Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32809 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26010/2018) proposto da:

M.M.A., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata alla memoria di nomina di nuovo difensore, dall’Avv. Simona Melani, e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, in Roma, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DELLA PROVINCIA DI VENEZIA, in persona del Prefetto pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Venezia n. 270/2018 (pubblicata il 23 marzo 2018);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14 luglio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

RITENUTO IN FATTO

1. La signora M.M.A. proponeva ricorso, dinanzi al Prefetto di Venezia, avverso il verbale di accertamento notificatole in data 7 aprile 2015, con il quale la Polizia municipale di Venezia la aveva contestato la violazione dell’art. 142 C.d.S. comma 8 del 1992, per aver circolato alla velocità di Km 97/h a fronte di un limite di 70 km/h all’altezza del Km ***** in direzione da *****. Il citato Prefetto, con ordinanza notificatale il 22 novembre 2015, lo rigettava ed emetteva a carico della ricorrente l’ordinanza-ingiunzione per il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 354,60 con riferimento alla contestata violazione. La M. avanzava, quindi, opposizione avverso la richiamata ordinanza-ingiunzione avanti al Giudice di pace di Venezia che, con sentenza n. 503/2016, l’accoglieva nel merito (dichiarando l’illegittimità del verbale presupposto per inidonea taratura dell’apparecchio autovelox), disponendo, tuttavia, la compensazione delle spese giudiziali.

2. Decidendo sull’appello formulato dalla stessa M., con la quale ella lamentava l’omessa pronuncia in ordine alla domanda di responsabilità ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, nonché la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., il Tribunale di Venezia, nella costituzione dell’appellato Prefetto (che proponeva, a sua volta, appello incidentale al fine di sentir affermata la legittimità del verbale di accertamento e delle correlate operazioni di polizia riguardanti la regolare predisposizione dell’autovelox), con sentenza n. 270/2018, in parziale accoglimento del gravame principale e rigettando quello incidentale, condannava il Prefetto al pagamento delle spese del giudizio di primo e secondo grado, liquidate rispettivamente in Euro 354,60 e in Euro 345,00, oltre esborsi ed accessori di legge, respingendo, invece, il motivo riferito alla deduzione dell’omessa condanna del Prefetto, ai sensi dei citato art. 96 c.p.c., comma 3.

3. Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la M.M.A.. L’intimato Prefetto non ha svolto attività difensiva in questa sede.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 96 c.p.c., comma 3, del D.M. n. 1122 del 2005 e della Circolare del Ministero dell’Interno n. 300/A/10307/09/144/5/20/3 del 14 agosto 2009, sostenendo l’erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui non aveva ravvisato un abuso del processo in capo al Prefetto resistente sul presupposto dell’addotta non obbligatorietà della taratura annuale dello strumento autovelox, nonostante l’intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 113/2015 ed il successivo sviluppo in materia della giurisprudenza di legittimità.

2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 12, e del D.M. n. 55 del 2014, prospettando che, con la sentenza di appello, il Tribunale veneziano aveva erroneamente determinato le spese del giudizio di primo grado, pur giustamente riconoscendo la soccombenza dell’opposto Prefetto, in soli Euro 354,60 e, cioè, in misura inferiore ai minimi tariffari.

3. Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente ha lamentato – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014 in ordine alla ravvisata illegittimità della liquidazione dei compensi del giudizio di appello, quantificati anch’essi in misura inferiore – ovvero in quella di Euro 345,00 – a quelli minimi previsti dalla tabella forense.

4. Rileva, in primo luogo, il collegio che la notificazione del ricorso è stata invalidamente effettuata presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, mediante la quale il Prefetto di Venezia si era costituito in appello, nel mentre secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. SU ord. interloc. n. 608/2015) – avrebbe dovuto essere eseguita presso l’Avvocatura generale dello Stato.

Pertanto, poiché l’intimato Prefetto non risulta essersi costituito in questa sede, sussisterebbero i presupposti per ordinare la rinnovazione della notificazione del ricorso presso la suddetta Avvocatura generale dello Stato.

Tuttavia, poiché il primo motivo appare manifestamente infondato e gli altri due si prospettano inammissibili, ritiene il collegio che si può prescindere dalla necessità di ordinare la menzionata rinnovazione della notificazione dei ricorso trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio, anche in ossequio all’osservanza del principio costituzionalizzato della durata ragionevole del giudizio (cfr. Cass. n. 15106/2013 e Cass. n. 11287/2018) e del combinato disposto degli artt. 175 e 127 c.p.c., che impongono al giudice di evitare impedimenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e nell’espletamento di formalità superflue.

5. Ciò premesso, ritiene il collegio che, per l’appunto, il primo motivo è manifestamente infondato perché con l’impugnata sentenza è stata legittimamente esclusa l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c., comma 3, sulla base dell’insussistente abuso del processo in relazione alla resistenza in giudizio del Prefetto di Venezia. Il Tribunale di Venezia ha motivato specificamente al riguardo laddove ha ritenuto che la difesa del citato Prefetto non era stata temeraria, anche in dipendenza della non assoluta pacificità, sul piano interpretativo, delle questioni dedotte in giudizio (e della necessità del compimento dei relativi accertamenti riguardanti la perfetta conformità dell’apparecchio autovelox ai requisiti di legge) con la domanda proposta dall’odierna ricorrente, non ravvisandosi, quindi, nemmeno la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa grave (cfr. Cass. n. 21570/2012 e Cass. n. 22120/2016).

6. La seconda e terza censura sono propriamente inammissibili, perché – anche se in punto di diritto sussisterebbe la violazione dell’art. 91 c.p.c., u.c. e art. 82 c.p.c. (dal momento che il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa non può essere deciso secondo equità e non si applica, quindi, il limite di valore di cui dell’art. 91 c.p.c., citato u.c.: v. Cass. n. 9556/2014 e Cass. n. 9059/2021) – la ricorrente non specifica, tuttavia, quali dovevano essere i parametri legali da applicare in relazione alle specifiche attività espletate nei giudizi di primo e secondo grado, al fine di dimostrare che, con l’operata liquidazione, il Tribunale sia sceso al di sotto dei limiti legali con riferimento ai due giudizi, non bastando il mero richiamo alla nota spese, ma dovendo tali elementi essere riportati e trascritti anche nei formulati motivi.

E’ infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 22287/2009 e Cass. n. 18190/2015), il principio secondo cui l’impugnazione del capo di sentenza relativo alla liquidazione delle spese giudiziali non può essere accolta se con essa non vengono specificate le singole voci che la parte assume come alla stessa spettanti e non riconosciute, non potendo il giudice di legittimità tener conto in alcun modo di generiche determinazioni quantitative formulate dalla medesima parte impugnante, ossia difettanti della individuazione degli specifici errori che essa attribuisce al giudice di appello come commessi nella decisione impugnata, avuto riguardo alla dedotta omessa considerazione di apposite attività difensive assunte come espletate e al possibile mancato rispetto dei ritenuti minimi inderogabili della tariffa professionale, essendo, per l’appunto, necessario, tra l’altro, precisare le voci della tabella degli onorari e dei diritti asseritamente ritenute violate.

6. In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere rigettato, senza che debba farsi luogo ad alcuna pronuncia sulle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato Prefetto svolto attività difensiva in questa sede.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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