, ed in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento del 2014.

1.3. Il primo motivo è infondato, alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite, secondo le quali “In tema di leasing finanziario, la disciplina di cui alla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136 e 140, non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente la L.Fall., art. 72 quater” (Cass. Sez. U. n. 2061 del 28/1/2021), perché la qualificazione come leasing traslativo è conforme a quanto affermato dalle SSUU e l’anzidetto principio va applicato al caso in esame, concernente una fattispecie contrattuale risolta prima della dichiarazione di fallimento.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la erronea dichiarazione di nullità dell’art. 16 del contratto di leasing, errata interpretazione della natura del contratto di leasing in rapporto all’applicazione della clausola; manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione allorché viene affermata ed insieme negata la validità della clausola di confisca (trattenuta dei canoni), eventuale nullità parziale; eventuale riduzione ad equità, assenza di contrasto con norme imperative; validità della clausola riguardo il trattenimento dei canoni versati; validità della clausola riguardo al pagamento dei canoni scaduti; la non eccessività della clausola; erronea valutazione di inderogabilità.

La ricorrente sostiene che la clausola conteneva due diverse previsioni, la prima destinata a disciplinare gli effetti della risoluzione (trascritta nel decreto), la seconda a contenuto risarcitorio e si duole che la valutazione sia stata fatta globalmente, nonostante la domanda avesse riguardato solo la prima parte.

Sostiene poi che la seconda parte prevedeva la decurtazione dall’importo dei canoni a scadere del valore del bene.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia l’erronea ed iniqua individuazione del criterio utilizzato per la determinazione del risarcimento del danno: potenziale prezzo di vendita ed immediata restituzione di canoni. Si lamenta la disparità di trattamento tra concedente ed utilizzatore, osservando che, secondo i calcoli eseguiti dal Tribunale, risultava di spettanza della società finanziaria un importo di gran lunga inferiore a quello dedotto in contratto.

2.3. i motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione.

2.4. Con la recente sentenza n. 2061 del 28/1/2021, le Sezioni Unite hanno affermato che:

– per i contratti di leasing traslativo, non soggetti, ratione temporis, alla regolamentazione della L. n. 124 del 2017, resta valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell’art. 1526 c.c., la disciplina della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, essendo comunque sorretta da una ratio giustificativa rispondente all’esigenza di dare equilibrato assetto alle posizioni delle parti di un contratto atipico, forgiato da una risalente prassi commerciale e al quale il formante giurisprudenziale – di cui si dà ampio conto nella anzidetta sentenza ha fornito stabilità, pur valorizzando la causa in concreto di finanziamento, propria di questi contratti e l’interesse del concedente ad ottenere, nel caso di risoluzione contrattuale per inadempimento dell’utilizzatore, l’integrale restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento, con gli interessi, il rimborso delle spese e gli utili dell’operazione, piuttosto che la restituzione del bene, che normalmente non rientrava fra i beni di sua proprietà alla data della conclusione del contratto, né costituiva oggetto della sua attività commerciale;

– l’equo compenso, ai sensi dell’art. 1526 c.c., comma 1, comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non include il risarcimento del danno spettante al concedente, che, pertanto, deve trovare specifica considerazione e, secondo la sua ordinaria configurazione di danno emergente e di lucro cessante (art. 1223 c.c. che impone che il danno patrimoniale sia integralmente ristorato, in applicazione del principio di indifferenza), tale da porre il concedente medesimo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto;

– il risarcimento del danno del concedente può, però, essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell’art. 1382 c.c. e in questo senso si e’, del resto, dispiegata l’autonomia privata utilizzando anche modelli standardizzati: in tale contesto, quindi, si è fatta applicazione dell’art. 1526 c.c., comma 2, e del principio, già contemplato dall’art. 1384 c.c., di cui la prima disposizione è un portato specifico, della riduzione equitativa, ad opera del giudice, anche d’ufficio, della penale che, sebbene comunque lecita, si palesi manifestamente eccessiva, così da ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando, quindi, la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale.

Conclusivamente le SS UU hanno affermato che “In base alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, L.Fall., ex art. 93, in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tal riguardo avendo l’onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa.” (Cass. Sez. U. n. 2061 del 28/1/2021).

2.5. Orbene, la decisione impugnata, ha correttamente ricondotto la fattispecie in esame nell’alveo di applicazione dell’art. 1526 c.c., anche se ha prospett4ta causa del contratto in termini che non appaiono in linea con la qualificazione del contratto compiuto dalle SSUU, in relazione agli interessi regolati dallo stesso; inoltre la motivazione, per molti versi risulta contraddittoria, laddove afferma la nullità della clausola n. 16 – mentre invece la disciplina pattizia è ammissibile – perché verrebbe “a fondare un’indebita locupletazione della società concedente superiore all’importo dell’investimento, se solo si considera che a seguito della risoluzione l’immobile torna nella sfera giuridica del proprietario concedente e potrà essere riallocato sul mercato.” (fol. 7) e poi vi dà parziale riconoscimento, e laddove riconosce il diritto al risarcimento, salvo poi ad escludere – senza chiara spiegazione – quello derivante dal danno per lucro cessante.

Invero, la clausola pattizia, che poteva essere legittimamente prevista, andava considerata in toto, anche per l’eventuale applicazione d’ufficio dell’art. 1384 c.c., ove manifestamente eccessiva, mentre il decreto non sembra considerare tale possibilità, ovvero non la illustra in modo da consentire il riscontro dell’iter logico/giuridico seguito, né i conteggi elaborati risultano di comprensibile lettura e conformi ai principi elaborati dalle Sezioni Unite prima ricordati.

2.6. Ne consegue l’accoglimento del secondo motivo, assorbito il terzo.

3. In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo ed infondato il primo; il decreto impugnato va cassato con rinvio al Tribunale di Biella in diversa composizione per il riesame e la statuizione sulle spese anche del presente grado.

PQM

– Accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo ed infondato il primo; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Biella in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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