LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16339-2019 proposto da:
D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA T.
MONTICELLI, 12, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MATERA, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCELLO D’APONTE, OTTAVIO PANNONE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1960/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/03/2019 R.G.N. 101/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 1960/19 aveva rigettato il reclamo proposto da D.M. avverso la decisione con cui il locale tribunale aveva rigettato l’opposizione all’ordinanza assunta in sede sommaria, di declaratoria della legittimità del licenziamento a lui irrogato dal Ministero della Difesa. La corte territoriale aveva valutato tempestivo il recesso datoriale in quanto intervenuto nel termine dei quaranta giorni, previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis decorrenti dalla data del 8.2.2016 in cui il datore di lavoro (.. ufficio competente) aveva acquisito completa conoscenza della “infrazione” compiuta dal dipendente.
Nella predetta data l’Ufficio per i procedimenti disciplinari aveva avuto piena consapevolezza della circostanza che il D. fosse assoggettato a trattamento di riabilitazione e recupero per la tossicodipendenza presso la Comunità di S. Patrignano, quale forma di espiazione alternativa della pena a lui inflitta con sentenza divenuta definitiva. A seguito della acquisizione delle complete informazioni, il datore di lavoro contestava al dipendente la violazione del doveri di correttezza e buona fede allorché lo stesso aveva usufruito della possibilità di sospensione del rapporto di lavoro per sottoporsi a cure e recupero (in ragione di quanto previsto dall’art. 11 CCNL), omettendo di comunicare che tali misure costituivano gli effetti della sentenza di condanna ed erano dunque una modalità alternativa per scontare la pena inflitta. Peraltro era anche posta in rilievo la circostanza che il D. aveva anche interrotto il piano di recupero abbandonando la comunità senza darne avviso al Ministero.
Avverso tale decisione proponeva ricorso il lavoratore affidato a due motivi cui resisteva con controricorso il Ministero della Difesa.
Il D. depositava successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)- Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis per la errata interpretazione data dalla Corte territoriale alla predetta disposizione con riferimento alla data da cui far decorrere il termine entro il quale formulare la contestazione disciplinare.
Il motivo presenta preliminari profili di inammissibilità poiché introduce con il vizio di violazione di legge, la doglianza circa la errata valutazione del dies a quo.
E’ questa, infatti, tipica attività ricognitiva e valutativa del giudice del merito, quindi estranea alla natura del giudizio di legittimità.
Peraltro il motivo sarebbe comunque infondato poiché la Corte territoriale ha chiaramente indicato i criteri e le ragioni per cui ha individuato nel 08/01/2016 il dies a quo (completezza delle informazioni necessarie alla valutazione, in coerenza con i principi in materia espressi dalla Corte di legittimità (Cass. n. 16706/18).
2) Con il secondo motivo è censurata la errata applicazione ed interpretazione dell’art. 2119 c.c., per aver, la Corte d’appello, errato nel valutare gli elementi di prova acquisiti con riguardo alla intenzionalità della condotta ed alla proporzionalità della sanzione.
Anche tale censura soffre dei medesimi difetti della precedente poiché, pur richiamando il vizio di violazione di legge, in concreto mira a criticare la valutazione del giudice d’appello, invocando una diverso giudizio. La censura è pertanto inammissibile.
Per le esposte ragioni il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021