LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4796/2020 proposto da:
C.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO SOTTILE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 882/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 04/11/2019 R.G.N. 1255/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
Che:
1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 958 pubblicata il 4.11.2019, ha respinto il ricorso proposto da C.J., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e il Tribunale hanno rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);
2. La Corte di appello ha precisato che:
a) il richiedente – fuggito litigi e minacce provenienti da uno zio che voleva impossessarsi di un terreno coltivato a palmeto assegnato al padre e successivamente deceduto – non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, né di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale né lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano e le dichiarazioni rilasciate, generiche e contraddittorie, esimono il giudice dall’onere di cooperazione nell’acquisizione della prova;
b) neppure sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), vista la provenienza da uno Stato (Delta State) che non presenta alcun tipo di conflitto armato in corso, come emerso dalle più recenti ed accreditate COI;
c) infine, non sussistono i requisiti per la protezione umanitaria, dovendosi escludere, da una parte, condizioni ostative di pericolosità, povertà, ambiente ostative al rimpatrio e, dall’altra, non essendo stato allegato alcun elemento circa una eventuale integrazione nel territorio italiano;
3. il ricorrente domanda la cassazione del suddetto decreto per due motivi;
4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10, 13, 27, artt. 2, 3, 8, 27 CEDU, art. 16 direttiva Europea 2013/32 nonché vizio di motivazione (ex artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) non avendo, la Corte, esercitato il dovere di cooperazione istruttoria ed apparendo, il racconto del richiedente, lineare e privo di contraddizioni, nonché avendo ignorato le diverse fonti internazionali (rapporto Amnesty International 2017/2018 e sito ***** del 15.3.2019) che descrivono un paese di origine in uno stato di violenza generalizzata;
2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 6 e 19, nonché omesso esame di fatti decisivi avendo trascurato, la Corte territoriale, il percorso integrativo messo in atto dal richiedente consistente in un contratto a tempo determinato dal 2018 nell’azienda agricola Mezzaluna di G. e C. soc. agricola, come da documentazione che si produce;
3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;
4. in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass. n. 4037 del 2020);
4.1. il ricorrente si limita a citare nuovamente due (sito ***** 15.3.2019 e Report Amnesty International 2017/2018), delle molteplici fonti internazionali indicate puntualmente dalla Corte territoriale (sito ***** 15.3.2019, Report 2018 Human Rights, sito *****, Report Amnesty International 2017/2018, *****, sito *****, Rapporto EASO 2017), senza fornire fonti più aggiornate, e procedendo ad una valutazione secondo le proprie aspettative delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente, apprezzamento volto nella sostanza a criticare la valutazione del materiale probatorio come eseguita dalla Corte di merito, al di fuori dei limiti consentiti dallo schema legale del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014);
4.2. del pari, inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi, è il richiamo alla errata interpretazione dell’art. 8 della direttiva 2004/83, non avendo, la Corte territoriale, fatto applicazione della disposizione citata;
5. il secondo motivo è inammissibile essendo preclusa alle parti, nel giudizio di cassazione, la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (ma il ricorrente non ha indicato i tempi e i modi della loro tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della loro devoluzione al Giudice del gravame ed anzi avendo la Corte territoriale evidenziato che non era stato dedotto alcun elemento da cui poter valutare una integrazione nel territorio italiano, cfr. sulla inammissibilità di questioni nuove, Cass. n. 20694 del 2018, Ca5s. n. 1474/2007);
6. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;
7. sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021