LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28418-2015 proposto da:
CLASS EDITORI S.P.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MUSTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIETRO EMILIO ANTONIO ICHINO, ANDREA FORTUNAT;
– ricorrente –
contro
I.N.P.G.I. ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI
“GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GABRIELE CAMOZZI 9, presso lo studio dell’avvocato GAVINA MARIA SULAS, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8745/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/11/2014 R.G.N. 1754/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2021 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo con cui era stato intimato alla società Class Editori SPA il pagamento, in favore dell’INPGI, di Euro 288.317,00 per contributi previdenziali e sanzioni civili relativi agli anni 2002/2007.
2. In estrema sintesi, per quanto qui solo rileva, la Corte d’appello ha osservato come la società non avesse offerto la prova sufficiente che le indennità erogate ad integrazione della retribuzione e qualificate come indennità chilometriche fossero state corrisposte al fine di tenere indenni i dipendenti dei costi del carburante sopportati per l’esecuzione di prestazioni al di fuori del comune in cui aveva sede l’azienda e che, pertanto, sussistessero le condizioni per escluderle dall’imponibile contributivo.
3. Avverso la decisione ha proposto ricorso la società con tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’INPGI.
4. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, perché nessuno di essi ha chiesto la trattazione orale.
7. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 6, comma 1, e dell’art. 51, comma 5, del TUIR.
8. Parte ricorrente censura la decisione nella parte in cui ha ritenuto non assolto l’onere probatorio, sulla stessa gravante, ai fini dell’esenzione contributiva.
9. Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
10. La violazione dell’art. 2697 c.c. viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova, non anche quando, all’esito della valutazione delle istanze istruttorie, il giudice ritenga che la parte onerata abbia o meno assolto tale onere. In tale, ultima ipotesi, infatti, può venire in rilievo l’erroneo apprezzamento della prova, sindacabile, in questa sede di legittimità, nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (v., ex plurimis, Cass. n. 17313 del 2020).
11. Nel caso di specie, neppure viene ipotizzato che i giudici abbiamo errato nell’attribuzione del carico probatorio.
12. Correttamente, infatti, la Corte di appello ha posto l’onere della prova a carico della società ricorrente che invocava il diritto all’esenzione contributiva in relazione a somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, in base alla ” (…) presunzione generale di assoggettamento a contribuzione di quanto percepito a titolo di retribuzione di cui alla L. n. 153 del 1969, art. 12, comma 1, (che) può essere vinta solo dalla dimostrazione, di cui è onerato il datore di lavoro, che l’erogazione appartenga ad una delle categorie che, in base al comma 2 dello stesso articolo, sono espressamente escluse” (Cass. n. 23051 del 2017).
13. Le censure investono, infatti, l’operata ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa e si collocano, dunque, al di fuori del perimetro normativo del vizio di violazione di legge (tra le altre Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011).
14. In ripetute occasioni, è stato affermato che: “Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione a essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata (e) il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione” (tra le recenti, v. Cass. n. 12571 del 2021).
15. Non rientra, invece, nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., n. 3 l’allegazione di un’erronea ricostruzione della fattispecie concreta, attraverso le risultanze di causa, che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito.
16. In altre parole, il vizio di violazione di legge viene in rilievo in relazione al fatto nei termini in cui è accertato in sentenza e non già rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente.
17. La ricostruzione del fatto costituisce invero un prius rispetto all’applicazione delle norme di diritto ed è censurabile in sede di legittimità nei limiti del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, evidenziando cioè l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso (e non già contrapponendo al fatto accertato un fatto diverso).
18. Con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – e’, poi, dedotta la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, per avere i giudici di appello secondo la parte ricorrente, confuso l’istituto della trasferta con il diverso emolumento del rimborso chilometrico.
19. Il secondo motivo, per come genericamente prospettato, è inammissibile.
20. Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente sì assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).
21. Il motivo oggetto di scrutinio, invece, si ferma ad una apodittica affermazione di errore della sentenza, non seguita da alcuna valida dimostrazione (v.Cass. n. 4905 del 2020).
22. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – parte ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. perché la Corte avrebbe giudicato non contestato l’assunto dell’Istituto previdenziale secondo cui le somme venivano fissate annualmente e successivamente suddivise per dodici mensilità, anche a seguito di accordi individuali concomitanti con la sottoscrizione dei singoli contratti di lavoro.
23. Anche il terzo motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità.
24. A tacer del fatto che la deduzione difensiva non è supportata dalla trascrizione (integrale o comunque nei passaggi salienti) degli atti sulla cui base il giudice di merito avrebbe ritenuto indiscussa la circostanza in oggetto (id est: il fatto cioè che le somme venissero stabilite annualmente e, poi, erogate in dodici mensilità, anche a seguito di accordi individuali concomitanti con la sottoscrizione dei singoli contratti di lavoro), i rilievi non colgono l’effettiva ratio decidendi.
La Corte territoriale non ha affatto deciso la controversia in applicazione del principio di non contestazione (ritenendo cioè incontroversi e non bisognevoli di ulteriore prova i fatti indicati dalla controparte) ma ha piuttosto osservato, con argomentazione di rinforzo della decisione, che l’accertamento del Tribunale fondato sulla considerazione che “le somme erogate ad integrazione della retribuzione – e qualificate come indennità chilometriche (…) erano suddivise per 12 mensilità e venivano erogate ai dipendenti anche a seguito di accordi individuali concomitanti con la sottoscrizione dei singoli contratti di lavoro” non era stato oggetto di censura specifica da parte della società.
25. Si tratta, a ben vedere, di una valutazione resa dai giudici dell’appello che opera interamente sul piano del libero convincimento, non sindacabile dalla Corte se non nei termini del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
26. In conclusione, il ricorso va complessivamente respinto.
27. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, in favore della parte controricorrente, come da dispositivo.
30. Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento del doppio contributo, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 6.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021