LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25067-2017 proposto da:
R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CARAVAGGIO, 66, presso lo studio degli avvocati LUCA DE COMPADRI e PASQUALE STAROPOLI, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI MANTOVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso o e legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 639/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/05/2017 R.G.N. 716/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO.
PREMESSO IN FATTO
che con sent. n. 639/2017, depositata il 3 maggio 2017, la Corte di appello di Brescia ha rigettato il gravame proposto da R.M., in proprio e quale Presidente del Consiglio di Amministrazione della Eugenio Dugoni soc. cooperativa a r.l., e confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Mantova ne aveva respinto l’opposizione alla ordinanza-ingiunzione n. 8/2010 di pagamento della sanzione amministrativa di Euro 85.008,00 per violazione del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 9, comma 1, in relazione al mancato rispetto del diritto di ventidue lavoratori al riposo settimanale, pari ad almeno 24 ore ogni sette giorni;
– che la Corte di appello, esaminato il merito della causa e ritenuta legittima l’ordinanza, ha considerato che non potesse influire sulla propria decisione la sentenza costituzionale n. 153/2014, con la quale era stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 18-bis, commi 3 e 4, in tema di regime sanzionatorio, osservando che il giudizio di opposizione era stato instaurato esclusivamente per negare la commissione dell’infrazione contestata, senza che fossero formulate in alcun modo censure riguardanti l’ammontare della sanzione;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il R., con quattro motivi, cui ha resistito con controricorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Ispettorato Territoriale del Lavoro di Mantova (già Direzione Territoriale del Lavoro di Mantova);
rilevato:
che con il primo, il secondo e il quarto motivo, rispettivamente deducendo la violazione dell’art. 136 Cost., dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 18-bis, commi 3 e 4, il ricorrente lamenta che la Corte di appello di Brescia non abbia tenuto conto dello ius superveniens costituito dalla sentenza costituzionale n. 153/2014, omettendo conseguentemente di provvedere d’ufficio alla rideterminazione della sanzione;
– che con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 9, comma 1, rinnova le medesime doglianze, relative a questioni di diritto, già esposte alla Corte di merito;
osservato:
preliminarmente che il rilievo, da parte del giudice di appello, della inammissibilità dei motivi di impugnazione per difetto di specificità deve intendersi ad abundantiam e costituisce un mero obiter dictum, che non ha influito sul dispositivo della sentenza, la cui ragione decisoria e’, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure e che, in coerenza con essa, ha statuito il rigetto dell’appello, in luogo della sua inammissibilità;
– che deve conseguentemente essere disattesa l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ad impugnare e di intervenuta formazione di giudicato interno per mancata impugnazione della ritenuta genericità dei motivi di appello;
– che peraltro il terzo motivo risulta inammissibile, posto che con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22478/2018, fra le molte conformi);
– che il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono invece fondati e devono essere accolti;
– che con sentenza n. 153 del 15 aprile 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 18-bis, commi 3 e 4, (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), nel testo introdotto dal D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 213, art. 1, comma 1, lett. f), (Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro);
– che la sentenza ha considerato che l’inasprimento delle sanzioni previsto nel 2004 per le imprese che violino le regole sull’orario di lavoro è illegittimo in quanto travalica la delega concessa al governo;
– che la dichiarazione della Corte costituzionale di incostituzionalità di una legge, operando come ius superveniens, trascende il caso deciso e rende inapplicabile la legge stessa, a partire dal giorno successivo a quello della pubblicazione della decisione, a tutti i rapporti per i quali sia pendente una controversia giudiziale, che non siano stati oggetto di una pronuncia passata in giudicato, con la conseguenza della sua rilevabilità, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo;
ritenuto:
pertanto che in accoglimento del primo, secondo e quarto motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il terzo, l’impugnata sentenza n. 639/2017 della Corte di appello di Brescia deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale farà applicazione della sentenza costituzionale n. 153/2004 alla fattispecie dedotta in giudizio, compiendo, se necessari, gli eventuali accertamenti di fatto richiesti dalla situazione di diritto obiettivo che dalla pronuncia di tale sentenza è derivata (Cass. n. 857/1995).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021