Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32780 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4514/2020 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 732, presso lo studio dell’avvocato EVIRA RICCIO, rappresentato e difeso dall’avvocato SAVERIO VISCOMI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1889/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 02/10/2019 R.G.N. 1751/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da S.B., cittadino del Senegal, avverso l’ordinanza del Tribunale che, confermando il provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. Il richiedente aveva allegato di aver lasciato il proprio Paese per il timore di essere ucciso dai familiari di un bambino della cui uccisione era sospettato.

3. La Corte territoriale ha rilevato come a fondamento della domanda di protezione fosse stato addotto un fatto privo di qualsiasi riscontro e, comunque, attinente alla sfera penale. Ha giudicato non credibile il racconto del richiedente perché carente dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e non circostanziato in riferimento ai luoghi, alle persone, ai tempi e alle dinamiche degli eventi narrati.

4. Ha quindi negato l’esistenza dei presupposti per lo status di rifugiato e per la protezione sussidiaria. Ha negato la protezione umanitaria non risultando “neppure allegata la sussistenza di un’emergenza nel suo Paese tale da non offrire alcuna garanzia di vita qualora vi facesse ritorno”.

5. Avverso tale sentenza il richiedente la protezione ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

6. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

7. Col primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 46, par. 3 della Direttiva 2013/32/Ce del 26 giugno 2013 e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 24 Cost. comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte d’appello omesso di disporre l’audizione personale del richiedente affermando che il medesimo dinanzi alla Commissione avesse illustrato con chiarezza le ragioni del suo espatrio, salvo poi ritenere il predetto non credibile in ragione del carattere lacunoso e frammentario del racconto.

8. Il motivo è inammissibile.

9. Secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento al procedimento di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (v. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”; v. anche Cass. n. 2760 del 2021).

10. Nel caso di specie, la censura risulta inammissibile perché si allega (pag. 11 del ricorso) che l’audizione sarebbe stata necessaria in quanto il richiedente “in sede di colloquio dinanzi alla Commissione… non ebbe a riferire su fatti e circostanze determinanti in quanto lo stesso non era in possesso dei predetti documenti probatori, ovvero il mandato di cattura spiccato dalla Polizia Gambiana nei confronti del sig. D. per essere accusato di stupro e omicidio di una minorenne”, ma non si spiega la rilevanza di questi documenti che si riferiscono ad altra persona e a vicende diverse da quella oggetto di causa, e comunque si tratta di documenti non trascritti né depositati col ricorso in esame, in violazione delle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

11. Col secondo motivo è dedotta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b) e c) e art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte d’appello omesso di attivare i poteri istruttori d’ufficio e di pronunciarsi sulle richieste istruttorie e di esibizione.

12. Si sostiene che il verbale delle dichiarazioni rese dal ricorrente dinanzi alla Commissione non può considerarsi sufficiente ai fini della valutazione di credibilità; che detto verbale, peraltro, rinvia ad una non meglio precisata memoria depositata dal richiedente di cui non vi è traccia e che lo stesso contiene domande generiche e risposte rese a monosillabi, senza alcun approfondimento, anche in ragione della minore età del richiedente. Si aggiunge che il Tribunale e la Corte d’appello, specificamente sollecitati, non hanno attivato i poteri d’ufficio al fine di ordinare al Ministero la produzione di tutta la documentazione esistente nel fascicolo d’ufficio dell’istante.

13. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza. Il verbale delle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione non è trascritto né depositato, e neppure si indicano elementi o aspetti della vicenda che la Corte avrebbe omesso di valutare.

14. Col terzo motivo è denunciata nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte di merito omesso totalmente di indicare le ragioni di diritto che hanno condotto al rigetto del riconoscimento dello status di rifugiato e della tutela subordinata. Inoltre, per motivazione contraddittoria.

15. Il motivo è inammissibile. La sentenza certamente soddisfa il requisito del “minimo costituzionale” della motivazione (v. Cass., S.U. n. 8053 del 2014) avendo fatto discendere dalla valutazione di non credibilità del richiedente l’assenza del pericolo di persecuzione o di danno grave nel Paese di provenienza.

16. Occorre ribadire che, ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 10286 del 2020; Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

17. Col quarto motivo è censurata la decisione d’appello per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 4, 7 e art. 14, comma 1, lett. b) e c), artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, poiché il rigetto della domanda di protezione sussidiaria è stato disposto senza adeguatamente indagare sulla mancanza di rischio del predetto in caso di rimpatrio, in considerazione dell’attuale contesto socio-politico del Senegal.

18. Il motivo è fondato.

19. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018).

20. Difatti, per la protezione sussidiaria di cui alla lett. c) dell’art. 14 cit., a differenza delle altre forme di protezione, non rileva alcuna personalizzazione del rischio sicché il richiedente non è onerato della prova sulla sua storia personale, eccetto quanto sia necessario per la verifica del Paese o regione di provenienza, ed incombe sul giudice l’obbligo di accertare anche d’ufficio se in quel territorio la violenza indiscriminata in presenza di conflitto sia di intensità tale da far rischiare a chiunque vi si trovi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona (v. Cass. n. 13940 del 2020; n. 14350 del 2020; n. 16122 del 2020).

21. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dell’art. 8 cit., comma 3 e quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.

22. E’ onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento.

23. Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale non ha assolto a tale onere in quanto ha riportato una serie di dati non pertinenti rispetto alla condizione di rischio prospettata, senza peraltro indicare le fonti di provenienza.

24. Col quinto motivo è dedotta violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, illogica, contraddittoria e apparente motivazione per avere la Corte di merito rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame reale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, anche con riferimento al Paese d’origine e alla integrazione sociale realizzata.

25. Anche questo motivo è fondato in quanto la decisione della Corte di merito non focalizza correttamente gli elementi costitutivi del diritto alla protezione umanitaria (respinta sul rilievo che non sia “allegata la sussistenza di un’emergenza nel suo Paese tale da non offrire alcuna garanzia di vita qualora vi facesse ritorno”) e di conseguenza omette del tutto la valutazione del grado di integrazione sociale in Italia del richiedente, rispetto al quale era stato pienamente assolto l’onere di allegazione (v. documenti elencati a pag. 24 del ricorso in esame), sia per l’inserimento socio economico e sia per la specifica condizione di vulnerabilità, anche psichica, del predetto, giunto in Italia come minore non accompagnato.

26. Per tali considerazioni, accolti il quarto e il quinto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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