Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32740 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14538-2020 proposto da:

C.M., D.C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ERASMO GATTAMELATA 12, presso lo studio dell’avvocato CARMELO SCALFARI, e rappresentati e difesi dall’avvocato ROBERTO CAPRIA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto n. 1360 della CORTE d’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositato il 31/01/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/10/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie dei ricorrenti;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE C.M. e D.C.A. proponevano opposizione avverso il decreto emesso dal Consigliere designato presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, con il quale era stata dichiarata inammissibile la domanda di equo indennizzo in relazione alla durata irragionevole di un giudizio civile celebratosi dal 1991 al 2003, in primo grado dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, ed in appello dinanzi alla Corte d’Appello di Reggio Calabria dal dicembre del 2004 all’11 maggio del 2018.

Il provvedimento opposto aveva ravvisato l’inammissibilità della domanda, sul presupposto che il ricorso fosse stato proposto oltre i sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza d’appello, ma la Corte d’Appello in composizione collegiale riteneva che tale conclusione fosse errata, in quanto il decreto del giudice monocratico era partito dall’erroneo presupposto che il termine per proporre ricorso per cassazione, in caso di notifica della sentenza d’appello, fosse di trenta giorni, anziché, come disposto dall’art. 325 c.p.c., di sessanta giorni.

La Corte d’Appello passava quindi ad esaminare il merito della pretesa, e, tenuto conto della durata complessiva del giudizio, al netto del periodo decorso per proporre appello e delle richieste di rinvio delle parti, rilevava che il processo di merito aveva avuto una durata irragionevole patri a 20 anni ed undici mesi.

Tuttavia, escludeva che potesse essere riconosciuto l’indennizzo.

Infatti, la domanda dei ricorrenti, che erano anche attori nella causa di merito, aveva ad oggetto la reazione ad alcuni interventi edilizi posti in essere dai vicini degli attori, i quali avevano creato con tali interventi una illegittima servitù di stillicidio (con l’apposizione di una grondaia, che sconfinava sul fondo degli attori per 20 cm.), una luce irregolare di circa 80 cm. con affaccio sempre sul fondo degli attori, e collocato una ringhiera con una sovrastante struttura in ferro con dei fogli di plastica opaca non trasparente, che nel 1989 erano stati sostituiti da due telai scorrevoli muniti di vetri comuni.

E’ pur vero che all’esito dei due gradi di merito gli attori avevano visto integralmente accolte le loro domande, ma secondo il decreto della Corte distrettuale la pretesa azionata in giudizio era al di sotto della soglia minima di gravità che legittima il riconoscimento della tutela indennitaria di cui alla L. n. 89 del 2001.

Inoltre, nella specie era applicabile anche la previsione di cui alla medesima L., art. 2, comma 2-sexies, che in caso di irrisorietà della pretesa pone una presunzione di assenza di pregiudizio, che deve essere vinta da parte del preteso danneggiato.

Nella specie, lo stillicidio sarebbe sorto solo nei giorni di pioggia, ed avrebbe interessato solo gli ultimi venti centimetri del fondo degli attori.

Ancora la luce priva di grata regolare aveva una dimensione di appena 80 cm. e risultava una possibilità di affaccio dal lastrico solare dei convenuti, ove praticabile per effetto di una ringhiera sulla quale erano peraltro apposti dei pannelli scorrevoli.

A ciò andava aggiunto che gli stessi attori non avevano richiesto nella causa di merito il risarcimento del danno, limitandosi a sollecitare la sola riduzione in pristino.

Secondo il decreto del giudice collegiale, stante il carattere bagatellare della domanda, non era stata fornita alcuna prova circa l’esistenza del pregiudizio tale da vincere la presunzione, e ciò dovendosi per converso sostenere che alcuno stress aveva determinato la lungaggine del processo, posto che gli attori avevano potuto continuare a fruire del fondo, svolgendo tutte le normali attività, senza alcun nocumento per effetto delle servitù illegittimamente create dai vicini.

Avverso tale decreto C.M. e D.C.A. propongono ricorso sulla base di un motivo, illustrato da memorie.

L’Amministrazione ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a cinque motivi.

I ricorrenti hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale.

Il motivo del ricorso principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. g) (ed ove occorra per la mancata applicazione del Protocollo Addizionale n. 14 alla CEDU, art. 12, ratificato e reso esecutivo con la L. n. 280 del 2005).

La Corte d’Appello, pur ritenendo tempestivo il ricorso, ha però negato il diritto all’indennizzo per durata irragionevole del processo, sostenendo che la norma di cui si denuncia la violazione avrebbe imposto ai ricorrenti di dover vincere la presunzione di insussistenza del pregiudizio.

Tuttavia, il carattere bagattellare della pretesa azionata è sostenuto dalla Corte d’Appello senza adeguatamente valutare il tenore delle domande proposte nel giudizio presupposto, e valorizzando il solo fatto che gli attori non avessero chiesto in quella sede anche il risarcimento del danno derivante dalle abusive opere poste in essere dai confinanti.

In realtà la pretesa azionata non può essere affermata come irrisoria né può ritenersi esigua la posta in gioco, atteso che si trattava della richiesta di tutela del diritto di proprietà.

Inoltre, le innovazioni poste in essere dai convenuti avevano gravemente pregiudicato il diritto dominicale dei ricorrenti, essendo mancata anche un’adeguata considerazione della situazione personale degli istanti.

Il motivo è inammissibile, in quanto nella sostanza mira a sollecitare, pur a fronte della deduzione di una violazione di legge, un novello apprezzamento di elementi di fatto, la cui valutazione appare però riservata al giudice di merito, e come tale insindacabile in sede di legittimità, soprattutto laddove la valutazione sia corredata da congrua ed adeguata motivazione.

Il decreto impugnato ha infatti fatto richiamo ai precedenti di questa Corte che, anche di recente, ed alla luce della novella del 2015, hanno affermato che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, in applicazione del Protocollo n. 14 alla CEDU, art. 12, si deve tenere conto della soglia minima di gravità, al di sotto della quale il pregiudizio non è indennizzabile, da apprezzarsi nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché restano escluse dalla riparazione sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggiore estensione temporale, riferibili però a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi. (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 26497 del 17/10/2019). Trattasi di precedente che trova conforto anche nella giurisprudenza maturata in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. g), che appunto dispone che: Si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di: g) irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte.

La norma ha però tradotto in termini di diritto positivo un approdo al quale era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità che aveva infatti sostenuto che (Cass. n. 633/2014) in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai sensi del Protocollo n. 14 alla CEDU, art. 12, la soglia minima di gravità, al di sotto della quale il danno non è indennizzabile, va apprezzata nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché dall’ambito di tutela della L. 24 marzo 2001, n. 89, restano escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi, aggiungendo però che in tal caso alla parte interessata è data la possibilità di vincere la presunzione di insussistenza del pregiudizio, nel caso di specie per la natura bagatellare della causa di merito.

La decisione gravata, con adeguata motivazione, che in quanto vertente su accertamenti di fatto, non risulta però censurabile in sede di legittimità, e pur nell’opinabilità degli esiti cui possa approdare, ha evidenziato le circostanze per le quali doveva propendersi per il carattere irrisorio della pretesa azionata.

In tal caso sono state valorizzate le limitate compressioni del diritto di proprietà degli attori, quale conseguenza della illegittima condotta addebitata ai convenuti, riscontrando le ridotte dimensioni sia della luce irregolare che della porzione di fondo interessata dalla servitù di stillicidio, aggiungendosi, al fine di corroborare tale valutazione, la circostanza che la domanda di riduzione in pristino non era stata accompagnata anche da una domanda risarcitoria, elemento questo che deponeva per l’assenza di un pregiudizio di carattere transeunte correlato alle dedotte limitazioni del diritto dominicale.

La decisione dei giudici di merito non può ritenersi che abbia trascurato gli elementi invece addotti dai ricorrenti, che con il mezzo di impugnazione, come detto, sollecitano una diversa rivalutazione in fatto degli elementi dai quali desumere il carattere bagatellare o meno della pretesa azionata, esito questo però precluso al giudice di legittimità.

La riconduzione della censura svolta ad una doglianza di merito rende pertanto il mezzo di impugnazione inammissibile.

Stante l’inammissibilità del ricorso principale deve ritenersi assorbito il ricorso incidentale, da intendersi naturalmente condizionato (Cass. S.U. n. 7381 del 2013), atteso l’esito vittorioso del giudizio di merito per l’Amministrazione, con il quale in cinque motivi si intende contestare la pretesa applicabilità anche al giudizio de quo della sospensione feriale dei termini, in vista della dedotta tardività della proposizione della domanda indennitaria.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti di legge sul raddoppio del contributo unificato (Cass. n. 2273 del 2019) come si desume dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 (conf. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale;

Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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