Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32705 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16684-2020 proposto da:

N.Z., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO FATTORI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronologico 980/2020 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il 13/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’08/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE PARISE.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto n. 980/2020 pubblicato il 13-4-2020 e comunicato il 15-4-2020, il Tribunale di Trieste ha respinto il ricorso proposto da N.Z., cittadino del Pakistan-Punjab, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della relativa domanda da parte della competente Commissione territoriale. Il Tribunale ha ritenuto non credibile, in ordine all’esistenza dei presupposti di persecuzione ovvero di gravi timori in caso di rimpatrio, il racconto del richiedente, il quale riferiva di essere fuggito dal suo Paese per timore di essere accusato dell’omicidio dell’animatore di una clinica per poveri il cui cadavere era stato lasciato avanti al suo negozio. Per quanto ancora di interesse, il Tribunale non ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non ravvisando alcun profilo di vulnerabilità, nonché rilevando che il richiedente non aveva allegato una significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel suo Paese e nulla aveva dedotto circa le sue condizioni personali di vita, tranne che con riguardo alla povertà, prima della partenza dal suo Paese, dove aveva legami familiari, essendosi riferito genericamente alla situazione di instabilità ed insicurezza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Con unico, articolato motivo, denunciando il vizio di violazione di legge, il ricorrente, richiamando diffusamente la normativa di riferimento e la giurisprudenza di questa Corte, si duole dell’assenza di comparazione tra la sua situazione attuale e quella in cui verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio, per avere la Corte territoriale omesso di considerare, nel senso indicato nella pronuncia di questa Corte n. 4455 del 2018, la sua integrazione in Italia, come da documenti che richiama (CUD 2019 pag. 14 – contratto di apprendistato pag. 8), poiché la condizione di vulnerabilità consegue anche da condizioni di vita inadeguate e non sufficienti per un’esistenza dignitosa e dall’incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita, dato che in caso di rimpatrio egli si troverebbe esposto a ripetuti episodi di minacce.

4. In via pregiudiziale, va dichiarata la tempestività dell’odierno ricorso, benché notificato (l’8 giugno 2020) oltre il termine di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, rispetto alla data di comunicazione del decreto impugnato (15-4-2020), attese le misure adottate dal legislatore per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19, in particolare quanto disposto dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020), che ha sospeso, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, successivamente allungato fino all’11 maggio 2020 dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 40 del 2020), il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali.

5. Ciò posto, l’unico motivo di ricorso è inammissibile.

Occorre premettere, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459 del 2019). Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge, afferma di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, deducendo di aver prodotto in primo grado documenti comprovanti lo svolgimento di attività di lavoro.

Premesso che non può valorizzarsi, di per sé sola, la situazione astratta e generale del Paese di origine, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la citata sentenza, il Tribunale, richiamando la pronuncia di questa Corte n. 4455 del 2018, ha effettuato il giudizio di comparazione, affermando l’assenza di allegazione, da parte del ricorrente, circa le sue condizioni personali di vita prima della partenza e circa la violazione di diritti fondamentali nel suo Paese, se non in modo del tutto generico in relazione all’instabilità del Pakistan, nonché affermando che, a fronte di dette carenze di allegazione, non poteva avere esclusivo e decisivo rilievo il livello di integrazione raggiunto dal richiedente in Italia. Il Tribunale ha, dunque, effettuato il giudizio di comparazione mediante un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove, come nella specie, idoneamente motivato.

Il ricorrente non svolge una critica specifica alle suddette argomentazioni e si limita ad esprimere deduzioni dirette, inammissibilmente, a sollecitare la rivisitazione del merito, principalmente in ordine al livello di integrazione che assume di aver raggiunto nel territorio nazionale.

6. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314 del 2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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