LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15927-2018 proposto da:
N.P., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELE FERRARA;
– ricorrente –
contro
GRAN CAFFE’ GAMBRINUS S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBULLO 10, presso lo studio dell’avvocato AGNESE CASILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE SOLLAZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1802/2018 della CORTE ” D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/03/2018 R.G.N. 470/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. GARRI FABRIZIA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. La Corte di appello di Napoli ha respinto il reclamo proposto da N.P. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva accertato la legittimità del licenziamento intimatole dalla società datrice di lavoro Gran Caffe’ Gambrinus in data 27 ottobre 2015.
2. La Corte territoriale ha accertato alla lavoratrice era stato contestato di aver denunciato alla Guardia di Finanza, insieme ad un’altra dipendente, la falsa circostanza di aver ricevuto la disposizione di non rilasciare a tutti i clienti lo scontrino fiscale e di controllare che i clienti non fossero intercettati fuori dal locale dalle forze dell’ordine. Condotta richiesta anche dopo l’installazione di un misuratore fiscale abilitato all’emissione di scontrini.
2.1. Ha poi evidenziato che, per effetto di tale denuncia dai contenuti falsi, la Guardia di Finanza aveva proceduto alla verifica della regolarità dei documenti fiscali, accertandola.
2.2. Il giudice di appello ha desunto dalla condotta accertata un intento calunnioso e denigratorio, ritorsivo rispetto al legittimo esercizio del potere disciplinare nei confronti della lavoratrice, realizzato attraverso dichiarazioni sotto più aspetti menzognere. Ha verificato infatti che la N. non era mai stata addetta alla sala; che non le era affidata la riscossione di somme quanto meno dal 1.5.2011 ed infine che mai era stato ordinato agli addetti quanto affermato nella denuncia.
2.3. Pertanto, confermando la decisione di primo grado, e sulla base dell’ulteriore istruttoria svolta in appello, la Corte di merito ha escluso che i fatti narrati nella denuncia presentata alla Guardia di Finanza fossero veri ed ha ritenuto fondato l’addebito contestato e proporzionata la sanzione irrogata.
2.4. Infine, ritenendo che nei fatti accertati potesse essere ravvisata una condotta penalmente rilevante, ha trasmesso gli atti alla procura della repubblica per gli adempimenti di competenza.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso N.P. articolando quattro motivi ai quali ha resistito con controricorso la Gran Caffe’ Gambrinus s.r.l..
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
4. Il primo motivo di ricorso, con il quale la N. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito accertato, senza che fosse stato mai dedotto dalla datrice di lavoro, né chiesto di provare, l’esistenza da parte della lavoratrice di un intento doloso lesivo nel presentare la denuncia alla Guardia di Finanza, non può essere accolto.
4.1. La Corte di merito si è infatti attenuta ai principi affermati da questa Corte (cfr. Cass. 26/09/2017 n. 22375) e, a fronte della contestazione mossa alla lavoratrice, per verificare la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo del licenziamento intimato, ha indagato se la denuncia inoltrata alla Guardia di Finanza fosse o meno assistita dalla consapevolezza dell’insussistenza dell’illecito e/o dal suo carattere calunnioso.
4.2. L’indagine era perciò funzionale all’accertamento della giusta causa di risoluzione del rapporto e si è mantenuta nei limiti delle allegazioni delle parti della contestazione disciplinare stessa. Nessun vizio di ultra petizione è perciò ravvisabile.
5. Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5, degli artt. 2119,2727,2729 e 2697 c.c. e degli artt. 1175,1337 e 1345 c.c..
5.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza sarebbe incorsa nella violazione delle norme di legge denunciate avendo invertito gli oneri probatori e ritenuto che, non avendo la lavoratrice dimostrato la fondatezza dei fatti denunciati, automaticamente questa doveva essere ritenuta consapevole della infondatezza degli stessi e conseguentemente la sua condotta era caratterizzata da un intento calunnioso.
5.2. Deduce che invece le due categorie, dell’infondatezza dei fatti e della consapevolezza da parte della lavoratrice di denunciare un fatto insussistente, avrebbero dovuto essere oggetto di separato accertamento e non indotto il secondo dal primo. Sottolinea infatti che la responsabilità disciplinare non sorge per il solo fatto di aver denunciato un fatto rivelatosi poi insussistente ma piuttosto di averlo fatto nella consapevolezza della sua insussistenza.
6. Con il quarto motivo di ricorso, poi, da trattare congiuntamente al secondo ricorrente denuncia la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. ed investe la prova acquisita dei fatti addebitati dolendosi della mancata utilizzazione di alcune testimonianze, dell’attendibilità dei testi escussi, della valutazione delle prove e dell’insufficienza delle stesse.
7. Le censure da esaminare congiuntamente poiché per diversi profili investono la ricostruzione del materiale probatorio denunciando una errata applicazione delle disposizioni che regolano la prova sono in parte inammissibili ed in parte, comunque, infondate.
7.1. Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente la sentenza della Corte territoriale ha applicato correttamente i principi in tema di onere della prova, che ponga carico del datore di lavoro l’onere di allegare e provare i fatti a sostegno dell’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di recesso dal rapport9, mentre gravano il lavoratore dell’onere di provare la non riferibilità degli stessi ad una sua condotta o l’esistenza di cause esimenti (cfr. Cass. 29/05/2015 n. 11206) pervenendo alla sua decisione sulla base dei fatti che erano stati allegati e delle questioni che le erano state ritualmente sottoposte. 7.2. All’esito di un’articolata istruttoria la Corte territoriale giunge al suo convincimento e, anche attraverso un ragionamento in parte presuntivo, afferma che la lavoratrice ben sapeva di dichiarare alla Guardia di Finanza dei fatti che non corrispondevano al vero. Nel corso dell’istruttoria sono stati accertati singoli fatti estremamente semplici (che non era stata data disposizione da parte dei soci di non emettere gli scontrini e che del pari non era stato sollecitato il personale ad evitare contatti tra i clienti, cui non era stato dato lo scontrino, e le forze dell’ordine eventualmente presenti all’esterno per i controlli) e la consapevolezza della lavoratrice di denunciare un fatto non vero era ben desumibile dall’accertata insussistenza dei fatti stessi in sede istruttoria. All’estrema semplicità delle condotte oggetto della denuncia ben si attagliava la consapevolezza, da desumere anche in via presuntiva, di denunciare fatti, in ipotesi anche penalmente rilevante, e non veri.
7.3. Alla luce di tali considerazione la censura, per come formulata, tende inammissibilmente a proporre una diversa valutazione dei fatti accertati e non individua violazioni di legge relative alla prova, alla distribuzione corretta degli oneri, al valore da attribuire a prove acquisite.
8. Il terzo motivo di ricorso, con il quale è denunci4un omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348- ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22/12/2016 n. 26774 e successivamente tra le altre Cass. 06/08/2019 n. 20994).
8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere complessivamente rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021