Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.32688 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sezione –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9537/2020 R.G. proposto da:

COMUNE DI ASCEA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. Antonio Brancaccio e Pasquale D’Angiolillo, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Taranto, n. 18;

– ricorrente –

contro

R.M.E., in proprio e nella qualità di liquidatrice p.t. dell’IMMOBILIARE ASCEA MARINA S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Tozzi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– controricorrente –

e MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 224/20, depositata il 9 gennaio 2020.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 maggio 2021 dal Consigliere MERCOLINO Guido;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FINOCCHI GHERSI Renato, che ha chiesto il rigetto del ricorso, con la conferma della giurisdizione del Giudice amministrativo.

FATTI DI CAUSA

1. Con scrittura privata sottoscritta nell’anno 2010, R.M.E. e A.D.A. da una parte ed il Comune di Ascea dall’altra procedettero alla definizione bonaria della lite tra loro insorta relativamente all’espropriazione di una parte del P.D.D.- R., occupato dal Comune in virtù di un decreto emesso dal Sindaco di Ascea il 15 febbraio 2006, concordando l’importo dell’indennità in Euro 850.000,00, ponendo a carico del Comune l’obbligo di corrispondere la somma di Euro 338.389,77 al momento della sottoscrizione dell’atto e quella di Euro 170.957,47 entro il 31 dicembre 2010, e rinviando il pagamento del residuo al reperimento di ulteriori fonti di finanziamento entro il 31 dicembre 2011 o all’assegnazione delle somme ancora dovute dalla Regione Campania; con il medesimo atto, le proprietarie si impegnarono a provvedere alla cancellazione dal ruolo del ricorso da loro proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, avverso il decreto di occupazione, con l’intesa che, decorso il termine del 31 dicembre 2011, esse sarebbero state libere di continuare nel contenzioso in corso, al fine di conseguire l’importo dovuto a titolo di ristoro per la procedura ablatoria, e che, una volta ricevuto l’intero importo dovuto, avrebbero provveduto alla sottoscrizione dell’atto di cessione bonaria dell’immobile, se richiesto.

In adempimento della predetta scrittura, le proprietarie lasciarono estinguere il giudizio pendente dinanzi al Tar, mentre il Comune provvide al pagamento della somma complessiva di Euro 674.822,84, astenendosi dal versamento del residuo, a seguito dell’accertamento dell’esistenza di iscrizioni pregiudizievoli sull’immobile, non dichiarate dalle proprietarie, e di una procedura di fallimento nei confronti dell’Immobiliare Ascea Marina S.r.l., dalle stesse costituita.

Con atto stragiudiziale del 21 settembre 2018, la R., anche in qualità di legale rappresentante dell’Immobiliare Ascea Marina, diffidò quindi il Comune ed il Ministero per i beni e le attività culturali a restituire l’immobile o a disporne l’acquisizione sanante, nonché a provvedere al pagamento dell’indennizzo dovuto per legge, sostenendo che la scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e di quello per il pagamento del residuo importo dovuto aveva determinato la risoluzione di diritto dell’accordo.

Tale diffida fu riscontrata con nota del 16 novembre 2018, con cui il Comune chiarì le ragioni del mancato pagamento del residuo importo dovuto, precisando che le difficoltà segnalate risultavano ormai risolte, e manifestando la volontà di definire bonariamente la vicenda.

2. La R., dopo aver accettato la proposta con nota del 19 novembre 2018, nella quale sollecitò la formalizzazione di un’offerta in ordine al saldo del pagamento, propose ricorso al Tar Campania, Sezione staccata di Salerno, chiedendo a) la dichiarazione d’illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dal Comune e dal Ministero in ordine all’istanza presentata il 16 novembre 2018, b) l’accertamento della risoluzione o dell’inefficacia dell’accordo stipulato nel 2010, avente ad oggetto la determinazione amichevole dell’indennità di esproprio, c) l’accertamento della mancata conclusione della cessione definitiva dell’immobile, d) la condanna del Comune e del Ministero alla definizione del procedimento di esproprio e delle relative istanze con provvedimento espresso.

Si costituì il Comune, ed eccepì in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso ed il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, sostenendo nel merito di aver già provveduto in ordine all’istanza delle proprietarie, con la citata nota del 16 novembre 2018.

2.1. Con sentenza del 12 giugno 2019, il Tar Campania dichiarò il proprio difetto di giurisdizione, osservando che, in quanto avente ad oggetto l’adempimento o la risoluzione dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, la controversia doveva ritenersi devoluta alla giurisdizione del Giudice ordinario.

Rilevò infatti che, in quanto produttivo di effetti traslativi istantanei con riferimento al bene occupato e di effetti obbligatori con riguardo al pagamento del ristoro dovuto, l’accordo aveva comportato la cessazione dell’occupazione illegittima e la definizione in via negoziale dei rapporti tra l’Amministrazione e i privati, e ritenne pertanto preclusa sia l’acquisizione sanante che la restituzione dell’immobile, precisando che il rapporto non sarebbe potuto regredire alla fase anteriore alla stipulazione, anche in considerazione della mancanza di una clausola risolutiva espressa.

3. L’impugnazione proposta dalle proprietarie è stata accolta dal Consiglio di Stato, che con sentenza del 9 gennaio 2020 ha dichiarato la spettanza della giurisdizione al Giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. amm., lett. g), rinviando la causa al Tar Campania.

A fondamento della decisione, il Giudice amministrativo di secondo grado ha ritenuto che l’accordo intervenuto tra le parti non fosse configurabile come una cessione volontaria avente efficacia immediatamente traslativa della proprietà dell’immobile, ma come un accordo amichevole sull’indennità di espropriazione, che presupponeva il completamento della procedura. Rilevato che a seguito della scadenza del termine convenuto per il pagamento le parti avevano intrapreso trattative per una transazione, ha affermato che la controversia non aveva ad oggetto la determinazione ed il pagamento dell’indennità dovuta in conseguenza dell’adozione di atti ablatori, ma a) il silenzio serbato dalle Amministrazioni in ordine all’istanza di definizione del procedimento espropriativo con un provvedimento espresso o di restituzione del bene, b) il silenzio serbato dal Comune in ordine all’istanza volta a sollecitare la formulazione di una proposta transattiva per il ritardo nel pagamento, c) la pretesa di definizione dei due procedimenti con provvedimenti espressi e d) la sorte dell’accordo del 2010.

3. Avverso la predetta sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi il Ministero e la R., la quale ha depositato anche memoria.

Il ricorso è stato quindi esaminato in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione, il Comune denuncia, ai sensi dello art. 110 cod. proc. amm., dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e dell’art. 111 Cost., comma 8, la violazione e la falsa applicazione dello art. 133, lett. g), ultima parte, cod. proc. amm., del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53, comma 2 e dell’art. 5 c.p.c., osservando che, in quanto avente ad oggetto in via principale il pagamento del saldo dell’indennità di espropriazione, concordata con la scrittura privata del 2010, la controversia attiene ad una posizione giuridica qualificabile come diritto soggettivo, e spetta pertanto alla giurisdizione ordinaria. Premesso infatti che la diffida a procedere all’acquisizione sanante o alla restituzione dell’immobile trovava fondamento nell’asserita risoluzione dell’accordo, in conseguenza del mancato pagamento dell’indennità, sostiene che tale pretesa è stata successivamente abbandonata in favore della stipulazione di un nuovo accordo transattivo, consacrato nello scambio di note del 16-19 novembre 2018, il quale esclude la configurabilità del silenzio-inadempimento, vertendosi in materia di diritti soggettivi. Aggiunge l’Amministrazione che la spettanza della giurisdizione al Giudice ordinario emerge anche dalla natura delle domande specificamente proposte, che, in quanto aventi ad oggetto l’accertamento della risoluzione dell’accordo transattivo o la dichiarazione dell’obbligo dell’Amministrazione di darvi esecuzione, coinvolgono posizioni paritetiche delle parti, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la proposizione congiunta della domanda di adozione del provvedimento di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42-bis, dal momento che, al di fuori delle ipotesi espressamente previste, la giurisdizione non è derogabile per ragioni di connessione. Afferma inoltre che, in quanto attinenti a diritti soggettivi, le pretese avanzate dalle proprietarie risultano incompatibili con il rimedio contemplato dagli artt. 31 e 117 cod. proc. amm., esperibile soltanto per superare l’inattività dell’Amministrazione nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, a fronte di posizioni soggettive del privato qualificabili come interessi legittimi. Rileva che, attraverso il recupero della domanda di adozione del provvedimento di acquisizione sanante, abbandonata dalle proprietarie, il Giudice amministrativo si è indebitamente sostituito al Giudice civile, al quale spettano l’interpretazione dell’accordo transattivo stipulato nel 2010, il sindacato sulla proposta formulata successivamente ed il giudizio sulla sorte dell’accordo, che riguardano l’oggetto e gli effetti di un contratto di natura privatistica. Sostiene infine che, nell’escludere l’efficacia traslativa della scrittura privata sottoscritta nel 2010, il Consiglio di Stato non ha tenuto conto del tenore letterale delle espressioni usate dalle parti, da cui emergeva che la stessa non costituiva un accordo amichevole in ordine alla misura dell’indennità di espropriazione, ma presentava i requisiti formali e sostanziali propri di un atto di compravendita, prevedendo l’acquisizione della proprietà dell’immobile contro il pagamento di un corrispettivo, e rinviando il trasferimento ad un ulteriore atto soltanto se necessario.

1.1. Così riassunte le censure formulate dal ricorrente, non merita accoglimento l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa della controricor-rente, secondo cui le predette doglianze risulterebbero carenti di autosufficienza, in quanto non accompagnate dalla trascrizione della corrispondenza intercorsa tra le parti e dei passi contestati della sentenza impugnata.

L’esposizione dei fatti di causa e l’illustrazione del motivo d’impugnazione sono infatti corredate da una sintesi della motivazione della predetta sentenza e da stralci dell’atto transattivo stipulato tra le parti e delle note che queste ultime si sono successivamente scambiate, più che sufficienti, nel loro complesso, a fornire un quadro chiaro e completo della vicenda sostanziale e processuale su cui s’innesta il ricorso per cassazione: devono quindi ritenersi osservati i requisiti di contenuto-forma previsti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il cui rispetto non esige una trascrizione della sentenza impugnata e degli atti rilevanti ai fini della decisione, dovendo il ricorrente attenersi, nella redazione dell’atto, a canoni di chiarezza e sinteticità espositiva, i quali gli impongono di selezionare i profili di fatto e di diritto della controversia attinenti alle doglianze proposte, in modo tale da fornire una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte, o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le proprie critiche nell’ambito della tipologia di vizi elencata dallo art. 360 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. I, 3/11/2020, n. 24432; Cass., Sez. V, 30/04/2020, n. 8425; Cass., Sez. III, 28/05/2018, n. 13312).

1.2. Il ricorso risulta peraltro parzialmente fondato.

Con il ricorso proposto dinanzi al Tar Campania, la R. e l’Immobiliare Ascea chiesero infatti la dichiarazione d’illegittimità del silenzio serbato dal Comune e dal Ministero in ordine alla nota da loro inoltrata il 16 novembre 1998, con la quale, sul presupposto dell’intervenuta risoluzione dell’accordo transattivo stipulato nel 2010, avente ad oggetto la determinazione dell’indennità dovuta per l’espropriazione dell’immobile di loro proprietà, avevano diffidato le due Amministrazioni, per quanto di rispettiva competenza, a restituire l’immobile espropriato o ad esercitare i poteri previsti dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42-bis, nonché a formalizzare un’offerta per il saldo dello indennizzo, che tenesse conto anche del ritardo nel pagamento. Sulla base di tale articolazione dell’atto introduttivo, deve ritenersi corretta l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui, attraverso la formulazione delle predette conclusioni, le proprietarie avevano inteso in realtà formulare tre distinte domande, aventi ad oggetto rispettivamente l’accertamento a) dell’intervenuta risoluzione per inadempimento della transazione stipulata tra le parti, b) dell’obbligo delle Amministrazioni di definire il procedimento ablatorio con un provvedimento esplicito o di restituire l’immobile, e c) dell’obbligo delle Amministrazioni di corrispondere l’indennizzo dovuto per legge.

Non possono invece condividersi le conseguenze che il Giudice amministrativo ha tratto da tale premessa, e cioè che, non essendo in discussione la determinazione e la corresponsione dell’indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa, ma controvertendosi in ordine Amministrazioni sulle richieste formulate dalle proprietarie, la giurisdizione in ordine alle domande proposte dalle proprietarie spetta al Giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, lett. g), cod. proc. amm. In materia di espropriazione per pubblica utilità, la giurisdizione esclusiva, attribuita al Giudice amministrativo da tale disposizione, è infatti circoscritta alle controversie riguardanti atti, provvedimenti, accordi e comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere delle Pubbliche Amministrazioni, e non si estende a quelle aventi ad oggetto la determinazione e la corresponsione delle indennità dovute in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablatoria, le quali, ai sensi della ultima parte della norma in esame e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53, spettano al Giudice ordinario. Nella specie, pertanto, deve ritenersi devoluta alla giurisdizione amministrativa soltanto la domanda di accertamento dello obbligo delle Amministrazioni di provvedere alla definizione del procedimento di espropriazione, mentre quella di accertamento dell’obbligo di corrispondere l’indennità di espropriazione avrebbe dovuto essere proposta dinanzi alla Corte d’appello competente per territorio, ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29, comma 2, richiamato dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54.

Nessun rilievo può assumere, in relazione alla prima domanda, la circostanza che, alla luce dell’intervenuta scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e della conseguente illegittimità dell’occupazione, le proprietarie non abbiano richiesto l’emissione del decreto di esproprio, ma la restituzione dell’immobile, trattandosi pur sempre di una domanda collegata all’esercizio di un pubblico potere in materia di espropriazione, e quindi anch’essa devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo; in alternativa alla restituzione, d’altronde, le proprietarie hanno sollecitato l’adozione di un provvedimento di acquisizione ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42-bis, la quale, come già precisato da queste Sezioni Unite, non costituisce oggetto di un obbligo dell’Amministrazione, cui corrisponda un diritto soggettivo del proprietario, ma presuppone una valutazione discrezionale degli interessi in conflitto, qualitativamente diversa da quella tipicamente sottesa al normale procedimento espropriativo, in quanto non limitata genericamente all’eccessiva difficoltà od onerosità delle possibili soluzioni, ma volta a verificare l’assenza di ragionevoli alternative all’acquisizione, prima fra tutte proprio la restituzione del bene: l’art. 42-bis prevede infatti un istituto di carattere eccezionale, volto a ripristinare la legalità amministrativa con effetto non retroattivo, il cui scopo non consiste nel sanare un illecito precedentemente perpetrato dall’Amministrazione, ma nel soddisfare attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, perseguibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione delle opere già realizzate sine titulo (cfr. Cass., Sez. Un., 6/02/2019, n. 3517).

Parimenti ininfluente, in relazione alla seconda domanda, è la circostanza che le proprietarie non abbiano chiesto direttamente la determinazione o il pagamento dell’indennità, ma la dichiarazione dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere alla formulazione di un’offerta, e quindi dell’illegittimità del comportamento inerte tenuto al riguardo: com’e’ noto, infatti, l’azione volta ad ottenere la dichiarazione d’illegittimità del silenzio serbato dalla Pubblica Amministrazione in ordine ad un’istanza presentata da un privato, pur essendo esperibile esclusivamente dinanzi al Giudice amministrativo, non dà luogo ad un’ipotesi di giurisdizione esclusiva o per materia di quest’ultimo, ma è limitata alle ipotesi in cui lo stesso sia fornito di giurisdizione in ordine alla pretesa sottostante; ai fini del riconoscimento della spettanza della giurisdizione al Giudice amministrativo, non può quindi conferirsi rilievo al dato puramente formale costituito dall’impugnazione del silenzio-inadempimento, ma occorre preventivamente procedere alla qualificazione della situazione giuridica soggettiva fatta valere dall’istante, nonché, nel caso in cui la stessa sia configurabile come diritto soggettivo, verificare la sua eventuale riconducibilità ad un’ipotesi di giurisdizione esclusiva (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 25/ 06/2020, n. 4089; Cons. Stato, Sez. VI, 7/09/2012, n. 4658; Cons. Stato, Sez. III, 1/02/2012, n. 501).

Quanto infine alla domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione della scrittura privata sottoscritta tra le parti nell’anno 2010, dal cui inadempimento trae origine la vicenda giudiziaria in esame, deve escludersi che l’accoglimento della stessa costituisca la premessa logico-giuridica necessaria della domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere alla definizione del procedimento espropriativo: la natura processuale della questione di giurisdizione, nella cui risoluzione questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, consente di procedere in questa sede all’esame diretto dello atto, dal quale si evince che, come correttamente rilevato dal Consiglio di Stato, la scrittura era priva di efficacia traslativa, recando esclusivamente un accordo transattivo, la cui conclusione non escludeva la necessità di provvedere alla successiva definizione del procedimento ablatorio, mediante l’emissione del decreto di esproprio o la stipulazione di una cessione volontaria. Con tale atto, le parti si limitarono infatti a concordare l’indennità dovuta per l’espropriazione e le modalità di pagamento del relativo importo, nonché a decidere la sorte del giudizio amministrativo precedentemente promosso dalle proprietarie mediante l’impugnazione degli atti del procedimento abla-torio, senza disporre l’immediato trasferimento della proprietà dell’immobile occupato, ma rinviandolo anzi espressamente ad un atto o a un provvedimento successivo. Sebbene, pertanto, con la medesima scrittura le proprietarie abbiano espressamente rinunciato a far valere qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal procedimento espropriativo in corso, deve escludersi che la proposizione della domanda di definizione dello stesso sia subordinata alla risoluzione della transazione, il cui inadempimento può assumere rilievo esclusivamente in riferimento alla domanda di determinazione dell’indennità di espropriazione, spettante alla giurisdizione del Giudice ordinario.

2. La sentenza impugnata va pertanto cassata, per quanto di ragione, con la conseguente dichiarazione della spettanza al Giudice ordinario della giurisdizione in ordine alla domanda di pagamento dell’indennità di espropriazione ed a quella di risoluzione dell’accordo transattivo, ed al Giudice amministrativo della giurisdizione in ordine alla domanda di adozione del decreto di espropriazione. Le parti vanno conseguentemente rimesse dinanzi ai Giudici rispettivamente competenti per le predette domande, i quali provvederanno anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, per quanto di ragione, e dichiara la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria sulla domanda di pagamento dell’indennità di espropriazione e di risoluzione della transazione, e quella del Giudice amministrativo sulla domanda di adozione del decreto di espropriazione; rinvia la prima causa alla Corte di appello di Salerno e la seconda al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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