Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32738 del 09/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29174-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO, LUIGI CALIULO;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 507/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/06/2015 R.G.N. 519/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/04/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 3.6.2015, la Corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di M.L. volta a percepire un trattamento pensionistico non inferiore a quello stabilito dall’assicurazione generale obbligatoria.

La Corte, in particolare, richiamando altra pronuncia da essa stessa resa in fattispecie analoga, ha ritenuto che, ai fini del calcolo del trattamento pensionistico spettante ad un lavoratore già iscritto al soppresso INPDAI, dovesse applicarsi la clausola di salvaguardia di cui al D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 4, secondo la quale i trattamenti liquidati in regime INPDAI non possono essere inferiori a quelli che, a parità di condizioni, sono liquidati nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria, non potendo tale disciplina ritenersi superata dalla L. n. 289 del 2002, art. 42, che – nel sopprimere l’INPDAI e nel prevedere l’iscrizione presso l’AGO dei suoi iscritti, con evidenza contabile separata – ha stabilito le modalità di calcolo della pensione nel rispetto del principio del pro rata.

Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura. M.L. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione della L. n. 289 del 2002, art. 42, e falsa applicazione del D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, per avere la Corte di merito ritenuto che, nella determinazione delle due quote di pensione di cui alla L. n. 289 del 2002, cit., art. 42, dovesse applicarsi la clausola di salvaguardia prevista dal D.Lgs. n. 181 del 1997, cit., art. 3, dovendo reputarsi immanente al sistema l’esigenza di garantire al dirigente il mantenimento fino al 31.12.2002 del trattamento INPDAI, che tale clausola per l’appunto prevedeva.

Il motivo è infondato.

Nel rigettare il ricorso proposto dall’INPS nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1018 del 2012, espressamente e adesivamente richiamata dalla decisione qui impugnata, questa Corte ha osservato che il principio del pro rata contenuto nella L. n. 289 del 2002, art. 42, comma 3, impone di determinare l’ammontare delle quote relative a ciascun periodo di assicurazione secondo tutte le disposizioni vigenti nel corrispondente regime normativo, di talché, per la quota corrispondente alle anzianità contributive acquisite presso l’INPDAI fino alla sua soppressione, il calcolo va operato tenendo conto anche della c.d. clausola di salvaguardia di cui al D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 4, che già prima della soppressione dell’INPDAI escludeva che il trattamento pensionistico complessivo degli iscritti a tale ente potesse risultare inferiore a quello previsto dall’assicurazione generale obbligatoria (Cass. n. 13980 del 2018).

Dovendosi dare continuità all’anzidetto indirizzo, resta solo da aggiungere che affatto inammissibile è la prospettazione avanzata dall’Istituto ricorrente nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c., secondo cui mancherebbe del tutto, nel caso di specie, il presupposto per l’operatività della clausola di salvaguardia, che – come precisato da Cass. n. 13980 del 2018, cit. – è costituito dall’identità di condizioni (anzianità, retribuzione pensionabile e contribuzione versata): trattasi infatti di prospettazione del tutto nuova rispetto a quella del ricorso per cassazione, che – come detto – era basata sull’autosufficienza della disciplina dettata dalla L. n. 289 del 2002, art. 42, ai fini della liquidazione della pensione agli ex iscritti all’INPDAI, e sulla conseguente estraneità della clausola di salvaguardia di cui al D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, più volte cit.; ed è sufficiente al riguardo ricordare che le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. sono destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione e a confutare le tesi avversarie, non essendo viceversa possibile per loro tramite né specificare o integrare, ampliandolo, il contenuto di argomentazioni non adeguatamente prospettate o sviluppate con il ricorso per cassazione, né tanto meno dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, derivandone altrimenti la violazione del diritto di difesa della controparte (Cass. S.U. n. 11097 del 2006).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472