LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4798-2020 proposto da:
S.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO SOTTILE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA SEZIONE DI FORLI’- CESENA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 2014/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 27/06/2019 R.G.N. 2470/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. BOGHETICH ELENA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. La Corte di appello di Bologna con sentenza pubblicata 27.6.2019 (n. 2014), ha respinto il ricorso proposto da S.O., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale e poi il Tribunale avevano rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
2. la Corte di appello, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il richiedente – fuggito dal proprio Paese per aver sposato una ragazza cristiana e per aver ricevuto dai suo familiari, di religione musulmana, una maledizione che gli ha procurato una malattia alle gambe – non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, né di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale né lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;
b) il racconto del richiedente non è credibile in quanto generico e non plausibile (quanto alle modalità con cui sì conobbero i due sposi e al rito del matrimonio nonché alla malattia, ai sintomi, al tipo di cura intrapresa e al presunto persecutore) e ciò esime dall’ulteriore valutazione della situazione del paese di provenienza;
c) non può concedersi la protezione umanitaria perché non è stata allegata e provata una situazione concreta ed individuale del richiedente;
3. il ricorso del richiedente chiede la cassazione del suddetto decreto per tre motivi (erroneamente numerati sia con numeri arabi che con lettere alfabetiche);
4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 nonché del D.Lgs. n. 26 del 2008, artt. 2, 3, 4, 5, 6, artt. 8, 2, 3 e 27 CEDU nonché vizio di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame di fatti decisivi, avendo – il Tribunale di Bologna – omesso di esercitare l’onere di collaborazione istruttoria a fronte del ragionevole sforzo compiuto dal richiedente, da ritenersi del tutto credibile, per circostanziare la domanda;
2. con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, nonché omessa valutazione di fatti decisivi avendo trascurato, il Tribunale e la Corte di appello di Bologna, di approfondire la situazione socio-politica del paese di provenienza mediante fonti accreditate;
3. con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19 nonché omessa valutazione di fatti decisivi avendo, il Tribunale di Bologna, trascurato di approfondire la situazione di integrazione del richiedente in Italia;
4. il primo motivo di ricorso è inammissibile trattandosi di censure rivolte direttamente ed espressamente contro la sentenza di primo grado e non contro la sentenza di appello (sulla inammissibilità di siffatte censure v. Cass. n. 5637 del 2006, Cass. nn. 11026 e 15952 del 2007, Cass. n. 6733 del 2014);
5. il secondo motivo di ricorso è fondato.
6. va – in linea generale – rilevato che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poiché incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 19716 del 2018);
7. peraltro, il giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso con riguardo all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonché alla protezione umanitaria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, (Cass. n. 14671 del 2020, Cass. n. 13940 del 2020; Cass. nn. 2956 e 2960 del 2020; Cass. n. 10922 del 2019);
8. nella specie, la Corte territoriale ha fondato il rigetto della domanda sulla condivisione del giudizio di non verosimiglianza del racconto espresso dalla Commissione territoriale e dal Tribunale ma, ai fini della valutazione della sussistenza dei requisiti previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonché della protezione umanitaria, non ha svolto alcuna indagine (mediante consultazione di fonti internazionali accreditate ed aggiornate) sulla situazione socio-economica del paese di provenienza del richiedente;
9. in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo (concernente la protezione umanitaria, di carattere residuale), inammissibile il primo motivo; la sentenza va cassata e rinviata alla corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo, assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà altresì alla regolazione delle spese di lite del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021