LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3676-2020 proposto da:
S.M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 12, presso lo studio dell’avvocato MARCO GRISPO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Gorizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 587/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 19/08/2019 R.G.N. 508/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. ESPOSITO LUCIA.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. cronol. 548/2019, depositata il 19/8/2019, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la richiesta di S.M.R., proveniente dal Pakistan, provincia del Punjab, di riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria o umanitaria. I giudici di merito rilevavano che le dichiarazioni del richiedente – il quale aveva riferito di aver lasciato il paese in ragione di minacce subite in ragione della sua appartenenza alla religione sciita – non erano idonee al riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo state allegate situazioni di grave e diretta persecuzione personale, perpetrate a motivo dell’appartenenza del richiedente alla minoranza religiosa sciita.
2. Avverso la suddetta pronuncia il richiedente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di numerose disposizioni del D.Lgs. n. 251 del 2007, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 bis e art. 32, nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 360 c.p.c., n. 5). Osserva che la Corte d’appello ha omesso di utilizzare il proprio potere-dovere di accertare d’ufficio se e in quali limiti nel paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata e se a tali fenomeni possa attribuirsi rilevanza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 osservando che risultavano violati i criteri previsti per l’attribuzione della protezione umanitaria, essendo stata omessa la valutazione comparativa tra la situazione d’integrazione raggiunta dal ricorrente in Italia e la sua situazione soggettiva con riferimento al paese di origine, tanto più che il ricorrente aveva efficacemente provato di essere titolare di una retribuzione, pur se minima, con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
3. Il primo motivo è fondato. Va richiamato, in primo luogo, il dictum di Cass. n. 262 del 12/01/2021, secondo cui “In tema di protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice è tenuto, a prescindere dalla valutazione di credibilità delle sue dichiarazioni, a cooperare all’accertamento della situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate, le cui fonti dovranno essere specificatamente indicate nel provvedimento, al fine di comprovare il pieno adempimento dell’onere di cooperazione istruttoria”. D’altra parte, il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle fonti informative privilegiate, impone al giudice di specificare la fonte in concreto utilizzata al fine di escludere la ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento della misura richiesta e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione. Questa Corte ha avuto modo di precisare, infatti, che il giudice di merito è tenuto a indicare l’autorità o l’ente da cui la fonte consultata proviene e la data o l’anno di pubblicazione, in modo da assicurare la verifica del rispetto dei requisiti di precisione e aggiornamento previsti dal richiamato art. 8, comma 3, del citato D.Lgs., nonché dell’idoneità delle C.O.I. in concreto consultate a quanto prescritto dalla norma da ultimo richiamata (ex multis Cass. n. 4557 del 19/02/2021).
4. Nella specie il giudice d’appello ha omesso di cooperare all’accertamento della situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo da poter esaminare le domande alla luce di informazioni aggiornate, risultando la statuizione limitata al generico riferimento contenuto nel rapporto Easo dell’ottobre 2018 all’essere il Punjab la provincia pakistana meno colpita dalla violenza e priva di qualsiasi riferimento alla specifica condizione della minoranza sciita di cui il richiedente ha dichiarato di fare parte.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto limitatamente al primo motivo e la sentenza cassata, con rinvio al giudice del merito, affinché compia l’indagine circa la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione richiesta servendosi delle opportune fonti, da indicare specificamente, in conformità al principio di diritto sopra richiamato (punto 3).
6. Nella pronuncia di accoglimento resta assorbita la censura di cui al secondo motivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021