LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4805-2020 proposto da:
A.V., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 1539/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 23/10/2019 R.G.N. 2024/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. BOGHETICH ELENA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. La Corte di appello di Brescia con sentenza n. 1539 pubblicata il 23.10.2019, ha respinto il ricorso proposto da A.V., cittadino della Nigeria (Edo State), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale, e il Tribunale poi, ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
2. La Corte d’Appello per quel che qui interessa, precisa che:
a) il richiedente – fuggito dal proprio Paese per dissidi con lo zio che alla morte del padre voleva una parte del corrispettivo della vendita del terreno appartenuto ad entrambi nonché per eventuali rivendicazioni della setta degli Ogboni alla quale apparteneva il padre – non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, né di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione (non risultando aderente alla setta innanzi indicata) come richiesto per la protezione internazionale né lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;
b) il racconto del richiedente non è credibile in quanto generico, contraddittorio privo di dettagli sia con riguardo alla vendita del terreno (che apparteneva anche allo zio e che, dunque, legittimamente, si è rivolto all’autorità giudiziaria per ottenere una parte del corrispettivo pagato per la vendita del terreno) che in relazione alla setta degli Ogboni (alla quale non risulta di aver aderito né risulta abbia avanzato minacce, che appaiono inverosimili visto che trattasi di associazione di tipo elitario ove non si registrano pratiche di arruolamento forzato ma casomai ove si osteggia l’abbandono dal gruppo al fine di preservare i suoi segreti);
c) non può concedersi la protezione umanitaria perché non è stata allegata e provata una situazione concreta ed individuale di vulnerabilità del richiedente né un’integrazione sul territorio italiano;
3. il ricorso del richiedente chiede la cassazione della suddetta sentenza per due motivi;
4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. con il primo motivo si rappresenta la tempestività del ricorso per cassazione, presentato successivamente al sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza della Corte territoriale (non notificata);
2. con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, dovendo, la Corte territoriale, procedere ad un giudizio di bilanciamento tra l’inserimento sociale raggiunto in Italia e le condizioni di provenienza del richiedente;
3. in ordine al primo rilievo di tempestività del ricorso per cassazione, questa Corte ha affermato che nelle controversie in materia di protezione internazionale celebrate “ratione temporis” secondo il rito sommario introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello deve essere proposto nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione, come previsto in via generale dall’art. 327 c.p.c., comma 1, non essendovi disposizioni particolari che riguardino l’impugnazione delle pronunce di gravame all’esito di un procedimento sommario, e non trovando applicazione il disposto dell’art. 702 quater c.p.c., che attiene alla proposizione dell’appello contro le ordinanze di primo grado (cfr. da ultimo Cass. n. 14821 del 10/07/2020); ne deriva, pertanto, che il presente ricorso è tempestivo, essendo stato notificato ampiamente entro il termine semestrale;
4. il secondo (in realtà unico) motivo di ricorso è inammissibile;
4.1. il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un adeguato grado di integrazione sociale nel nostro paese, secondo i parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, impone l’esame specifico e attuale della situazione oggettiva e soggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (cfr. Cass. S. U. nn. 29459 e 29460 del 2019);
4.2. la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità, con la conseguenza che la mera allegazione di una esistenza migliore nel paese di accoglienza non è sufficiente, dovendo comunque verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili (Cass. n. 4455 del 2018); la protezione umanitaria costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia (come rende evidente l’interpretazione letterale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3);
4.3. il Tribunale ha valutato la situazione di integrazione sociale del richiedente rilevando l’assenza di documentazione che dimostrasse un effettivo radicamento nel territorio italiano, ha osservato che (sulla base delle fonti internazionali accreditate ed aggiornate) il sud della Nigeria non presenta una situazione di conflitto armato che possa esporre qualsiasi cittadino alla violazione dei diritti fondamentali, ed ha, infine, verificato che il richiedente non appartiene a categorie o gruppi oggetto di discriminazione nel proprio paese di origine, appartiene a religione cristiana (come la maggioranza della popolazione), non ha dichiarato problemi di salute, ha riferimenti stabili (un fratello e una sorella) in Nigeria;
6. in conclusione, il ricorso è inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;
7. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021