Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32781 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26271-2019 proposto da:

D.C.P., rappresentato e difeso dall’avv. GIOVANNI PIO DE GIOVANNI e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

REGIONE PUGLIA, SERVIZIO COORDINAMENTO PUGLIA SETTENTRIONALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 278/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso D.Lgs. n. 150 del 2011 ex art. 6, D.C.P. proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa nei suoi confronti dalla Regione Puglia per la violazione del D.Lgs. n. 475 del 1945, modificato dalla L. n. 144 del 1951, per aver estirpato n. 450 piante di olivo omettendone il reimpianto, obbligatorio in base al contenuto dell’autorizzazione regionale n. 100573 del 26.10.2010. Con il predetto atto, veniva ingiunto al D.C. il pagamento della sanzione di Euro 24.000, corrispondente al triplo del valore delle piante estirpate e non rimpiantate.

Nella resistenza della Regione, il Tribunale rigettava l’opposizione.

Interponeva appello il D.C. e la Corte di Appello di Bari, con la sentenza oggi impugnata, n. 278/2019, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.C.P., affidandosi a tre motivi.

La Regione Puglia, intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 11 e 23, e del D.Lgs.Lgtn. n. 475 del 1945, art. 4, perché la Corte di Appello avrebbe violato il principio di proporzionalità della sanzione al fatto contestato.

La censura è inammissibile.

Il D.Lgs.Lgtn. 27 luglio 1945, n. 475, art. 4, modificato dalla L. n. 144 del 1951, prevede che “Chiunque abbatte alberi di olivo senza averne ottenuto la preventiva autorizzazione o, nel caso previsto dall’art. 3, non esegue il reimpianto con le modalità e nel termine prescritti, è punito con la sanzione amministrativa per un importo uguale al decuplo del valore delle piante abbattute, considerate però in piena produttività, da stabilirsi dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura”. Nella fattispecie, dunque, non viene in rilievo una sanzione determinabile tra minimo e massimo edittale, bensì stabilita in misura fissa e determinata nel decuplo del valore di ciascuna singola pianta estirpata e non reimpiantata. Non si pone, dunque, alcun problema di proporzionalità della sanzione al fatto contestato, posta l’assenza di margini di valutazioni discrezionali in capo all’amministrazione in relazione al quantum della sanzione da irrogare in concreto.

Inoltre, nel caso specifico la Regione Puglia ha applicato la sanzione nella misura del triplo del valore delle piante abbattute, in luogo della maggior misura prevista dalla norma, determinandone quindi l’importo in termini di estremo favore per il D.C., con conseguente carenza di interesse concreto del medesimo all’impugnazione.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, il vizio di motivazione del provvedimento ingiuntivo opposto e l’eccessività della sanzione. Ad avviso del ricorrente, poiché il valore unitario della pianta era pari ad Euro 16, la moltiplicazione di detto importo per il numero delle piante estirpate avrebbe dovuto comportare l’applicazione di una sanzione contenuta nell’importo di Euro 7.200, mentre nel caso di specie gli era stata ingiunto il pagamento della maggior somma di Euro 24.000.

Anche questa censura è inammissibile, per gli stessi motivi esposti a confutazione del primo motivo, poiché la sanzione in concreto irrogata al D.C. è addirittura inferiore a quella che avrebbe dovuto conseguire al calcolo previsto dal richiamato D.Lgs.Lgtn. n. 475 del 1945, art. 4.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., perché la Corte di Appello lo avrebbe erroneamente condannato alla refusione delle spese del giudizio di merito. Ad avviso del ricorrente, poiché la Regione Puglia si era difesa mediante l’Avvocatura Regionale, avrebbe dovuto essere applicata la norma in virtù della quale, quando l’amministrazione resiste in giudizio mediante un proprio funzionario, la stessa non può ottenere la condanna dell’opponente, ove questi sia soccombente, alle spese del giudizio.

La censura è inammissibile.

In primo luogo, il principio invocato dal ricorrente vale quando, in materia di sanzioni amministrative, l’amministrazione si difenda in proprio, mediante un funzionario appositamente delegato, ma non anche nella diversa ipotesi in cui la difesa venga affidata ad un avvocato, ancorché inserito nell’Avvocatura Regionale. In secondo luogo, nel caso di specie il governo delle spese di lite operato dal giudice di merito è corretto, essendo le stesse state regolate secondo il principio generale della soccombenza.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sesta sezione civile, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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