Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32721 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4598-2020 proposto da:

A.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO TACCHI VENTURI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Caserta, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3901/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/09/2019 R.G.N. 3176/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 3901 del 2019, ha confermato il provvedimento emesso dal Tribunale della stessa sede con il quale era stata respinta la domanda di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, proposta da A.G., cittadino della Nigeria.

2. Il richiedente aveva dichiarato, in sintesi, di avere lasciato il proprio paese quando aveva 19 anni perché si era rifiutato di succedere al padre nella posizione da questi rivestita nell’ambito di una setta religiosa; per lo stesso motivo, riguardante sempre il rifiuto a far parte di questo culto, il fratello era stato trovato decapitato; aveva, poi, precisato che, essendo molto adirato per l’omicidio del fratello, dopo essersi procurato della benzina, era andato presso il domicilio di uno dei membri della setta e gli aveva incendiato la casa dove però, successivamente, era venuto a conoscenza che si trovavano delle persone dentro che erano morte; Intimorito per le conseguenze che potevano derivare dal suo gesto, si era trasferito da un suo zio a Kanu e qui ebbe problemi con la di lui moglie che lo costringeva ad avere rapporti sessuali con lei; senza spiegare le ragioni e senza fornire particolari, disse allo zio di volere andare via e, attraverso la Libia, arrivò in Italia.

3. A fondamento della decisione la Corte di merito, premessa la inattendibilità delle dichiarazioni, ha ritenuto insussistenti i presupposti per concedere la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), nonché la protezione umanitaria per la mancata allegazione di profili di vulnerabilità.

4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione A.G. affidato a quattro motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della Legge di conversione n. 46 del 2017, art. 2, con modificazioni, del D.L. n. 13 del 2007, contenente disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimento in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale, in relazione alla composizione dell’organo giudicante, per essere stati designati nel Collegio magistrati ausiliari privi della specializzazione richiesta per la trattazione dei procedimenti in materia di immigrazione.

3. Il motivo è inammissibile.

4. E’ stato affermato (Cass. n. 26419/2020; Cass. n. 26831/2014) che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse alla astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito.

5. Nella fattispecie, il ricorrente si è limitato a denunciare unicamente il fatto che nel Collegio giudicante vi fosse un giudice ausiliario privo di specializzazione senza, però, specificare, in concreto, quale pregiudizio avesse subito, da siffatta designazione del Presidente della Corte di appello in relazione alla composizione dell’organo giudicante, nel suo diritto di difesa e di fare valere le proprie pretese.

6. Con il secondo motivo si censura la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, per non avere la Corte territoriale valutato correttamente la situazione individuale, specifica e concreta del richiedente alla stregua delle circostanze narrate e della peculiarità della vicenda personale.

7. Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per la assenza di fonti informative in relazione sempre alla situazione specifica di esso richiedente e della zona del paese dal quale proveniva.

8. Con il quarto motivo si obietta l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativamente alle domande di protezione umanitaria e sussidiaria, rappresentato dal suo soggiorno in Libia ove aveva precisato di avere subito soprusi e violenze.

9. I suddetti motivi, da trattari congiuntamente per connessione, sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

10. In primo luogo, va evidenziato che la Corte di merito ha ritenuto la inverosimiglianza del racconto affidandosi ad una mera opinione soggettiva, quando invece è stato affermato, in sede di legittimità, con un orientamento cui si intende dare seguito, che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri obiettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (di cui al D.Lgs. cit., art. 5 comma 3, lett. c)), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. n. 2956/ 2020; Cass. n. 13257/2020).

11. In secondo luogo, deve precisarsi che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto da parte del richiedente asilo il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale nella quale siano presenti aspetti contraddittori che ne mettano in discussione la credibilità, in quanto è finalizzato proprio a raggiungere il necessario chiarimento su realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle di altri paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione del richiedente (Cass. n. 3016/2019; Cass. n. 24010/2020).

12. In terzo luogo, va osservato che il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13255/2020). Inoltre, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente asilo e, ove occorra, dei paesi in cui questi sono transitati, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale (Cass. n. 2355/2020; Cass. n. 30105/2018).

13. Nel caso in esame, come detto, la Corte ha operato una valutazione di non credibilità su considerazioni soggettive, senza alcun riferimento alla procedimentalizzazione legale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e valorizzando, invece, soprattutto i profili di contraddittorietà ed illogicità del racconto.

14. Avrebbe dovuto, invece, riscontrare quanto dichiarato con elementi oggettivi, acquisibili attraverso una adeguata istruttoria, sia con riguardo alla esistenza del culto cui sì era fatto riferimento nell’audizione e che il richiedente non aveva inteso praticare, sia con riferimento al periodo di transito in Libia che era stato oggetto di una specifica censura in sede di appello e in relazione alla quale la Corte di merito non si è pronunciata.

15. Tali accertamenti avrebbero senza dubbio potuto rilevare, ai fini della valutazione sulla credibilità delle dichiarazioni, sotto il profilo della coerenza esterna del narrato, in un contesto in cui è opportuno sottolineare che la materia relativa ai “culti” non può ritenersi di natura meramente privata (Cass. n. 3758/2018).

16. Inoltre, quanto alla situazione del Paese di origine, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare, attraverso la consultazione delle fonti informative, aggiornate ed accreditate, anche il profilo della funzionalità del sistema giudiziario penale e carcerarlo, nella regione di provenienza del richiedente, essendo il richiedente stato incolpato di gravi reati (incendio da cui era derivata la morte di persone).

17. Alla stregua di quanto esposto, devono essere accolti il secondo, il terzo ed il quarto motivo, per quanto di ragione, mentre il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile. L’impugnata sentenza va, quindi, cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra menzionati e provvedendo, altresì, sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo per quanto di ragione, inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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